SUL “BELLO” DELLE CHIESE

La nuova chiesa dedicata a San Paolo in Frosinone* ripropone un interrogativo sul “bello” e sul “brutto” delle chiese che hanno accolto forme architettoniche nuove, dagli anni ‘30 del secolo scorso a oggi. Non so se nella cultura passata degli ambienti ecclesiastici si facesse menzione a “chiese brutte”. Dopo il Concilio di Trento i visitatori apostolici, almeno quelli attivi in Italia settentrionale, davano indicazioni sull’arredo e in particolare su battistero, altar maggiore, tabernacolo, badando che fossero degni e in ordine.
San Carlo Borromeo, impegnato nell’attuazione del Concilio, dedicò uno scritto al modo di edificare una chiesa: i motivi erano pastorali, non estetici.
Il passato ci ha consegnato anche chiese piccole e povere, in luoghi che danno loro un carattere proprio.
Non sono “brutte”: non si può neppur dire che siano “belle”.
Oggi si attribuisce “bruttezza” alla maggioranza delle chiese costruite in Italia negli ultimi 75 anni: questo chiede una risposta diversificata. Occorre chiedersi delle attitudini dell’architetto: risposta a livello estetico; del coinvolgimento della committenza: risposta a livello pastorale; del budget messo a disposizione dal committente: risposta a livello economico. Occorre chiedersi come viene gestita la nuova chiesa dalla comunità: i fedeli e i pastori. Le cinquecento chiese che l’arcidiocesi di Colonia ha costruito, o ricostruito, tra il 1945 e il 1995, sono tutte belle o molto belle. Alle spalle di questa operazione stava una cultura architettonica che aveva assistito, già negli anni ’30, al denso colloquio tra validi architetti e il grande teologo Romano Guardini, e al configurarsi di un movimento liturgico che, con quello francofono, avrebbe detto molto alla riforma liturgica attuata da Paolo VI con la Costituzione conciliare sulla liturgia “Sacrosanctum Concilium” (1963). E per le nuove chiese in Germania sono stati stanziati ingenti fondi.
In Italia, alle spalle delle nuove chiese (non si sa quante siano ma è in corso una catalogazione) non c’era quasi nulla.Soprattutto, almeno fino agli anni ’90, e all’8 per mille, la gran parte delle diocesi aveva mezzi economici molto limitati ed è noto il calvario dei “parroci costruttori” compiuto per arrivare a sostituire un garage, necessariametne usato in modo provvisorio che in molti casi resta in funzione per anni e anni, con una costruzione appropriata di una chiesa vera e propria.
Il movimento liturgico aveva cominciato a muovere i primi passi – se si pensa all’insieme delle diocesi italiane – e solo dagli anni ’90 avvenne un forte cambiamento: alla Pontificia Commissione Centrale per l’Arte Sacra in Italia si sostituì un apposito Ufficio CEI, successivamente sdoppiato in un Ufficio per il patrimonio storico e in un Ufficio per le nuove chiese.
Tutto questo ha cominciato a dare i suoi frutti.
Va comunque anche detto che nessuna chiesa è brutta se la comunità che la frequenta, fedeli e pastori, si impegna per tenerla in ordine, per decorarla con fiori, per dotarla di una cantoria, per arricchirla con vesti liturgiche degne, per animare le celebrazioni, a partire da una omelia ben preparata. Chi la frequenta comincia a volerle bene e l’eventuale bruttezza passa in secondo ordine.
Non solo. Tante diocesi possono enumerare chiese, forse non moltissime, dall’indubbio valore estetico: anche se si è dovuto restare entro un budget piuttosto limitato. Alcune sono veramente belle. L’opera di grandi architetti, e il secondo ‘900 italiano ne ha avuti, ha portato a buoni risultati. Si sono avuti non pochi concorsi, dagli anni ’60 e questi anno favorito una buona progettazione. In particolare i concorsi a invito iniziati a metà degli anni ’90 dal competente Ufficio della Conferenza Episcopale Italiana che hanno coinvolto alcuni tra i più noti architetti italiani, molti del quali docenti universitari.
La chiesa considerata in questa pubblicazione è da collocarsi tra le chiese “belle”. L’architetto Danilo Lisi ha progettato altre chiese collocandosi così tra quelli che mons. Crispino Valenziano chiamerebbe “architetti di chiese”.
Quella di San Paolo è una chiesa che si mostra semplice, pur nella complessità del suo insieme.Non può essere isolata dal campanile, dalla casa canonica, dai locali per le attività pastorali e dal grande auditorium, e tutto questo rende complesso il costruito, ma l’edificio chiesa, sia all’esterno sia all’interno, è semplice. Manifesta, a chi lo vede, di essere una chiesa, e questo in particolare a chi, avvicinandosi, è attratto dall’ingresso che propone tante croci. E ci si arriva entrando in uno spazio che è sagrato e anche elemento unificatore di tutti gli edifici di cui si è fatto l’elenco.
Non ho considerato il battistero che realizza, specie all’interno, un tutt’uno con l’aula per l’assemblea e il presbiterio, pur nella sua diversità di materiali (mattoni sia all’esterno che all’interno).
La semplicità di cui ho scritto sta infatti alla radice della bellezza, e questo in ogni caso, quale sia la forma architettonica, a partire dalle chiese più antiche per arrivare a quelle contemporanee: sono belle perché hanno tutto ciò che devono avere, nulla di meno, nulla di più. Questo si verifica, sia all’esterno, sia all’interno della chiesa di San Paolo.
Mi soffermo sull’interno. L’assemblea aggetta tutta verso l’altare che ha dimensioni modeste ma che spicca, lui segno di Cristo, nei cui confronti si rivolgono tutta l’assemblea e il celebrante che dalla sua sede, o dall’ambone, o dall’altare stesso, sostiene e anima direttamente i fedeli.
Sono semplici le due vetrate che in qualche modo definiscono un’abside, sono semplici le finestre che, numerose, garantiscono una forte luminosità. Le lampade, anche esse molto semplici, interverranno quando non c’è sole, o nelle ore notturne.
Ma anche la “bella chiesa di San Paolo” dovrà stare attenta. O meglio: dovranno stare attenti i suoi custodi, laici e pastori. Se verranno a mancare quegli elementi di cui ho scritto, che rendono “bella” una chiesa esteticamente…” brutta”, anche la bellezza formale della chiesa di San Paolo svanirà, perché non è sufficiente la sapiente teknè dell’architetto a far sì che l’edificio chiesa sia segno vivo della Chiesa, la “sposa bella” di uno Sposo che pretende di trovarla pronta per il Regno.

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