Museo Beata Pierina Morosini a Fiobbio (Bergamo)


ARTE MUSEO BEATA PIERINA MOROSINI A FIOBBIO (BERGAMO)

Un percorso museale che dalla parrocchiale, attraverso la vecchia canonica porta a una nuova cappella: la traccia di una vita vissuta con serenità in campagna e che ricorda molto da vicino la vicenda di Maria Goretti. Gli aggetti si pongono come sommesse presenze che segnano un cammino di silenzio che interroga attraverso la parola. Progetto Archos.

È il racconto di una quotidianità che si fa santità.
Pierina Morosini era la maggiore di otto fratelli e sorelle, nel borgo di Fiobbio, nella bassa val Seriana.
Desiderava farsi missionaria, ma per sostenere la famiglia a quindici anni cominciò a lavorare in fabbrica, mentre si impegnava nell’Azione Cattolica. Significativamente, il maggiore evento della sua vita fu la partecipazione al pellegrinaggio a Roma nel 1947, per la beatificazione di Maria Goretti. Esattamente dieci anni dopo, nel 1957, fu aggredita mentre tornava a casa dopo il suo turno in fabbrica, si difese dal tentativo di violenza. Morì due giorni dopo all’ospedale di Bergamo: le era stato fracassato il cranio. Il medico che l’assistette fu il primo a vedere in lei una nuova
Maria Goretti. Giovanni Paolo II la beatificò nel 1987.
Riposa in un’urna reliquiario, opera di Claudio Nani, nella parrocchiale di Fiobbio: a pochi metri da questa si apre l’ingresso del museo che le è stato dedicato, su progetto dell’Arch. Edoardo Milesi, al piano terra della casa parrocchiale. “Tra gli oggetti che il visitatore incontrerà lungo il percorso – scrive don Dario Colombo, il parroco – ci sono gli strumenti di lavoro che le mani di Pierina hanno usato. La santità è data a chi con onestà compie il proprio lavoro.

La luce che sfiora le pareti e i colori sommessi
offrono un contesto di lindore che valorizza gli
aggetti semplici, testimoni della vita di Pierina.
(Progetto e foto: Archos, Edoardo Milesi)

Il libro dei proverbi recita: “la donna perfetta si procura la lana e la lavora volentieri con le sue mani…” Poco oltre, gli altri oggetti che raccontano la drammaticità del martirio.
Più avanti ancora, dal museo un varco conduce alla erigenda cappella, attualmente in progetto, tramite un tunnel scuro, che è “soglia che porta nella stanza in cui avviene l’unione mistica della sposa con lo sposo, Cristo, il crocifisso.” Nelle sue ridotte dimensioni, nella linearità del percorso, nella semplicità degli oggetti e degli espositori si ritrova il racconto di una vita in cui eroismo cristiano fa rima con lavoro quotidiano. Pareti spogli e silenziose, una fascia che è
un poco più alta di un mancorrente scherma la fonte di luce e accompagna il visitatore con scritte che rievocano la figura della santa e il suo sacrificio: “… la verginità è un profondo silenzio di tutte le cose della terra…” “… Parlerò il puro necessario a bassa voce…

Sopra: la porta di accesso. A destra, dall’alto:
la canonica accanto all’abside della parrocchiale
col rendering; lo spaccato della cappella;
la planimetria.

durante la giornata mi terrò alla presenza di Dio…” Pochi metri per leggerle, per osservare la vecchia macchina per cucire, il crocifisso, qualche quaderno, alcune vesti, la cartella. È un luogo di silenzio, che interroga il visitatore con la voce dell’umiltà. L’apparato espositivo è semplice ospite di queste parole di semplicità; comincia nella chiesa parrocchiale e conduce alla cappella: il museo riesce a ripercorrere il cammino di santità. “Nella piccola cappella – spiega il progettista – i riferimenti spaziali dovranno perdersi, affinché la parola e la luce siano i protagonisti”.

 

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