IL FUTURO STA NELL’EVENTO

Il problema dei finanziamenti assilla i tanti musei ecclesiastici sorti negli ultimi anni. La soluzione va cercata nel rendere dinamiche le esposizioni senza rifuggire la spettacolarizzazione, poiché su questa si impernia la capacità comunicativa dell’arte, e forse anche del rito. Un tema peraltro non nuovo nella storia della Chiesa.

Quale il futuro dei musei ecclesiastici? Se il presente è ben chiaro (sono sorti a decine in tutta Italia per salvaguardare beni di pregio che a volte difficilmente erano persino riconosciuti per tali), ora si pone urgente il problema di come rendere attraenti questi luoghi: come far sì che possano interessare un numero crescente di visitatori. Come farne emergere il carattere, e dargli forza comunicativa. Per cercare di individuare soluzioni, tentiamo anzitutto di chiarire il problema. Solo a pochi appassionati di oreficeria possono interessare le collezioni di calici, pissidi e ostensori antichi cesellati; solo a pochi appassionati di tessitura possono interessare le collezioni di casule, stole o mitrie ricamate qualche secolo fa. La parola “spettacolo” di solito provoca sospetto se non repulsione quando si parla di cultura: eppure non solo oggi, ma sempre, la cultura è
stata anche spettacolo, ovvero momento che attira il pubblico per mezzo di artifici che entusiasmano e commuovono. Sin che i musei ecclesiali non troveranno il modo per intraprendere questa via, sono inevitabilmente destinati a restare emarginati sulla scena museale italiana, dominata da giganti come gli Uffizi, il Museo Egizio di Torino o gli stessi Musei Vaticani. Alla fine del 2012 riaprono a Roma i sotterranei di Palazzo Valentini, sede dell’Amministrazione provinciale: i reperti e luoghi archeologici su cui insiste l’edificio sono stati resi visitabili tramite importanti installazioni multimediali che permettono al visitatore di sentirsi circondato dalle loro immagini e immerso nel clima sociale di 2000 anni fa: se il “luogo” archeologico resta protetto e isolato, la sua essenza è ben trasmessa al visitatore, in modo vivo ed entusiasmante. In un certo senso, quel che era “morto e sepolto” ritorna “vivo e presente”, grazie alla multimedialità, organizzata con la consulenza di persone competenti e addentro nella capacità di comunicare, quali Piero Angela che ha curato la “regia” della presentazione massmediale entro il sito archeologico. Non si può pensare a qualche soluzione simile anche per i musei ecclesiastici? Certo, in essi va tutelata non solo l’arte, ma anche, soprattutto, la testimonianza di fede. Ma la liturgia stessa, che è il momento in cui la fede si manifesta nella comunità e la comunità si rende dono di fede, non è anche spettacolo, nella misura in cui i suoi gesti, i suoi colori, le sue musiche, gli aromi diffusi dai turiboli, le luci graduate sia dall’attenta disposizione delle aperture nell’architettura sia delle lampade sono studiati per coinvolgere il più possibile, per rendere il più possibile avvincente i suoi diversi momenti?Qui il punto è chiarire che non si tratta di esercitare una finzione dietro lo schermo della preparazione scenica, bensì di manifestare con compiutezza eventi, fatti, memorie che rimandano alla verità: storica e di fede.
Ecco che si richiede, per la preparazione dei musei ecclesiastici, la stessa cura e la stessa competenza che è necessaria quando si attua una liturgia solenne, per la quale abiti e oggetti siano scelti con attenzione, così che compongano una “scenografia” degna del momento.
Allora per esempio, non ha senso, come spesso si vede in alcuni musei ecclesiali a volte non privi di improvvisazione, allineare tanti oggetti liturgici in teche anonime: la ripetizione svilisce il singolo pezzo.
Meglio evidenziarne bene uno per volta, spiegandolo in modo compiuto così da esaurirne il racconto, sia sul piano liturgico, sia su quello storico artistico: elevare l’oggetto al rango di “evento”.
Arricchire le sale di proiezioni multimediali, così che coinvolgano non solo la vista, ma anche l’udito (la liturgia stessa è gesto ma anche parola, e anche musica: “chi canta prega due volte” diceva Sant’Agostino…), che presentino aspetti universali della liturgia e particolari del sito in cui il museo si trova: particolari che riguardino diversi luoghi di culto, diversi momenti, diverse epoche, e riconducano alla genesi del cristianesimo locale e alla sua evoluzione nel succedersi delle epoche fino ai nostri giorni, e alle attività molteplici che oggi esercita chi ne porta avanti il messaggio… E tutto questo ha bisogno di una regia: sapiente e competente sulle possibilità espressive e comunicative: forse che i predicatori della Controriforma non avrebbero usato microfoni e videoclip per diffondere in modo coinvolgente il loro ardore? Forse che le prime comunità che si esprimevano con le forme artistiche della loro epoca non avrebbero usato le modalità attualmente in vigore, se vivessero ai nostri giorni? Se il messaggio cristiano è sempre attuale e se il museo è luogo della trasmissione culturale, allora il museo ecclesiastico deve saper recepire e utilizzare al meglio tutte le forme comunicative dei nostri giorni. Conservare la memoria vuol dire condividerla, e portarla un passo in avanti verso il futuro.I MUSEI E I GRANDI CONTENITORI D’ARTE
http://pro.dibaio.com/bernini-musei

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