Perché il tempo non sia nemico


ATTUALITÀ IL CONVEGNO CEI SULLA MANUTENZIONE

Non solo i beni culturali antichi, anche gli edifici contemporanei necessitano cure: spesso attenzioni particolari per la necessità di rimediare a difetti di origine. Nell’incontro di Napoli, il primo sul problema della conservazione del “moderno”, si è fatto il punto sui problemi e, soprattutto sulle prospettive, al fine di ridurre i costi di gestione con la prevenzione.

Invecchiamento precoce di edifici relativamente “nuovi”, ingenti capitali che vanno investiti già nel giro di pochi anni dopo la costruzione per ripristinare condizioni di decoro e di sicurezza.
Siamo abituati a considerare gli edifici come qualcosa che non solo dura nel tempo, ma acquista valore col passare degli anni: a questo almeno spinge la “logica del mercato”. Ma gli edifici ecclesiastici sfuggono a questa logica. «Richiedono un investimento iniziale per la costruzione – puntualizza il Prof. Valerio Di Battista, Vicepreside della Facoltà di Architettura e Società del Politecnico di Milano – e non offrono una rendita immobiliare, ma necessitano manutenzione, quindi rappresentano un costo che si protrae. Come ridurne l’incidenza sul bilancio delle parrocchie? Anzitutto costruendo edifici a regola d’arte, e che siano anche concepiti e predisposti per facilitare la manutenzione
ordinaria.
Solo queste condizioni permettono all’edificio di restare in condizioni di sicurezza e di non degenerare in tempi brevi a uno stato tale da necessitare interventi straordinari, che possono essere lunghi, complessi e molto costosi».
Questo è stato uno dei temi al centro del convegno La manutenzione programmata per l’edilizia di culto, che ha avuto luogo a Napoli dal 12 al 14 marzo 2009 per iniziativa della CEI. Perché, come ha posto in evidenza Don Giuseppe
Russo, responsabile del Servizio Nazionale Edilizia di Culto della CEI, «Molte chiese costruite tra gli anni ’60 e ’80 si trovano in uno stato di conservazione mediocre, a causa del sommarsi di due condizioni che vanno invece evitate: bassa qualità dei materiali usati per la fabbrica – spesso proprio nel tentativo di risparmiare – assenza di cura dei manufatti che così, anche pochi anni dopo la realizzazione appaiono vecchi e cadenti, a volte bisognosi di interventi radicali di consolidamento». Un convegno quindi di carattere squisitamente tecnico, il primo di questo genere svolto dalla Chiesa italiana: infatti sinora l’attenzione per la conservazione degli edifici esistenti ha riguardato quelli più antichi.
Ma un’indagine condotta da un team del Politecnico di Milano sulle chiese di Milano, Roma e Taranto, ha evidenziato che la necessità della cura riguarda in egual misura sia gli edifici più antichi, sia quelli più recenti.
Questi ultimi sono in generale dotati di strutture in calcestruzzo armato e forse per certi aspetti sono più deperibili e fragili di quelli che i nostri antenati realizzavano in mattone e pietra: non tanto per intrinseca inadeguatezza del materiale, quanto per le carenze in fase realizzativa che hanno portato a condizioni relativamente precarie di molti manufatti.

