L’arte vetaria smaterializzata nel colore della luce: nelle molteplici tonalità e nelle forme che le esprimono. Lampade d’arredo.
Bianco: il volto della luce, la somma dei colori, la purezza dell’essere dove la vista può scorrere libera, perché non c’è nascondimento. Bianco: l’espressione del lindore, del chiarore, della semplicità. Tra questo vertice cromatico e il lucore, più che contiguità, c’è stretta congiunzione, intenso afflato. Se lungo una parete bianca fonti nascoste lasciano scorrere i loro raggi, la lucentezza apparirà generata dalla superficie stessa. E là, dove compare un altro colore, questo diventa contrappunto che evidenzia: il rosso in forma di fiamma o di pennacchio come in Dracena (foto 1), dalle foglie di vetro striate a mano (anche in bianco seta, ambra e ametista).
Nella magia del vetro c’è anche una morbidità nascosta, impalpabile. Come in Moai (foto 2), forma di ispirazione polinesiana: che sembra un grosso magico seme tropicale (due diffusori in vetro soffiato su base in resina compatta). Le fonti di luce svolgono un racconto dai toni variamente modulati: sottili ed elaborati nei ricci di vetro sagomato di Aspid (foto 3, design Danilo De Rossi), o tracciati con topografica precisione nell’ornato in foglia oro e perline di Laguna (foto 4). Il vetro proteiforme si raggela in cristalli di splendore. (Produzione Leucos).
L.S.
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