Mario Docci, Alfonso Ippolito



Possiamo definire ecoefficiente una parte di territorio, un organismo urbano, un sistema architettonico, un prodotto edilizio, quando le alterazioni morfologiche, strutturali e funzionali, dirette e indotte, del sistema ambientale, nelle fasi di approvvigionamento, produzione, consumo e smaltimento, siano riequilibrate naturalmente o artificialmente in termini quantitativi e qualitativi; quando siano perseguiti un’ottimizzazione ed un risparmio dei consumi energetici (di estrazione, produzione, trasporto, ecc.), una drastica e generalizzata riduzione dei gas inquinanti e degli scarti, ed una attenta valutazione e preservazione delle materie prime in via di esaurimento; ed infine quando sia al contempo garantita la salute psico fisica degli operatori e dei fruitori in tutte le fasi, i momenti e gli aspetti precedentemente elencati.

Norman Foster, Swiss Re, Londra, 2003

In questo senso l’architettura nuova e più in generale la nuova consapevolezza progettuale per il singolo manufatto, lo spazio urbano, il territorio, non sorgerà per revisioni parziali e microspostamenti degli equilibri presenti nel contesto, ma per l’intervento su queste dinamiche dirompenti, che convergono da fronti fondamentali già richiamati all’inizio. Il primo e macroscopico elemento di rottura è con ogni evidenza la questione della sostenibilità ambientale.
Con consapevolezza crescente dell’urgenza e dimensioni del problema, nella cultura contemporanea è filtrato, ormai a livello di massa, il tema della salvaguardia attiva del pianeta e dell’urgenza di strutturare secondo modelli diversi l’azione di esso come unica garanzia di continuità per la vita stessa. È un processo lento, che conosce momenti di
vistosa accelerazione quando nelle cronache ricorrenti dei disastri ambientali giungono le conferme sull’insostenibilità di questo sviluppo predatorio, e che sembra poi venire a lungo inghiottito dai percorsi carsici del silenzio, o deviato sugli aspetti minuti e secondari anche se più diretti, del quotidiano disagio ambientale.

Norman Foster, Swiss Re, Londra, 2003

Ma è una presenza che non può più uscire di scena né concedere spazi alle rassicurazioni trasversali, attivamente operanti, di chi ha interesse all’inerzia.1
Con queste parole il prof. S. Dierna inquadra in modo sintetico, ma efficacissimo il problema della sostenibilità ambientale e delle sue correlazioni con la progettazione architettonica e urbanistica.
Per comprendere meglio il problema ambientale occorre ricordare che non passa giorno senza che un nuovo allarme venga lanciato dai media, per la drastica diminuzione delle risorse naturali del nostro pianeta.
Come tutti sanno, non si tratta, purtroppo, solo di prodotti energetici, come il petrolio o il gas, ma anche della scarsità di molti altri minerali.
Questi elementi naturali solo in alcuni casi possono essere sostituiti da altri prodotti, naturali o artificiali, viceversa in molti casi la loro sostituzione è molto difficile. Su questo tema negli anni passati, nei Seminari di Camerino, ho più volte espresso la mia opinione, richiamando soprattutto l’attenzione dei giovani architetti sull’impiego dei materiali naturali e in ogni caso raccomandando l’impiego di quei materiali artificiali che richiedono poca energia per essere prodotti.

Rem Koolhaas, Biblioteca Centrale di Seattle,
Seattle, 2004

In particolare negli anni passati ho anche suggerito di impiegare le nuove metodologie di progettazione che tengono conto della sostenibilità e della compatibilità, al fine di rendere il processo edificatorio compatibile con le risorse disponibili sul nostro pianeta. Oggi dobbiamo costatare che il problema si fa ogni giorno più grave, pertanto occorre un maggior impegno da parte di tutti i progettisti, affinché si avvalgano di nuove metodologie progettuali. In quest’ottica va
apprezzato il tema del recente seminario di Camerino, che stimola il dibattito, mettendo a confronto apporti disciplinari differenti, tutti concentrati su questo tema. Per questo dobbiamo dare ampio merito a Giovanni Marucci per aver proposto una discussione su problematiche che l’architettura dovrà affrontare in tempi rapidissimi.
Analizziamo le ragioni per le quali un approccio che rispetti la sostenibilità ambientale, trova molte difficoltà ad affermarsi nel nostro paese, che mostra un grave ritardo rispetto ad altri paesi europei. In modo sintetico possiamo dire che vi sono almeno quattro cause principali che frenano lo sviluppo di realizzazione di architetturerealmente sostenibili, ovvero che riducano notevolmente i consumi energetici e che siano realmente ecocompatibili.

