Michele Costanzo – Solitudine come condizione estrema della nuova architettura


 

Il tema della Città continua, proposto dal Seminario di Camerino 2008, punta l’attenzione sul processo di crescita urbana che sta avvenendo in tutto il mondo, pur con modalità diverse, in forma, per così dire, dilagante, inarrestabile, incontrollata. Tale processo di diffusione urbana senza forma e senza confini, per le caratteristiche che assume sembra portare ad un radicale cambiamento della tradizione dell’abitare e alla formulazione di nuove regole del vivere associato.
Questo paesaggio urbano che avanza, come nota Pierluigi Nicolin, si presenta come un’entità porosa. La nuova identità metropolitana che la contraddistingue dal punto di vista socio-antropologico risiede nel suo essere un sistema insediativo ibrido, nel cui interno convivono memorie, culture, etnie, ghetti, enclaves. Il disegno del suo nuovo profilo
non è più condizionato dai dati provenienti dalla produttività o dal commercio, ma piuttosto dal tessuto mutuale derivante dalla rete informativa/comunicativa.
Tale realtà urbana diffusa, come osserva Paul Virilio in Città panico, è la vera catastrofe della modernità, il museo vivente dell’incongruenza politica che non riesce a controllare lo sviluppo del progresso tecnico; un luogo, in cui la circonferenza è ovunque e il centro è da nessuna parte. Questa megalopoli contemporanea è una città-fantasma,
una metacittà senza limiti e senza leggi che crede d’essere l’epicentro del mondo, ma in realtà non ha luogo.
Il nodo della questione è, dunque, quello di ritrovare i nessi, di recuperare il controllo di una contrapposizione che è sempre esistita tra città e periferia; ma ora i due termini si trovano in un rapporto squilibrato, al punto da mettere in luce una condizione di ‘periferia sterminata’, come afferma Jean-Luc Nancy, in La città lontana.
In definitiva, come osserva il filosofo francese, quello che tutti temono è l’invasione generalizzata della banlieue. E in questo senso, come egli nota, la banlieue per eccellenza è Los Angeles: l’essenza del ‘luogo banale’, del luogo comune, del non-luogo. La miseria e il degrado penetrano insidiosamente ovunque (pur essendo presenti forme particolari
di periferia come Beverly Hills o Bel Air ‘appartate, recintate, armate, ricche e ridicole’). Così, per il fatto che ‘non esiste un cuore preservato e riservato della città, c’è qualcosa come un declassamento della città stessa’.

Immagini tratte dal film di Jia Zhang-Ke, Still Life

Per proseguire la riflessione su questo tema vorrei presentare due coppie d’esempi, composti da un intreccio di materiali eterogenei, frammenti di paesaggi, di edifici, di idee che riconducono alla complessità del tema in questione e che non riguarda solo il senso della città (il suo destino presente e futuro), ma il senso stesso della vita di coloro che risiedono in essa.
La prima coppia di esempi mette in rapporto tra loro il film di Jia Zhang-Ke, Still Life (Leone d’oro alla Biennale del Cinema di Venezia 2006) e il progetto di Wang Shu per il campus di Xiangshan.
La trama del film di Zhang-Ke si sviluppa seguendo due vicende in cui i rispettivi protagonisti sono in cerca di altre persone. Il luogo in cui si svolge la storia è la zona delle Tre Gole, presso il centro di Fugjie, dove si sta costruendo un bacino artificiale deviando le acque dello Yangtze. Per questo fine sono stati già distrutti due villaggi, uno dei quali molto antico e la demolizione del terzo è in atto.
La prima storia è quella di Han Sanming, un minatore in cerca della moglie e della figlia che non vede da 16 anni. Per guadagnarsi da vivere e i soldi necessari per potersi muovere, entra a far parte di una squadra di demolitori dell’ultimo villaggio. I magli che si abbattono sui muri, le pareti che crollano, gli squarci delle case del centro (ormai morto) che improvvisamente si aprono mettendo allo scoperto gli angusti interni in cui operano i demolitori, sono lo sfondo della vicenda, insieme all’acqua che sale e sommerge ciò che resta delle città.
La seconda storia riguarda Shen Hong, un’infermiera che cerca il marito in questi luoghi decomposti per annunciargli che ha deciso di lasciarlo. La demolizione/sommersione, è il tema di fondo del film, inteso come una forma di violenza contro il villaggio, inteso come luogo della memoria e della storia. Ad esso si somma, poi, quello dell’in- 23 comunicabilità (Shen, a proposito del marito che intende lasciare, dice: ‘Il vero problema è che non mi ha mai detto niente’), della scoperta di
sé e del senso di dispersione del proprio orizzonte di vita, che per l’autore, in termini più generali, corrisponde alla perdita dei fondamentali punti di riferimento di cui la società contemporanea ha bisogno per sopravvivere.

