Piovono rane in Magnolia

Piovono Cubi nel periurbano metropolitano Moderno Contemporaneo romano.
Open Cube di Sol Lewitt (Berlin, National Galerie) è una variazione forte del reticolare tridimensionale seriale Modular Cube, 1968. Consiste in un tubo quadrangolare, a sezione quadrata, che percorre fisicamente una porzione soltanto del cubo virtuale o potenziale che rappresenta, quanto basta – a partire da un solo punto – per fornire l’idea del cubo intero: ed infatti è definibile come ‘l’espressione fisica dell’essenza del cubo’, insieme a molte altre opere del minimal-conceptual, da non confondersi con i minimalismi trendy ricorrenti nelle oscillazioni del gusto della moda, come del resto la serie di cubi messi in fila oppure le mensole sospese a distanze misurate e con statica nascosta ad una parete. C’è una platonica Idea della cubicità a presiedere ad ogni realizzazione pratica contingente particolare di un Cubo. Forse si può edificare perfino una cubicità verticale, piatta come il mondo di Flatlandia, un Quadrato come imposizione di una Traccia a terra di un campo urbano. Abitabile, magari.

Dov’è che stiamo andando/ nel succedersi del tempo/ avrai un progetto o no/ per la tua vita? … andiamo. (F. Battiato)
Vuole dire che per andare dovunque è necessario un Progetto, qualcosa di individuale ed intenzionale, meglio se passibile di una messa in scena dotata di figuralità produttrice di senso (fosse anche magari non senso).

I quartieri residenziali sognano la violenza. Addormentati nelle loro sonnacchiose villette, protetti da benevoli centri commerciali, aspettano pazienti l’arrivo di incubi che li facciano risvegliare in un mondo più carico di passione. (J.G.Ballard)
Vuole dire che la passione della violenza è insita negli umani e non nelle forme dell’abitare, che possono o meno rappresentarla o mascherarla, nel landmark fantastico pop del Metro Center (centro commerciale e stadio e multisala eccetera in enclave dominante) piuttosto che nelle home eclettiche buoniste, ma in realtà da prefabbricata scatola di montaggio, cioè di paradossale domesticità serializzata. Allora forse l’architettura nella baraonda metropolitana dovrebbe assumersi oneri ed onori della rappresentazione del conflitto, tra bassi ed alti potenziali?

L’architesto è dunque onnipresente, al di sopra, al di sotto, attorno al testo, non tesse la sua tela che appendendola, qui e là, a questa rete di architestura. (G. Genette) Vuole dire, mi piace in quanto non c’è oggetto che non giochi con un soggetto magari anonimo e con un contesto di relazioni e processi e configurazioni, cui possa oaderire, o contrapporsi in modi significativi magari dell’insignificanza cosmica dell’umano, come in un gioco interumano-sovrumano-sottumano, un gioco che lavora anzitutto su una architestura che comprende l’architettura e che contiene un astratto pre-linguistico linguaggio di spazi e punti, linee e superfici (e materie e colori e luci?).

Immagino di trovarmi davanti, su un terreno piano, due cubi dell’apparente misura di sei metri di lato. Ma si tratta di due cubi astratti, chiusi, senza qualità di superficie, senza spessore, senza colore, come in un quadro del periodo surrealista di De Chirico: lo stesso terreno è astratto, incorporeo … Supponiamo ora che mi sia possibile entrare in uno dei cubi, attraverso una porta al centro di una delle facce verticali … Quando esco, al posto dell’altro cubo trovo invece tre cilindri, apparentemente dello stesso diametro e della stessa altezza …
Ma ecco un cilindro molto più grande con una porta che mi attrae e mi invita … Sono all’interno del Pantheon, e il cilindro è ora un edificio, articolato nelle nicchie … (L. Quaroni)