Prima causa: dobbiamo innanzitutto rilevare come nel nostro paese, il settore dell’industria delle costruzioni sia ancora legato a processi produttivi artigianali refrattari all’innovazione. Questo stato di cose è connaturato con la struttura organizzativa delle imprese e con i suoi processi produttivi; questa accoglie l’innovazione solo quando si è gia affermata in altri paesi o in altri settori produttivi. A questo atteggiamento di retroguardia, concorre anche il settore industriale che produce componenti per l’edilizia; anch’esso è legato a processi tradizionali e poco attento all’innovazione tecnologica, poiché essa costringerebbe ad una innovazione continua delle proprie attrezzature e quindi ad effettuare grandi investimenti, qualora si dovessero rinnovare gli impianti per produrre componenti ecocompatibili. In questi ultimi anni
si assiste tuttavia a qualche timido passo in avanti nella produzione di edifici con maggiore capacità bioclimatica passiva, da parte di alcuni grandi gruppi immobiliari. Ciò avviene tuttavia perché è iniziata una sollecitazione da parte dagli acquirenti che in questi ultimi anni hanno raggiunto una maggiore sensibilità verso queste problematiche e si informano sulle caratteristiche ecocompatibili dell’immobile da acquistare.

Richard Meier, Federal Building, Islip, New York, 1993-2000

Renzo Piano, Galleria Cy Twombly, Houston, 1995

La seconda causa che incide negativamente su questo processo è il ruolo svolto dalle nostre Università nel settore della ricerca scientifica applicata al settore dell’Architettura sostenibile; che dovrebbero spingere in modo massiccio in questa direzione, mentre nella realtà si registrano solo degli interventi episodici, sia pure di buona qualità.
Il fatto che la ricerca universitaria italiana sia rimasta indietro su questo versante è verificabile dal fatto che diverse sedi universitarie pur avendo sentito il bisogno di istituire dei corsi in Architettura Bioclimatica e in Progettazione Ambientale, hanno poi dovuto, in linea generale, istituire affidamenti mediante contratto, dal momento che il corpo docente in servizio, salvo rare eccezioni, non ha una solida preparazione in questo settore. L’attuale sviluppo della ricerca universitaria non è ancora in grado di preparare i docenti necessari a coprire questi corsi. Attivare un corso di Architettura bioclimatica, spesso opzionale, non può tuttavia costituire la soluzione al problema di formare giovani in grado di realizzare una progettazione consapevole; credo infatti che tutti i corsi di progettazione dovrebbero proporre un approccio orientato in questa direzione. Si sente pertanto l’esigenza di maggiore preparazione, nel campo della sostenibilità, di tutti i docenti di progettazione, se vogliamo in pochi anni formare una nuova generazione di giovani architetti capaci di operare in modo diverso dal passato.

In termini più semplici, un solo corso di progettazione architettonica ecocompatibile non può formare un giovane architetto ben preparato, occorre pertanto un profondo rinnovamento di tutti i corsi di progettazione, coadiuvati in questo compito anche da altre discipline, quali la tecnologia e l’impiantistica. Solo così si potrà raggiungere una formazione che consenta al giovane architetto di progettare un organismo architettonico in grado di reagire in maniera efficace agli stimoli provenienti dall’esterno, in grado, inoltre, di consumare il minor quantitativo possibile di energia, sia in fase di costruzione che durante la gestione.
Va comunque apprezzato lo sforzo di alcuni giovani dottori di ricerca che hanno cominciato ad orientare le proprie tesi di dottorato in questo settore e dai quali stanno già uscendo risultati interessanti, anche se queste ricerche sono prevalentemente basate su attività teoriche, mentre il settore avrebbe bisogno di una sperimentazione applicata a casi concreti. Purtroppo, per fare questo tipo di ricerche occorrono risorse economiche molto rilevanti che l’università non è in
grado di fornire, considerate anche le drastiche riduzioni di fondi che da un decennio soffocano il nostro sistema.

