Un rustico contadino su un’aspra isola vulcanica

Al lato estremo di Pantelleria, unita alla civiltà da una stretta strada di mezza costa, questo antico “dammuso” è diventato una villa per feste mondane molto frequentate.

Vi sono molti modi d’intendere il mare e le relative vacanze: scegliere un’isola vulcanica di lava scura dove il sole batte forte perché prossimo alla costa africana, è decisamente particolare. E’ il caso di Pantelleria, un’isola del canale di Sicilia che dista 70 km dalla Tunisia e 110 dal siciliano Capo Granitola (queste vicinanze sono significative).
Non vi è acqua se non quella della pioggia, di anno in anno sempre più scarsa; non vi sono strade se non quelle strette pensate per gli asini. Anche l’energia elettrica è problematica e all’ospedale ci si va in elicottero (quando c’é). Insomma è un’isola scomoda, perché andarci? Eppure gli affezionati non cambierebbero il loro rustico “dammuso” con  una villa in Costa Azzurra dove c’è tutto quel che qui manca. Cosa li attrae e li costringe a queste scomodità?
Se avete sentito parlare di mal d’Africa, ebbene, anche se qui gli africani sono pochi pare che succeda la stessa cosa: quella “malia oscura che sotto il sole accecante cattura nel profondo”.Superstizioni a parte, cosa fa scegliere a persone abbienti abituate a tutti i comfort di regredire a uno stile di vita primitivo da contadino dell’800? Qui la pietra lavica ha un sapore preistorico che toglie dal presente e trasporta in una dimensione irreale, qui c’è un mare meraviglioso (ma c’è anche nella più comoda Costa Smeralda) e qui quando c’è burrasca si è isolati dal mondo. Forse tutto questo si può chiamare “sindrome di Robinson Crusoe”, simile all’esperienza di quando si esce dalla civiltà e si misurano le proprie forze a mani nude col potere della natura primordiale. Forse è proprio questo: un modo di riscoprire la propria forza di uomini padroni di sé e del mondo, anche rinunciando all’ausilio dei nostri confortevoli ma condizionanti strumenti tecnologici.E’ guardandola dall’alto che questa costruzione si rivela essere un “dammuso”, la tipica casa contadina sulle isole del canale di Sicilia. Infatti il tetto piano è arricchito da più cupole a padiglione, una per ogni stanza, per proteggere dal caldo e convogliare l’acqua piovana in una cisterna, dal momento che l’isola, essendo di origine vulcanica, non ha sorgenti.Il proprietario qui ha fatto una scelta: non ha voluto mettere in risalto il carattere arcaico del “dammuso”, ha preferito inserirlo in un sistema di divani in muratura a picco sul mare che lo rende simile una tipologia mediterranea più solare, come ad esempio quella di Capri. Questi divani pensati per una ventina di persone comode (e molte di più se ammucchiate) sono disposti in circolo attorno a un tavolino pieghevole, perché tutto qui dev’essere spostabile e stivabile all’interno per via dei forti venti.
Sopra la tettoia di piccole canne che protegge dal sole la zona pranzo, vi sono pilastri che sorreggono un’altra pensilina e un’amaca pensata per godere appieno la deliziosa brezza marina che qui c’è sia di giorno che di notte.In contrasto con la terrazza e i divani rigorosamente bianchi, l’esterno del dammuso ha un delicato color rosa tradizionale di quest’isola. Gli interni sono ravvivati da pavimenti con piastrelle di Vietri a fiori stilizzati su fondo blu, lo stesso blu profondo del cielo. Gli sportelli e le porte sono invece colorati con quel tipo di celeste che facilmente si trova in Provenza, e che qui sembra alquanto spaesato. Negli interni è bellissimo il rapporto delle aperture ad arco con le coperture a padiglione: su queste superfici intonacate di bianco la luce gioca in modo magico.Questa strana tipologia di casa, con coperture tondeggianti che coprono spazi quadrati, ricorda un modo di costruire di tempi molto antichi, in particolare le cupole e cupolette dell’architettura tardo romana e bizantina. Pare invece, per ragioni costruttive, che questo tipo di costruzioni provengano dal Magreb islamico, importate dal sultano di Kairouan quando invase e occupò stabilmente tutte le isole del canale di Sicilia. Qui i nuovi coloni importarono la cultura materiale del Nord Africa, tra cui la coltivazione degli agrumi e dell’ulivo, piante che si coltivano ancor oggi, e un’architettura per luoghi torridi studiata per combattere il caldo con una doppia muratura in pietre pesanti con intercapedine in pomice. Per combattere la siccità ricorre alle volte a padiglione che incanalano l’acqua piovana, e per difendere le piante dal vento utilizza dei piccoli nuraghi troncoconici in pietra a secco, molto particolari, alti fino a tre metri.

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