Splendere nella notte

Più che una tecnica, un’arte

Sono oltre 50, in tutta Italia, le chiese in cui è stato installato un impianto di illuminazione progettato da Valerio Maioli. In questa intervista ci parla delle cognizioni, ma soprattutto della sensibilità, che è necessario avere per affrontare la progettazione di un impianto illuminotecnico destinato a un luogo di arte e di culto.

Nel Duomo di Amalfi c’è quella grande oscurità ricca di risonanze che solo gli austeri spazi delle chiese sanno racchiudere. Nel silenzio vibrante, quasi impercettibilmente comincia ad accendersi un lume: in alto, presso l’arco dell’abside. La luminescenza emerge dal buio poco a poco e si rafforza, cresce, si intensifica. L’immagine che traspariva incerta, si può finalmente vedere, ora che la luce ormai si impone: è la colomba, simbolo dello Spirito. Si staglia con nettezza, ed è unico oggetto illuminato entro lo spazio ancora oscuro. Quand’ecco, mentre ancora lo sguardo affascinato indulge su quel volo etereo che ha aperto una finestra nella tenebra, anche giù in basso qualcosa riluce: è il crocifisso che sta sopra l’altare. E poi, quando con studiata gradualità anche le navate laterali cominciano a emergere nella semioscurità, il crocifisso, quasi ricevesse direttamente dalla colomba dello Spirito i suoi raggi, si fa pienamente presente in un vivo chiarore. E così, poco a poco, in crescendo vanno ponendosi in evidenza simboli e luoghi. Infine la grande navata si rivela col sorgere di questa nuova aurora, si manifesta tutta intera. E’ come una grande liturgia in cui la luce ripercorre, prima isolandoli e poi ricontestualizzandoli, i luoghi principali che compongono lo spazio della cattedrale. Così, quando questa in fine appare pienamente illuminata, è apprezzata nella complessità dei dettagli e della forma generale. L’insieme resta inciso nella somma delle diverse parti che sono apparse in gerarchica sequenza. Valerio Maioli osserva in silenzio: ha studiato a lungo col Vescovo di Amalfi questo particolare sistema. La luce che si apre gradualmente funge da introduzione al rito, diventa rito essa stessa.

Il grandioso scenario notturno delle rovine di Pompei. La luce si posa discreta su queste testimonianze di un’epoca remota.

Permette uno stacco netto, nel momento dell’immersione nell’oscurità, dal mondo esterno. Permette di ritrovare lo splendore della cattedrale ogni volta di nuovo, con la freschezza della scoperta. “E’ importante affinare la sensibilità, educarla, armonizzarla a fondo col luogo e col significato che esso reca in sé” spiega Maioli. “Occorre una lunga osservazione. Occorre un dialogo non superficiale con chi quel luogo conosce. Se no, progettare un sistema di illuminazione si riduce a mero gesto tecnico e allora è persa l’anima dello spazio architettonico”.
Oggi la sensibilità per la luce è cresciuta. Molti architetti e designer si impegnano in questo settore….
“Sì, ma io mi trovo spesso in contraddizione con questi designer. Hanno spesso la tendenza a progettare a tavolino, lavorando al computer, sulla base di tabelle e di cognizioni preconcette. Ma la luce è qualcosa di vivo, e lo spazio ha bisogno di essere vissuto e compreso. Illuminare una chiesa, o qualsiasi altro luogo architettonicamente significativo, tanto più se ricco di storia e di arte, è non solo una questione tecnica, ma soprattutto, direi, di sensibilità. E di grande rispetto per il luogo”.
Lei come procede, segue un metodo?
“Certamente. Il nostro metodo è quello di conoscere a fondo il sito. Viverci finché non lo sentiamo veramente nostro. Quando ci hanno chiamati a illuminare il Santo Sepolcro di Gerusalemme, la prima cosa che abbiamo fatto è stato di vivere per quattro giorni in quello spazio. Partecipando a tutte le celebrazioni che vi tenevano i cattolici, gli ortodossi e gli armeni. Solo dopo avere compreso qualcosa di quello spazio abbiamo cominciato a pensare in che modo procedere per illuminarlo”.
Illuminare è anche un po’ interpretare un luogo….
“Sì, ma credo che interpretare voglia dire anzitutto rispettare quel luogo. Spesso i light designer desiderano sovrapporre la loro interpretazione: il luogo diventa così “firmato”. A me sembra più giusto procedere con umiltà: ascoltare, comprendere e cercare di restare il più possibile attinente a quel che il luogo è. Ecco, direi che ho un poco forse la presunzione dell’umiltà, per così dire”.

Le diverse fasi dell’accensione della luce entro il Duomo di Amalfi. Lo sguardo si focalizza sulla colomba, poi sul crocifisso e quindi si allarga all’intero ambiente.