Mario Cucinella, iGuzzini, Recanati, 1997

Zaha Hadid, LFone/Landesgartenscau, Germania, 1999

La terza causa che agisce sulle problematiche di cui sopra, è costituita dalle normative in vigore nel nostro paese. Solo recentemente il 1° febbraio del 2007 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 26, il Dlgs 311/06 contenente: Disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, recante attuazione della direttiva 2002/91/CE, relativa al rendimento energetico nell’edilizia.
Come si può capire, anche dalla semplice lettura del titolo, l’Italia ha dovuto recepire nel 2005, con quasi tre anni di ritardo, una direttiva comunitaria sul rendimento energetico nell’edilizia. Questo primo Dlgs del 2005 creava più problemi di quanti ne risolvesse, tanto che si è dovuto emanare un nuovo Dlgs, il 311, che, di fatto, è operativo dal primo luglio di quest’anno, accumulando così un ritardo di ben cinque anni rispetto alla direttiva dell’Europa.
Sicuramente la nuova normativa, sia pure
con molto ritardo, affronta in modo più razionale il problema della progettazione architettonica e del risparmio energetico, tuttavia, anche questa legge non fornisce risposte certe su alcuni punti essenziali per le problematiche progettuali.

Infatti, la legge non affronta alcuni problemi chiave della progettazione bioclimatica passiva come, ad esempio, la ventilazione naturale, il raffreddamento passivo, l’illuminazione naturale e, soprattutto, la schermatura solare per le parti trasparenti dell’involucro esterno dell’edificio; inoltre non è fissato alcun rapporto tra le superfici opache e quelle trasparenti. Anche su altre aspetti la legge è molto carente, ad esempio, mentre si fa obbligo che nelle nuove costruzioni il 50% dell’acqua calda sia prodotta da pannelli solari, per l’impiego di pannelli fotovoltaici non fissa nessun obbligo, tanto che si potrebbe installare anche un sola cellula fotovoltaica per aver adempiuto agli obblighi della legge.

Richard Meier, J.P. Getty Museum, Los Angeles, 1997

Dominique Perrault, Complesso industriale in Rue Berlier, Parigi, 1990

La quarta causa va individuata nelle competenze specifiche dei singoli progettisti che, pur se dotati di una buona esperienza professionale, non sempre hanno una sufficiente preparazione su tutte le problematiche che portano alla realizzazione di un edificio ecoefficiente.
Non sono rari i casi nei quali si finisce per adottare soluzioni progettuali che, se considerate rispetto allo specifico componente impiegato, risultano corrette, mentre se vengono considerate nel complesso delle scelte progettuali, possono essere negative, determinando gravi carenze nel manufatto. Mi riferisco ad esempio, all’utilizzo, per le
facciate, di pannelli multistrato di vetro a comportamento massivo, aventi una elevata capacità di accumulo del calore e in grado di competere con altri materiali naturali, quali la pietra o il laterizio; come i cosiddetti PCM (Phase Change Material) utilizzando ad esempio moduli INGLAS PCM da 42 mm di spessore. Questo tipo di pannello può essere impiegato con risultati ottimali nei paesi del nord Europa, ma se, ad esempio, esso viene impiegato a Firenze o a Roma, occorre mettere in atto una serie di accorgimenti progettuali; diversamente questa facciata funzionerà molto bene d’inverno, ma sarà un vero disastro d’estate.
Per poter utilizzare questo pannello nonostante il clima dell’Italia centrale o, più in generale, il clima mediterraneo, con risultati accettabili in tutte le stagioni, occorre progettare con grande attenzione delle schermature solari passive o attive, in modo da schermare gli stessi pannelli. Senza questo importante elemento costruttivo, il risultato progettuale, come purtroppo è già accaduto, non potrà che essere pessimo.
Come si può vedere da questa esemplificazione, per impiegare componenti già sperimentati non sono sufficienti le schede tecniche del produttore, poiché esse si riferiscono ad esempi realizzati in altri paesi, con clima diverso dal nostro; occorre viceversa una preparazione specifica del progettista, che gli consenta di correlare tra loro tutti i comportamenti dei componenti che intervengono nella progettazione, correlandoli con la situazione climatica del luogo dove debbono essere installati. Un altro aspetto poco conosciuto dal professionista non specializzato in questo campo, è il ruolo decisivo che in molti casi possono svolgere gli spazi bioclimatici passivi quali le serre, gli atrii bioclimatici, ecc.
Per rimuovere le cause che non consentono di realizzare una progettazione, pienamente compatibile e una ragionata previsione sulle conseguenze ambientali ed ecologiche; occorre una nuova cultura progettuale. È necessario infatti, tener conto che da un lato dobbiamo salvaguardare l’esistente e dall’altra dobbiamo poter progettare il suo sviluppo; sviluppo che deve tener conto delle gravi conseguenze di una crescita tumultuosa che, fino ad oggi, ha utilizzato tecnologie produttive inadeguate. Occorre pertanto procedere in modo tale da definire con esattezza quali siano i comportamenti compatibili con l’ambiente, inteso come un bene prezioso; solo così si potrà realizzare un
vero progetto ambientale, in cui si ritroverà un rapporto accettabile tra architettura e ambiente.
Mi sembra di poter affermare che, sia pure in modo sintetico, il progettista debba tener conto di una serie di elementi che, se rispettati, possono effettivamente consentire una vera architettura ecoefficiente.
I principali parametri da utilizzare sono i seguenti:
– basso consumo energetico, realizzato attraverso l’impiego attivo e passivo di energie rinnovabili, quali quella solare, eolica e geotermica; accompagnate da misure atte a limitare i consumi energetici.
Queste azioni vanno integrate con misure capaci di limitare al massimo le dispersioni energetiche con efficaci isolamenti. Va ricordato che un edificio realizzato secondo le tecniche attuali può consumare da 150 Kwh/mq fino a 300 Kwh/mq per il suo funzionamento, viceversa un edificio ecoefficiente ha un consumo ridotto, rispetto ai casi precedenti, di circa 1/10. Quindi il consumo di energia di un edificio ecoefficiente può attestarsi tra i 20 e i 30 Kwh/mq.
– Costi di gestione economicamente molto contenuti: i costi di manutenzione debbono riferirsi sia al costo di gestione energetica della fabbrica che alla sua conservazione nel tempo. Pertanto il costo di costruzione potrà anche non essere il più economico, se questo porterà alla riduzione dei costi di gestione. In altre parole il confronto costi-benefici deve essere applicato coerentemente sia ai costi di costruzione sia a quelli di gestione, analizzando complessivamente i due fattori.

