Quel messaggio che rende eloquenti le opere Un incontro di studio sui Beni Culturali e la Chiesa. La qualità e la quantità delle opere accumulatesi nei secoli nelle chiese fa di queste uno dei più importanti depositi d’arte al mondo. Gestire tali beni non vuol dire trasformare i luoghi di culto in musei, ma ridare valore di testimonianza ai dipinti, alle sculture, agli oggetti liturgici. Riportiamo l’intervento sull’argomento di S.E.R. Mons. Mansueto Bianchi,Vescovo di Volterra.
Una seconda osservazione che vorrei fare è che l’eccezionale ricchezza di Beni Culturali Ecclesiastici presenti in Toscana ci lascia impotenti e spossati… non ce la facciamo a salvare tutto! (…) Credo che a questo proposito occorra continuare una riflessione saggia e realistica che, dopo averci impegnato a ricercare risorse, ad attivare sinergie, a suscitare interesse ed assunzione di responsabilità presso istituzioni, enti privati, volontariato e quant’altro, ci aiuti ad affrontare con intelligenza il problema di cosa cedere, in quale forma cedere, a chi cedere e con quali criteri, allo scopo di mantenere, salvare e trasmettere il più possibile di quanto ci è stato affidato. Una terza osservazione che vorrei fare riguarda la formazione (…). Al di là di poche persone, veramente e compiutamente formate, devo rilevare come sia il grande flusso turistico con le sue guide e le sue risorse informative, sia il mondo degli studiosi in generale, con il classico approccio critico, storico, filologico, estetico, rimane ordinariamente estraneo al messaggio che l’opera vuole trasmettere. (…) Ci attende, ed in parte già stiamo camminando in questa direzione, un eccezionale impegno nell’investimento formativo per riconsegnare voce ai Beni Culturali e riallacciare il dialogo, il racconto della fede tra generazioni. Dobbiamo investire in formazione: dei Preti e dei Seminaristi prima di tutto… Ma vedo altresì l’urgenza di investire in formazione dei laici che saranno gli operatori culturali del settore (…). Una quarta osservazione che vorrei fare riguarda la sensazione di un eccezionale impoverimento nel rapporto arte-fede. "Pochi comprendono il messaggio dei beni culturali ecclesiastici. Sia il flusso turistico, Lo dirò in termini prosaici e costatativi: guardandomi attorno, in Diocesi e fuori, tra le Chiese di recente costruzione, mi capita raramente di trovarne una bella. La costatazione si fa ancora più pesante se passiamo a parlare degli arredi liturgici. È un aspetto che dovrebbe destare attenzione e preoccupazione perché dice l’indebolirsi di un rapporto che è stato vitale attraverso i secoli: quello tra fede ed arte. (…) Bisogna avere più coraggio e riuscire a "scommettere" sugli artisti contemporanei: su quelli bravi. La mediocrità e la sciatteria non si addicono né ai contenuti né all’espressione della fede e sono un moltiplicatore di scristianizzazione. Credo che in merito occorra però mettere un paletto: bisogna che il Bene Culturale che produciamo abbia una leggibilità per il Cristiano medio delle nostre Comunità e per l’uomo medio di oggi, altrimenti fallisce uno degli essenziali obiettivi nel rapporto tra Beni Culturali e Comunità Cristiana. Una quinta ed ultima riflessione che, come Vescovo, vengo facendo riguarda il rapporto con le Soprintendenze per i Beni Ambientali, Artistici e Culturali… vorrei accennare a tre specifici problemi in cui mi imbatto con una certa frequenza. Il primo è quello della recettività delle Soprintendenze alle esigenze del rinnovamento liturgico, in particolare l’adeguamento dei presbitèri. Il problema è quanto mai delicato, importante e diffuso. Non si può perciò procedere per semplificazioni, improvvisazioni o avventatezze. Devo rilevare che in proposito sono stati fatti notevoli danni per scelte improvvide da parte di Presbiteri e Parrocchie, soprattutto dalla fine degli anni Sessanta a tutti gli anni Settanta. Attualmente però mi pare che la posizione di non poche Soprintendenze sia di totale immobilismo, di conservazione dello stato esistente, costringendo ogni altra legittima esigenza a soluzioni cosiddette "provvisorie" e posticce che durano generazioni. Un secondo particolare problema è costituito da quello che chiamerei un "esproprio silente" delle opere d’arte di proprietà ecclesiastica. Spesso si configura come un ritiro dell’opera per il necessario restauro. I tempi dell’intervento si allungano indefinitivamente fino a superare anche i dieci anni, tanto che se ne perde memoria o almeno la speranza del rientro. Il cambiamento dei Parroci e talora la perdita della documentazione di consegna fanno il resto e l’opera finisce in un museo o più tristemente in un deposito. Un terzo problema riguarda i criteri con cui condurre il restauro. È necessario che essi vengano concertati previamente per evitare il rischio che l’unico criterio seguito sia quello rigorosamente filologico S.E.R. Mons. Mansueto Bianchi
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