I cubi di Ludovico sono strani solidi immaginativi dell’Effetto spaziale, paragrafo 18 di Costruire un edificio, dove l’autore esce dalla logica manualistica lasciandosi andare ad una fantasia di spazialità, una lucida folie geometrica. Riprendono certo la formula celebre di Le Corbusier sull’architettura come gioco magnifico di volumi nella luce, che nella ‘lezione di Roma’ sono i solidi puri platonici. Dopo quell’ordine ideale del mondo, il Durer può proporre di fronte alla sua Melanconia una pietra di geometria cristallina irregolare. Può piacere all’architetto contemporaneo Moss quel satellite a geometria strana, pre o post euclidea, dal nome omerico come di spaventoso, Phobos, quasi una patata.Ricordo anche la piramide sospesa in cielo nel racconto di Bilal come sentinella custode di protezione e/o di controllo sopra la città postmoderna.
E la Sentinella monolite metallico parallelepipedo politissimo di 2001 odissea nello spazio (dopo certo viene lo sporco irredimibile di Strange Days e di Blade Runner, come può collocarsi l’architettura in quella baraonda pervasiva disperante di delirante rumorosità?).
Ricordo le sfere ed i parallelogrammi regolari senza misura né materia che Magritte fa apparire come astratta presenza incombente senza spiegazione, sur-reale, s-misurata, nel paesaggio realistico, di alberi e casette con tetti, del suo Aritmetica mentale, 1931. Sta vicino al ‘Mondo dei blocchi’, un gioco dove volumi piramidali e scatolari si dislocano reciprocamente parlandone come tra loro come fossero oggetti-soggetti, con l’ausilio di un mediatore linguistico-mentale. Dentro un volume – un libro, stavolta – bellissimo e illegibile, strapieno di giochi geometrico-spaziali come quelli di Escher, Godel, Bach: un’Eterna Ghirlanda Brillante, scritto da D.R. Hofstadter. Un gioco linguistico come anonimo, prima che espressivo di graveolenti umane, umanoidi personalità.
Il Gioco, strategico per il progetto surreale di Rem Koolhaas viene esplicitato da M. Biraghi nel suo Il progetto di crisi. Bigness si incontrascontra con Junkspace, il sublime del grande Palazzo più oltre che reale si scontra con lo sporco metropolitano pervasivo. Miniaturizzazione e gigantizzazione sono retoriche complementari identicamente relativizzanti l’umanistica misura d’uomo, si confrontano con lo Smisurato.
Smisurato è il Central Park e pragmatico, circa quattro chilometri per ottocento metri di rettangolo naturale al centro della città più artificiale del mondo, applicazione ormai convenzionalizzata eroicamente da Olmstead del giardino all’inglese a morfologia simil-naturale e tuttavia attraversabile dalla metropoli mediante cavalcavia stradali. La grande dimensione e la grande economia aiutano l’America sempre, verso le compatibilità delle differenti forme della modernità.
Tuttavia anche altrove la Città Moderna sta evolvendo rendendo problematica la messa in forma unitaria delle crescenti complessità.
Il disegno della Città industriale di Garnier – una città a placche separate sul territorio simile alla Naked city del situazionista Debord – ne era stata profezia non utopistica. Estenuanti impianti ottocenteschi per assi e piazze e viali e tessutalità di varie configurazioni non ce la fanno più a tenere insieme ciò che si separa, la Vienna di Musil sarà la descrizione del processo … Smisurato è parola che riporta al nichilismo e superomismo di Nietzsche bene o male interpretato dai totalitarismi, che variamente propongono uomini nuovi sì ma di massa, e dunque divisi tra l’aspirante Oltre-uomo aristocratico e demiurgico, sollevantesi anche mediante aristocratiche crudeltà e ingiustizie sugli uomini-formica, da sottomettere a fini superiori convincendoli o comunque vincendoli anche con violenze altrimenti inconcepibili.
Smisurato è una parola. Karl Marx Hof è una brillante, mai ripetuta eccezione. Corviale ne è ripetizione in delirio di onnipotenza. Molti esempi precedono, nelle età del Monumentale sublimato-sublimante: Escurial, Granada, all’E42 il cubico Palazzo della Civiltà … Smisurato è fattore tra i possibili di un possibile Grande Stile nicciano, reinterpretabile però mediante paradigmi della contemporaneità: porosità e parallax, frattali e spugna
e schiuma, piega e processo, scalarità molteplici e discontinuità, parzialità e frammentazione, sempre più radicali astrazioni al calore bianco di una architettura come pura ospitalità spaziale asettica, espressività laconica, musica del silenzio o del rumore bianco.

Piovono rane in Magnolia the movie, nel finale biblico, piovono cubi virtuali sul GRA o sulla Tangenziale ovest, già ‘olimpica’, di Roma.
Come una punizione divina, replica finale della biblica catastrofe senza redenzione, oppure come apocalittica rivelazione di altri possibili?

Lo schema di Alessandro Lanzetta dispiega un tratto del Grande Raccordo Anulare di Roma, e indica assonometrie ideali dei palazzi di città in forma di cubi virtuali smisurati (100x100x100!?) che si situano strategicamente ma come cadendo dal cielo in assenza di una zonizzazione pregiudiziale di Piano regolatore, piovono e levitano come in un disegno multiprospettico spaziale.