Prof. Valerio Di Battista
Don Giuseppe Russo
Prof. Giancarlo Paganin

«Nel compiere le indagini conoscitive su un campione di chiese delle tre Diocesi – ha specificato con forza il
Prof. Giancarlo Paganin del Dipartimento di Scienza e Tecnologia dell’Ambiente Costruito (BEST) del Politecnico di Milano – il nostro scopo non è stato soltanto di dare una precisa lettura delle condizioni esistenti e delle criticità che da queste emergono, ma soprattutto di mettere in evidenza l’importanza di comportamenti quotidiani che permettano una adeguata conservazione del patrimonio.
Questo vuol dire porre in essere quella attività di controllo giorno per giorno che può mettere in campo solo chi abita una struttura o chi la frequenta, così da saper leggere quei piccoli segnali di allarme che mostrano l’esistenza di condizioni che richiedono in certi casi interventi manutentivi di immediata realizzabilità, o eventualmente l’attivazione
di procedure più complesse.
«L’azione di rilevazione svolta dal Politecnico milanese in sintonia con la Conferenza Episcopale Italiana è il primo passo per la eventuale messa a punto di uno strumento – una sorta di manuale – che può semplificare l’attuazione del processo di manutenzione programmata.
Un simile strumento può fornire indicazioni attendibili sul comportamento non solo passato, ma anche futuro degli edifici, in relazione alle cognizioni acquisite nel tempo e con l’esperienza che ci consentono oggi di prevedere con un discreto margine di precisione quale sarà il comportamento delle strutture in funzione delle loro caratteristiche fondamentali.
Per esempio, si sa che un edificio con telaio in calcestruzzo armato e copertura in lamiera, dopo un certo numero di anni richiede specifici controlli. Il manuale insegnerà a leggere quelli che i tecnici chiamano i segnali deboli – siano un crepa o una pellicola di intonaco che si scrosta – da cui poter desumere qualcosa di più sullo stato di conservazione generale del manufatto.
Lo stesso discorso si può fare per tutti i tipi fondamentali di edificio – fermo restando che ognuno di questi rappresenta comunque un caso a sé».
In pratica, alle diocesi e alle parrocchie si richiede un quid di attenzione per il mantenimento delle strutture: secondo la logica del prevenire, non curare, perché prevenire è sempre più sicuro e meno costoso.
Ma l’operazione non è semplice.
Come ha ben evidenziato il Prof. Valerio Di Battista: «È anzitutto un problema di sensibilità. All’estero registriamo
che l’incidenza dei problemi derivanti da assenza di manutenzione è minore che in Italia, per una serie di motiv
i, tutti ascrivibili all’ambito dell’atteggiamento culturale generale. Prima della recente e drammatica caduta della controsoffittatura in una scuola torinese – il cui “costo” è stato non solo quello per il ripristino della struttura, ma soprattutto la vita umana che l’incidente ha cancellato – abbiamo svolto un convegno proprio sul tema della gestione
e riqualificazione degli edifici scolastici, ma non tutti i responsabili delle istituzioni hanno dimostrato adeguato
interesse; un chiaro indice della tendenza a sottovalutare questi problemi.
Ancora oggi troppe riparazioni elementari, che all’estero sono svolte direttamente dal personale interno, richiedono percorsi decisionali complessi e spesso tempi e costi fuori misura.
In controtendenza, il fatto che la Chiesa italiana indichi un convegno su tali argomenti è un segno positivo che auspicabilmente può contribuire a un cambio di rotta.

Tra le chiese esaminate al convegno di Napoli, e che sono state oggetto di manutenzione, in alto Sant’Antonio Maria Zaccaria a Milano, caratterizzata dall’ampia copertura (Arch. Vittorio Gandolfi) e a lato
la concattedrale di Taranto (Arch. Gio Ponti), costruite rispettivamente negli anni ‘60 e ‘70.

Uno degli aspetti su cui è importante insistere è quello della preparazione del personale. Un ingegnere o un architetto non sono sempre preparati ad affrontare tutti i problemi, talvolta anche molto complessi, della conservazione di un edificio contemporaneo; noi offriamo, per la conservazione e manutenzione, una preparazione specifica con appositi
insegnamenti».
Naturalmente perché la manutenzione sia possibile, è necessario che gli edifici siano concepiti in modo tale da permetterlo: questo è stato uno dei temi trattati dal Prof. Giancarlo Paganin: «Nell’agosto del 2008 sono morte molte persone – una dozzina – precipitate al suolo a causa dello sfondamento delle coperture industriali su cui stavano camminando per svolgervi opere manutentive. Perché? Le coperture sono calcolate per sostenere il peso della neve – 200 Kg per mq – ma una persona di 90 chili cui si somma il peso delle strumentazione che porta con sé, non
distribuisce tale pressione sul metro quadrato, ma la concentra sull’impronta del piede… Quando si parla di incidenti nei cantieri edili, nella maggioranza dei casi ci si riferisce proprio alle opere di manutenzione, non di nuova edificazione. Progettare per facilitare la manutenzione vuol dire, per esempio, avere coperture praticabili, facciate su cui salire è semplice e sicuro, tramite punti di aggancio predisposti, lampadari che, soprattutto in ambienti alti quali le chiese, si
possono abbassare così che il banale cambio di una lampadina non diventi un’operazione da acrobati o non richieda il costoso affitto di un ponteggio mobile ».

Nel suo consuntivo, Don Giuseppe Russo lancia un segnale di speranza: «In questi anni abbiamo notato con viva soddisfazione che i nostri convegni sono stati non solo contesti favorevoli alla riflessione e all’approfondimento dei diversi temi affrontati, ma hanno di fatto determinato un cambio di mentalità nei convegnisti provenienti dalle diocesi italiane, con una conseguente migliore strutturazione e organizzazione degli uffici diocesani in merito a questioni quali l’affidamento di incarichi di progettazione per le nuove chiese, l’acustica degli edifici di culto, la bioarchitettura applicata ai complessi parrocchiali. Sono certo che questo trend positivo sarà confermato da questo convegno e che anche sull’argomento manutenzione le diocesi imposteranno un lavoro più consapevole e metodologicamente corretto, improntato alla cultura della manutenzione programmata, non più improvvisata».

 

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