– Impiego ridotto delle materie prime e delle risorse impiegate nella costruzione, selezionando materiali di origine naturale.
È necessaria a
nche una selezione a favore di materiali più leggeri per ridurre il peso complessivo del fabbricato, in modo da contenere anche il sistema portante. Si tratta di ridurre concretamente le risorse impiegate
per unità (mc di costruzione), ottimizzando quindi questo tipo di risorse.
– Particolare attenzione progettuale deve essere posta, per quanto attiene il consumo dell’acqua, separando i circuiti, al fine di riutilizzare questa risorsa per altri fini, come ad esempio per innaffiare la vegetazione. Analogamente vanno eliminati tutti quei materiali che abbiano caratteristiche tossiche o inquinanti. Viceversa vanno impiegati prodotti di finitura intelligenti, ossia tutti quei materiali che hanno la capacità di catturare e ‘fagocitare’ gli inquinanti organici e
inorganici attraverso l’azione dei raggi ultravioletti e/o raggi solari.
Si tratta di un processo di assorbimento della luce operato da parte di materiali contenenti il Biossido di titanio (TiO2) che ha la proprietà di ridurre il livello dei gas composti di biossidi di azoto. La fotovoltaitazione di questi gas da parte dei rivestimenti di cui sopra, determina un degrado dei gas inquinanti, degrado che viene eliminato attraverso l’azione della pioggia.
– Bisogna considerare la possibilità che gli elementi componenti della fabbrica possano essere dismessi e riutilizzati in altre fabbriche, ciò comporta una serie di attenzioni in fase di progettazione che prevedano un facile smontaggio dei componenti interessati. Va anche previsto un sistema di raccolta e riciclaggio dei materiali dismessi: tale processo, ovviamente, non dovrà procurare inquinamento come avviene oggi, sia pure in parte, per i materiali ferrosi e per l’alluminio.

La questione più grave è che nel nostro paese manca una solida cultura sulla sostenibilità ambientale che affronti il problema in modo globale, infatti, una città o una architettura sostenibile, non è composta da una serie di soluzioni tecniche che riducono il consumi energetici, anche se questo può già costituire un passo avanti. La vera svolta dovrebbe essere quella di fare una valutazione costi-benefici a più largo raggio, tale analisi dovrebbe tener conto non solo dei materiali e delle componenti impiegate, ma anche dei sistemi di produzione dei componenti impiegati nella costruzione che devono anch’essi rispondere ai principi della sostenibilità.
Nel nostro paese, per invertire la tendenza, occorre investire di più nel settore della ricerca scientifica, essa deve orientarsi verso studi che partano dalle nostre condizioni climatiche e dalla tradizione costruttiva mediterranea. Oggi le ricerche più approfondite e le realizzazioni architettoniche più significative si sono in prevalenza sviluppate nei paesi del Nord Europa, dove le condizioni ambientali e culturali sono molto diverse dalle nostre. A mio avviso non è possibile trasferire tout court queste esperienze nel nostro paese senza incorrere in gravi inconvenienti, come ho già mostrato in precedenza con l’impiego di pannelli INGLAS PCM.