Certo è roba per un superumano o postumano, concetti che non intravedo consapevoli in questa città metropolitana interrotta di macerie e sciatteria, come l’immagine di questa artistica digitale verde testa d’uomo ma come di robot e però come coltivata a verzura, suppongo, geneticamente modificata.

Dalle figure del reale, come ti tola il mio ultimo libro antologico curato da Gianpaola Spirito, presumo possano debbano prodursi, inventarsi, scoprirsi, immaginarsi figure del surreale, o del transreale.Non mancano, anzi abbondano, i modelli antecedenti storici e vanno dal palazzo Farnese alla biblioteca di Exeter, dal Big building ripetuto da Koolhaas e soci, magari dismessi, alla Grande Arche di Parigi, dal centro direzionale di Torino di Aldo Rossi e di Ludovico Quaroni: un quadrato 300×300 assolutamente laconico, ed un mazzo di skyscraper tipo downtown retinati in un volume cubico virtuale, e certo come mi ricorderà qui polemicamente dalle cubicità ossessive di Purini oltrechè dalla chiesa di Fuksas.

C’è del visionario ma c’è del metodo in quella follia, un metodo che non appare nella urbanistica moderna di lottizzazione-partecipazionegestione né nella architettura italiana contemporanea, succube politicamente di quella, ed anche di un ambientalismo conservazionistico arcaicamente, però forse ipocritamente, spalmato sul territorio senza scelte di differenze di potenziali diversi, di dislivelli di qualità. Di intenzionalità oltre che naturalistiche.

Avevo cominciato qui, nel 2008 (Architettura e Città n. 4, La città continua, ndr), proponendo la tematica del Giedion sul Core della città e sulla problematicissima Monumentalità della modernità, contro la liquidazione ipocrita dell’architettura – con l’archistar assunta a sleale fantoccio retorico – da parte di sociostar o antropostar da spettacolo (quelli che continuano a girare il mestolo nel minestrone del non-luogo piuttosto che spiegarsi come da un luogo bene o male esistente si passi spesso ad un nuovo luogo-senza-luogo – aeroporti e centri commerciali sono esempi al limite, cioè esemplari di una qualche tendenza ma non tipici della condizione generale – che si riconfigura in quanto luogo proprio attraverso la invenzione, e la realizzazione sintetica del progetto e della sua responsabile tettonica).
Con violenza, mi cominciava a venire in mente (seguendo la formula di Altan e stancandomi della corrività delle celebrazioni del desordre metropolitano, che mescolano indistintamente, cioè confondono l’intenzionale disordinamento artistico e la incosciente complicatezza insediativa moderna) le morfologie complesse e la complicata baraonda della città italiana moderna abbandonata a se stessa (tanto da far risorgere nei più insospettabili rinnovati sogni di paesi nordici a socialdemocrazia matura).

Nei paraggi dello svincolo tra GRA ed Autostrada Roma-Fiumicino, in una plaga sviluppatasi ‘spontaneamente’, si tratta di identificare un quadrante-quadrato teorico virtuale che faccia da campo di relazioni nuove vecchie, strutture infrastrutture … recependo all’interno le reticolate tessutali e le linee infrastrutturali varie piuttosto che lasciandosene definire i confini dallo zoning funzionale-proprietario-immobiliare.
Lo so, trattasi di utopia-ucronia che rischia di farsi dis-topia. Imporre un campo virtuale quadrato o rettangolare come figura riconoscibile, poi agire proiettando figure nell’esterno e invece recependo elementi contestuali nell’interno, e poi lasciare che si stagli sul tutto il cubo virtuale tra primordialle e science fiction, e che esso si articoli dentro secondo paradigmi spaziali del Moderno Contemporaneo.
Il grande Cubo smisurato appare dentro quel campo come un sogno, ma più realisticamente, partendo dallo squilibrio programmatico, tesse e ritesse le relazioni del contesto producendo infine un nuovo Testo, entro la confusione retorica complice del non luogo inevitabile della modernità. Perciò del resto stiamo lavorando intorno al Moderno Contemporaneo.

Abbiamo studiato a più riprese le condizioni attuali e di tendenza del periurbano romano, dove risulta ovviamente una mancanza di luoghi della centralità pervasiva e irredimibile.

