Tratto da: Il ferro battuto N°15 |
Recensione: l’Arte del ferro nel Ducato Estense | |||||||
Le corporazioni dei fabbri hanno mantenuto al proprio interno una notevole disciplina. Si occupavano di vigilare sulla preparazione dei singoli artigiani. La corporazione dei fabbri fu ovviamente tra le maggiori nella città di Modena: il che è tuttora testimoniato dal gran numero di persone che recano cognomi quali Ferrari, Ferri, Fabbri ecc.: tutti derivanti dall’esercizio del mestiere di fabbro da parte dei capifamiglia. Se è dal XIII secolo che si ha una documentazione relativa alla costituzione e all’organizzazione della corporazione, “dati più precisi ed aggiornati sulla consistenza numerica dei lavoratori dei metalli – scrivono Barbolini Ferrari e Boccolari – possiamo trovare solo dopo che il duca Francesco V ebbe istituito nel suo stato un Ufficio di statistica, a capo del quale era il consultore Carlo Roncaglia, il quale ci offre un panorama completo della situazione, riferito all’anno 1850”. Si trattava di piccole botteghe: il proprietario e alcuni garzoni. Le botteghe più numerose erano quelle dei fabbri, vi erano poi in ordine di importanza i maniscalchi, gli armaroli, i chiodai, i tornitori e quattro fabbricanti di lime. Nel ducato estense si trattava di una produzione di carattere strategico: infatti da questa dipendeva la tecnologia militare e il funzionamento dell’economia. Di qui la posizione di privilegio goduta dai fabbri rispetto alle altre categorie produttive. Questo spiega anche il motivo per cui tanti si dedicarono a questa professione e da questa cavarono notevoli vantaggi di carattere economico. La storia della produzione del ferro è in generale la storia dell’industria ai suoi primordi. Ruote per i carri, armi, arnesi agricoli sono macchine, strumenti che permettono il lavoro. Strumenti sempre più efficaci a misura che l’abilità del fabbro aumenta e riesce a produrne di fattura tale da garantire un buon funzionamento protratto nel tempo. Leonardo Servadio
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