Jean Nouvel, Sede della compagnia Interunfall, Austria, 1995/1999

Va detto, per obiettività, che nelle nostre Università cominciano ad uscire alcuni studi, sviluppati da giovani ricercatori che con entusiasmo affrontano queste tematiche in modo nuovo e sistematico, cercando di analizzare il nostro clima e le tradizioni del costruire.
In questa direzione ho avuto modo di seguire le attività scientifiche di un giovane ricercatore che opera nella mia Facoltà nel settore della tecnologia; egli, partendo dagli insegnamenti che possono essere ricavati dalla natura e analizzando quindi una serie di fenomeni naturali per verificarne la trasferibilità nella progettazione bioclimatica, si è concentrato in modo particolare sugli involucri degli edifici.
Un suo recente contributo, dal titolo: Involucro ben temperato – efficienza energetica ed ecologica in architettura attraverso la pelle degli edifici2 affronta i problemi centrali dell’ecoefficienza e quelli del comportamento dell’involucro. Egli presenta anche una serie di opere realizzate, mettendole fra loro a confronto tramite una serie di parametri
elaborati dall’autore stesso. L’asse portante del suo pensiero può essere desunto da questo brano.

Morphosis, Phare Tower, La Defense, Parigi, 2012

Occorre invece, alla base, pensare ad un nuovo tipo di architettura, che riesca a concentrare la sua attenzione sugli elementi-cardine con i quali è possibile mettere in pratica un comportamento radicalmente diverso di quel particolare organismo sistemico che è l’edificio.
In questa ottica, possiamo affermare che tra gli elementi cardine per l’architettura ecoefficiente ed ambientalmente consapevole, il ruolo primario è da attribuire senza dubbio ‘all’involucro architettonico’, che cerco di illustrare in questo libro nei suoi molteplici aspetti di sistema ‘ben temperato’, in quanto capace, finalmente, di dialogare attivamente e fattivamente con i fattori immateriali microclimatici del soleggiamento nei suoi aspetti termici, dell’illuminazione naturale, della temperatura esterna, della ventilazione naturale, e dei tanti altri elementi che vanno oggi ad informare un possibile quadro innovativo dei requisiti prestazionali ambientali per un’architettura ecosostenibile.
La maggior parte delle architetture ecoefficienti fin qui realizzate, si trovano nei paesi nordici, tra queste ve ne sono alcune particolarmente significative dal punto di vista della sostenibilità ambientale; purtroppo, non può dirsi altrettanto delle realizzazioni nei paesi con climi analoghi al nostro. Per questa ragione i casi di studio che accompagnano
questa relazione, sono stati scelti in prevalenza nel sud dell’Europa o in alcuni Stati degli USA, con situazioni climatiche simili alle nostre, al fine di presentare opere più coerenti con i nostri interessi.
Concludendo, credo che per realizzare opere architettoniche ecoefficienti
occorra fare ancora
un grande sforzo, che deve vedere uniti le Università, con tutti i docenti di Progettazione Architettonica, le industrie, che devono cofinanziare le ricerche in questo settore, il nostro Ministero MiUR, che deve destinare maggiori risorse alla ricerca scientifica in questo settore ed infine i professionisti e gli Ordini professionali, che debbono impegnarsi in una formazione continua su queste tematiche, possibilmente in collaborazione con le Università. Solo così potremo recuperare la distanza che si è creata con i paesi che da molti anni dedicano attenzione e risorse a queste problematiche.

1. Cfr. Salvatore Dierna, Tecnologie Innovative e strategie di sostenibilità ambientale, in
Tecnologia, pagg. 31-44
2. Cfr. Fabrizio Tucci, Involucro ben temperato – efficienza energetica ed ecologica in
architettura attraverso la pelle degli edifici; Edizioni Alinea, Firenze 2006

Nota: Le schede riportate nelle immagini sono tratta dal Volume a cura di Fabrizio Tucci, Involucro ben temperato – efficienza energetica ed ecologica in architettura attraverso la pelle degli edifici; Edizioni Alinea, Firenze 2006, si ringrazia l’autore per la sua collaborazione.

M.D. Direttore del Dipartimento di Rilievo Analisi e Disegno dell’Ambiente e dell’Architettura, Università degli Studi ‘La Sapienza’ di Roma
A.I. architetto, Dottore di ricerca

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