Il Nuovo PRG mette le Nuove Centralità periurbane tra le strategie prioritarie, tuttavia esse sono sospettate di compromessi immobiliari che premiano ancora quantitàtroppo soltanto residenziali, e d’altra parte sono spesso molto, troppo esterne nel territorio del deserto del Lazio. Ciò corrisponde ad una sottovalutazione delle aree periferiche entro il GRA o in sua prossimità, che sono state spesso lasciate a se stesse per decenni.
Come l’asse della via Portuense che abbiamo studiato (A. Criconia, A. Terranova, a cura, La qualità dell’urbano, Meltemi, 2010). Dal Trullo fascista ai vicini quartieri popolari dopoguerra, dal Trullo due, spontaneo ovvero abusivo e non riqualificabile, al Corviale, dalle palazzine spruzzate qua e là fino al Parco Leonardo. Ovvero dal piccolo quartiere popolare residenziale per gente povera e brutta e forse cattiva, spostata o tenuta sul bordo esterno della città fino ad un pacchetto integrato di residenze medioborghesi di centri commerciali a fottere e di multisala a strafottere, con programmi funzionali e stilistici programmati con precisione (zuccherose le prime, luxury i secondi, metropolitano-
rugginose le terze), come per abitanti a loro volta già programmati con il loro, diciamo, consenso non propriamente partecipativo.
Come nel cinema statunitense iperrealista. La prevalenza degli oggetti. American Beauty, Magnolia. Un uomo giusto, ovvero perbacco Zombies?
Oppure come lungo il percorso tormentato della tangenziale nordest, dalla valle dell’inferno al piazzale Clodio fino al Nuovo Salario e la Nomentana, che dal 1960 olimpico è cresciuta a pezzi e bocconi lasciando per ogni dove luoghi-non-luoghi irrisolti e come selvatici, eppure preziosi per nevralgicità infrastrutturale, la metropolitana, il passaggio dal viale Mazzini alla panoramica di Monte Mario, e varie aree inspiegabilmente non utilizzate per nuove centralità tanto richieste e declamate. Su questo ed altri tracciati vedi gli studi presenti sul primo numero di bluPRINT, Roma Paesaggi Metropolitani, annale del DiAR, Roma, 2009.Abbiamo per altro verso seguito il dibattito sulle relazioni possibili tra l’informe metropolitano, spesso ideologizzato come spontaneo e liberato e positivamente anarchico, ed estetizzato con riferimenti spesso affrettati alle avanguardie espressioniste e dada e surrealiste e futuriste, ed una buona architettura contemporanea, di elite e di massa e soprattutto di midcult, che, pur comprendendo le fenomenologie del disordine e dei nuovi Barbari di Baricco, non ne rimangano complici sciocche.
Da Koolhaas a Zenghelis, da Nouvel a Foster, da Morphosis ai molti più insospettabili abbiamo trovato
esigenze e proposte di un intervento dell’architettura all’altezza dei bisogni di ordine Moderno Contemporaneo, anche simbolico.
Abbiamo ritrovato in Sigfried Giedion, lo stesso che in Space time and architecture celebrava lo stile elegante dei raccordi autostradali a più livelli nella loro autonoma geometria, una antica ritornante esigenza di Monumentalità Moderna – una nozione che contiene una contraddizione ma perciò chiede proposte ulteriori.

La ricerca progettuale sul GRA diretta presso il DiAR da Roberto Secchi, che sta facendo seguito alle letture critiche ad esempio di noi ex-ragazzi di Gomorra la rivista, produce a sua volta stimoli di nuova valorizzazione di infrastrutture e nodalità ed emblematicità architettoniche in quel territorio di campagna-città che è il periurbano romano abbandonato agli ultimi vagiti della vecchia città radiocentrica.

Della fenomenologia dell’informe, del cattivo infinito, fa parte integrante sia una sottovalutazione dei luoghi del Pubblico istituzionale nell’urbano, sia una colpevole assenza di dignità disciplinare-professionale dell’architettura romana nella rivendicazione politica di uno spazio politico rimasto vuoto o riempito di edilizia dozzinale occupata magari in affitto dalle stesse istituzioni. Ancora, l’accelerata invasione di tipi edilizi atopici come i Centri Commerciali o di tipi enclavizzati come Uffici o Magazzini o Fabbriche, ha comportato quasi sempre una accettazione fatalistica ed acritica delle caratteristiche iperbolicamente separatorie che quei tipi comportano. Non si è, nonché inventato, neppure pensato il pensiero di integrazioni possibili. Infine, mancanza di impianti. E Paura dello Smisurato metropolitano.