Wang Shu, Campus di Xiangshan, Hangzhou

Il progetto di Wang per il campus di Xiangshan riguarda il masterplan e la realizzazione di oltre 20 edifici sistemati sul colmo di una collinetta coperta d’alberi che sorge in un’area periferica di Hangzhou. Hangzhou, per oltre mille anni è stata una celebrata città d’arte: ‘la città più nobile e la miglior metropoli del mondo’, come la definisce Marco Polo quando la visita nel 1280. Tale centro, attualmente non si differenzia più dalle altre città cinesi: ora è convulso, grigio, pieno di cantieri.
In tale contesto ricco di energia innovatrice, che punta al futuro dimenticando le proprie radici storiche – come ha messo in rilie
vo Wang in una recente conferenza – il campus dell’Art Academy di Xiangshan cerca di contrastare il modello architettonico attualmente in voga in Cina, basato sul prevalere di una rigida geometria elementare.
L’impianto concettuale del campus per Wang si pone come un esperimento che tende a favorire la vita associata e, soprattutto, un modello di città cinese del futuro. La caratteristica degli edifici è quella di essere aperti verso l’esterno e di dialogare con l’ambiente naturale circostante. ‘Nel mio campus’, afferma Wang, ‘l’architettura si colloca al secondo posto. Il primo è occupato dalla montagna e dal fiume che determinano l’atmosfera’.
Nei diversi edifici le lezioni si possono svolgere all’interno delle aule e, quando il tempo lo permette, all’esterno o sul tetto. Per favorire l’armonia con l’ambiente naturale nel quale il complesso è immerso, l’architetto ha disegnato sentieri sinuosi, tetti inclinati, passerelle per collegare tra loro gli edifici. Le coperture delle diverse costruzioni sono di forma irregolare ‘quasi onde del mare disegnate’. In alcuni casi porte e finestre sono sostituite da fantasiose aperture dal contorno frastagliato.

Peter Eisenmam, Città della Cultura della Galizia, Santiago de Compostela

Le pareti e i tetti sono in cemento e molti di essi sono rivestiti di tegole e piastrelle riciclate e messe in opera recuperando la tecnica del wa pan, usata dai contadini delle campagne di Hangzhou.
Due sono gli aspetti che caratterizzano questo progetto. Il primo, riguarda l’impiego di materiale prelevato dalle macerie di edifici provenienti dalle città cinesi demolite.1 L’operazione è quella di ridare un diverso significato alle macerie; in questo modo, mediante tale operazione esse assumono il valore di ‘brandelli materiali di memoria’.
Il secondo, è quello di cercare di superare il caos della metropoli attraverso il mantenimento di una tradizione creativa: ‘non è un problema di conservazione del passato’, egli afferma, ‘ma di ricongiungimento del tempo’.
La seconda coppia d’esempi mette in contrapposizione il progetto di Peter Eisenmam, la Città della Cultura della Galizia, a Santiago de Compostela, con il romanzo di Ian Mc Ewan, Espiazione.
Il progetto di Eisenman per Santiago de Compostela, fa parte di una ricerca che l’autore definisce un tentativo di ‘ridurre al grado zero il significato iconico del modernismo’, per poter giungere a un nuovo modo d’agire in termini progettuali.
L’architettura contemporanea, egli afferma, appartiene ancora ad una logica di tipo ‘espansivo’, che punta ad enfatizzare i propri ‘gesti’ nell’illusione di nascondere gli effetti che produce. Essa appartiene ad ‘un sistema semiotico, teso ad esprimere un processo definito d’espansione della materia’. Con la fine del millennio, egli nota, ‘stiamo
passando da un’epoca tesa a liberare e ‘rilasciare’ energia, ad un’altra caratterizzata dall’implosione e dall’inversione dei processi sociali.
Tutto questo implica il superamento della cultura semiotica ossessionata dal problema della rappresentazione, a favore di una nuova sensibilità post-semiotica, frutto di una diversa cultura preoccupata soprattutto degli effetti plastici e tattili’. Secondo tale visione ‘la cultura dell’effetto ha come conseguenza che il vedere non è più essenziale per comprendere la differenza tra le rappresentazioni e i loro significati, ma è essenziale il contatto fisico, la manipolazione tattile’.
Il senso della ricerca rappresentato dall’intervento di Santiago è quello di approdare ad una forma d’espressione architettonica che non tratti più l’oggetto come rappresentazione di una soggettività, ma piuttosto un processo di trasformazione che deve protrarsi nel tempo.
L’architettura in tale contesto deve suscitare sensazioni, dar luogo ad esperienze, visive e mentali, attribuendo allo spazio una funzione di stimolo con l’obiettivo di determinare una sorta di ‘simpatia estetica’.
La trama del romanzo di McEwan, Espiazione, come suggerisce il titolo, ruota attorno al senso di colpa che la protagonista, Briony Tallis, matura nella propria coscienza nel corso della vita a seguito di un grave errore commesso da bambina: l’aver accusato il ragazzo della sorella maggiore Cecilia di aver stuprato una giovane cugina, ospite della famiglia. Questo farà nascere in lei il bisogno dell’espiazione.

Wang Shu, Campus di Xiangshan, Hangzhou

Attraverso questo romanzo, due sono i temi che McEwan sviluppa e, per la loro stretta aderenza con le problematiche architettoniche, è possibile stabilire un tratto analogico con la pur complessa materia del progettare. Il primo, è la caduta della costruzione organica di una storia e con essa dei tradizionali strumenti narrativi, pur essendo ancora
praticate delle corrette, definite forme per trasmettere il senso dell’incertezza che pervade la società contemporanea. ‘Quello che la emozionava dell’opera era soprattutto la struttura, la precisione geometrica utilizzata per descrivere l’incertezza della moderna sensibilità’.2
Il secondo, è che in tale perdita delle tradizionali costruzioni narrative novecentesche, come l’autore fa dire alla protagonista, resta la potenza della parola e del silenzio, della sua assenza e della sua presenza, in grado d’incidere nella vita
di tutti, nell’esistenza collettiva: ‘come può una scrittrice espiare le proprie colpe quando il suo potere
assoluto di decidere i destini altrui la rende simile a Dio? […]. È la sua fantasia a sancire i limiti e i termini della storia’.3

MC
Università di Roma ‘La Sapienza’

1. Lo stesso tema è stato sviluppato dall’architetto in occasione della Biennale di Architettura di Venezia del 2006.
2. Ian McEwan, Espiazione, Einaudi, Torino 2003, p. 287.
3. Ivi, p. 380.

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