Questo è forse particolarmente importante per le chiese…. “Le chiese hanno caratteristiche tipologiche assai diverse. Ognuna è un mondo a sé, pur nella unicità del rito che vi si svolge. Ribadisco: l’aspetto sostanziale a mio avviso è la capacità di mettersi in ascolto. Solo dalla acquisita consuetudine con quella specifica chiesa, con quella specifica architettura, si potrà poi derivare, sulla base delle cognizione tecnologiche, un progetto illuminotecnico. L’illuminazione elettrica è fondamentale, consente l’uso della chiesa nelle ore serali e notturne, consente di porre l’accento su certi momenti liturgici, su specifiche azioni…. Ma può anche stravolgere lo spazio, sovrapporsi in modo invadente all’architettura. Abbiamo visto che effetti assurdi possono causare i grandi corpi illuminanti, specie di riflettori da stadio, che talvolta ritroviamo in chiese pur anche di pregio. Sono un pugno in un occhio. E opprimono l’architettura, svilendola”.
Insomma, l’illuminazione non è affare da tecnici, per quanto bravi, ma da artisti, tuttaviala tecnica ha la sua parte. Per esempio, proprio per evitare di ingenerare ingombri eccessivi…
“Un momento, certamente
ci vuole arte per illuminare bene una chiesa. Ma non mi sento un artista nel momento in cui mi accingo a intervenire su un edificio di culto. Mi sento semplicemente uno che cerca di capirlo fino in fondo. Un interprete, direi, più che un artista. Riguardo all’aspetto tecnico: è evidente che occorre utilizzare gli strumenti più adeguati, e per farlo occorre conoscerli. Per quel che mi riguarda, in certi casi ho richiesto che le ditte produttrici realizzassero corpi illuminanti ad hoc: delle dimensioni e delle caratteristiche adatte. Per esempio, una stecca che racchiude una serie di lampade LED. Sono lampade a bassissimo consumo che durano 200.0000 ore ed emettono una luce di bassa potenza ma capace di mostrare, senza imporli sfacciatamente, alcuni particolari, quali certi archetti, le imposte delle volte, o altro. Rendono gradevole la visione senza sparare intensità luminose da capogiro”.
Lei utilizza i computer per manovrare le luci…
“Certamente. Computer, microchip e telecomandi, per controllare le lampade a distanza senza bisogno di invadere lo spazio della chiesa con cavi elettrici. Basta un unico cavetto per l’alimentazione delle lampade.

La Basilica di San Vitale in Ravenna. Alla parte bassa, antica, si sovrappongono verso l’alto le decorazioni barocche. Ne nasce una sinfonia di colori che la luce sapientemente dosata restituisce con armonica coerenza.

Il cavetto è facilmente nascondibile alla vista, e ogni lampada può essere accesa o spenta, e l’intensità luminosa può essere variata a piacere. Il computer può essere usato per stabilire dei criteri preordinati di accensione e spegnimento, allo scopo di ottenere gli effetti desiderati. Oppure il sistema può essere comandato manualmente. In ogni caso tutto resta perfettamente sotto controllo”.
Come ha sviluppato questo sistema di illuminazione?
“L’idea ci è venuta quando ci siamo trovati di fronte all’impegno di installare un impianto di illuminazione per la basilica di San Vitale a Ravenna. Ne discutevo con la Soprintendente, Anna Maria Jannucci. Ed era chiaro che l’ideale sarebbe stato di riprodurre, con l’illuminazione artificiale, l’effetto della luce del giorno. Era necessario insomma installare un sistema che permettesse di variare gradualmente l’intensità dell’illuminazione e la provenienza dei fasci di luce. Ci venne in aiuto la nostra esperienza con le corse di Formula 1. Già dai primi anni ’80 avevamo studiato il sistema che venne adottato, prima dalla Ferrari e poi da altre Case costruttrici di automobili da corsa, per permettere di comunicare dai box col pilota durante la competizione. Da quel genere di comunicazione a distanza è nato il sistema di telecomando usato per controllare l’accensione e la variazione dell’intensità luminosa in San Vitale. Quelle che si accendono per prime sono le lampade esterne: la luce solare infatti giunge da fuori, non da dentro. Quindi, gradualmente si accendono le altre lampade. Col passare delle ore si riproduce l’effetto del transito della luce solare. I corpi illuminanti restano nascosti alla vista. L’effetto è una approssimazione di quello che si ha con l’illuminazione solare, con qualche aggiunta che consente di vedere particolari che l’ombra altrimenti nasconderebbe. Tuttavia è da notare che l’ombra ha la sua importanza. Senza ombra non c’è luce e lo scopo dell’illuminazione non è di cancellare le ombre, ma di renderle il più possibile consone all’immagine plastica dell’oggetto, per dar corpo alle masse ed espressione alle forme”.
Oggi vanno molto di moda le lampade colorate….
“Alcuni illuminotecnici, a mio avviso sbagliando, suggeriscono l’uso di lampade di colore giallo, che consentono un risparmio energetico. Il problema è che l’occhio umano è abituato alla luce bianca. Per poter apprezzare pienamente un oggetto illuminato con coloritura giallognola è necessario dare un’intensità luminosa molto forte: ed ecco che il risparmio energetico si riduce… Io credo si debbano usare fonti di luce chiare, il più possibile vicine alla ricchezza cromatica della luce solare. Abbiamo installato lampade colorate in alcune situazioni, come a Piazza del Plebiscito a Napoli: ma vengono accese solo per dieci secondi, mentre accompagnano lo scandire delle ore e dei quarti d’ora. La luce stabile è sempre e solo quella bianca, quella più consona all’occhio umano”.

(L. Servadio)

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