L’arte contemporanea presenta insistentemente l’esigenza di venire a capo dello Smisurato, inteso come umana condizione di non misuratezza ingenua e ottimistica come la misura umana della modernità razionalista e magari neoempirista ed organica, come condizione ineluttabile di denaturalizzazione e di astrazione dell’insediamento, di mescola artificiale naturale della camapagna-città ma anche di confronto coraggioso all’altezza delle profezie del nichilismo positivo del super-umano come alternativa all’uomo-formica. Non si tratta di illudersi ancora della bontà automatica del Progresso, del pasoliniano Sviluppo senza Progresso, né dell’unione una volta per sempre tra Arte e Vita, nel nome di un Cittadino tanto democraticamente sovrano da non avere bisogno di Rappresentazione dei potenziali vari dialettizzati in una Democrazia certo non più ateniese. Della diffusione dell’artisticità nei singoli membri dei popoli liberati e perciò stesso per sempre buoni e belli, senza nessuna delle mediazioni politiche elaborate in modi sempre più e talora eccessivamente complessi nel Moderno Contemporaneo. Si tratta di riconfigurare secondo morfologie rinnovate le Monumentalità dei luoghi del Governo pubblico declinabile ormai senza complessi insieme alle convenienze ed alle opportunità del privato. Nuovi Palazzi di Città potrebbero rendere riconoscibili i Luoghi centrali del Collettivo in organismi architettonici plurifunzionali capaci di tenere insieme la politica e la cultura, il commercio e l’intrattenimento.
Utopia o Ucronia? Comunque, consapevoli della intenzionalità teorica nostra, disegnare una Tensione tra il già possibile e visibile e l’invisibile, almeno oggi, apparentemente impossibile. La corona della città di Bruno Taut, quello della Dissoluzione della città? Tante corone della città metropolitana? Punti iconici di riconoscibilità e riferimento per i territori periferici a rischio di desertificazione? Questioni di spazio. Bisogno di una Imagerie delle spazialità contemporanee.
Figure, con misure e materie, con tettoniche anch’esse figurali. Un elenco random: la spugna, la schiuma, la sfera. Il cubo frattale. Il permeabile. Il poroso. Essere John Malkovich ovvero lo spazio virtuale del piano inesistente tra due piani reali in un edificio che risulta essere invero il cervello dell’attore. La spazialità infinitamente complicata dell’immeuble di Perec, la vita istruzioni per l’uso.
Modalità varie, dalle avanguardie storiche in poi, di costruitre cubicità spaziali tridimensionali isotrope ovvero assolutamente astratte dalla realtà dell’irrealtà quotidiana. Il cubo atmosferico strepitoso della Grande Arche di Parigi (uno di quei monumenti il cui autore muore …) dentro il quale una struttura saliente di tensostrutture evoca artificialmente la nuvolosità della nuvola che si staglia nel cielo sullo sfondo.La stratificazione di mega-cubi spaziali della torre di Nouvel lì accanto, dove lo stesso architetto, non ancora archistar, aveva immaginato un’astrattissima torre verso l’infinito. La porosità frattale di Steven Holl attraversata dai suoi spiroidi, i suoi isolati fatti di pezzi spezzati e ricomposti in insiemi eterogenei, hybrid, eppure unitari.
Le cubicità riempite di pieghe e rampe elicoidali di Koolhaas. Il suo sasso o meteorite di Porto come deformata minerale di una cubicità iniziale archetipa, stipata cinicamente di funzioni diagrammatiche come che vengano, purchè vengano bene con i mille trucchi dell’architetto magicien.

L’architettura di Le Corbusier come gioco magnifico nella luce di volumi puri, platonici ma non solo, rinvenuti nella Lezione di Roma. La Melanconia del Durer e la pietra sfaccettata ai suoi piedi.
L’isolato tipico di Parigi nelle sezioni di Sempè. Highrise, il titolo originale di Condominium di Ballard, che finisce per fornire un’immagine spaziale cubica ovvero astrattamente isotropa ancorchè stratificata, come l’immobile decadente del film taiwanese The Hole. Il Mirador degli MVRDV … ed altri non-palazzi attraversati dal cielo e dalle infrastrutture. I ‘brutti’ giganti di Tange a Tokyo, in un mondo nel quale il vecchio Umberto Eco ha prodotto, dopo la storia della Bellezza, una complementare e più stuzzicante forse appunto storia della Bruttezza.
Il mondo della Anomalia Paradigmatica?

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