Minimalismo newyorkese

Lo hanno fatto tutte le grandi griffe della moda nella fifth avenue di New York, quindi è la moda del momento: il genere “loft” con i tubi degli impianti a vista. È una novità perché finora il minimalismo dei mobili aveva comportato una rigorosa geometria negli spazi architettonici. È ancora così, ma dal soffitto pende di tutto: i fili di sospensione delle lampade si sono moltiplicati come alghe infestanti, i tubi, i tuboni e i tubetti degli impianti sono stati messi in bella vista.
Ora lo spazio vuoto si è finalmente riempito, non di decorazioni (l’ornamento rimane sempre un delitto) ma di accessori industriali. Che non sottostanno a una scelta estetica, perché loro sono belli così come li ha fatti l’industria, quella degli ingegneri non degli architetti.In questo loft newyorkese, che occupa ben 300 mq di una costruzione tipicamente industriale, questa tendenza a incrementare cavi e tubi ha vistosamente preso il sopravvento. Ma non è la sola novità: l’insieme dei blocchi funzionali creati con l’ausilio dell’estetica minimalista sono distribuiti su due percorsi simili a quelli stradali con prospettive che s’inoltrano quasi all’infinito, da parete finestrata a parete finestrata percorrendo lo spazio nel senso della lunghezza. È come camminare in una città sventrata che mette a nudo il suo cuore tecnologico e, di tanto in tanto, ci si trova in uno spazio ancora riconoscibile, come il salotto, il pranzo, lo studio, la camera da letto, la sala da bagno… Riconoscibile solo perché vi sono i mobili ad indicare luoghi e funzioni.

Essendo lo spazio globale un rettangolo stretto e lungo, anche gli spazi singoli come quello della cucina sono concepiti all’interno di moduli rettangolari orientati nello stesso modo. La cucina, su disegno dell’arch. James Slade, ha una struttura in acciaio, un rivestimento in acrilico e un piano di lavoro in marmo.
Di zona in zona l’ambiente è sempre lo stesso: anonimo rispetto alle funzioni, scaffalato e armadiato quanto basta per sistemare e mostrare tutto, anche una preziosa collezione di antichi stipi coreani qui sistemati come in un cargo. Quel che salta all’occhio è la depersonalizzazione dei singoli ambienti rispetto alla forte personalizzazione dell’insieme. Qualcosa che tende all’annullamento delle esigenze individuali.

Il lungo tavolo in massello di legno Mokore può accogliere una ventina di commensali. Posto sotto le finestre di una delle due pareti vetrate, occupa il centro ottico di un’infilata prospettica.Centralità del progetto: due sono le linee guida del progetto: creare due percorsi che  attraversano il loft in lunghezza formando lunghe prospettive, e calare dal soffitto tubi, fili ed elementi illuminanti per animare la parte alta dello spazio.
Innovazione: pensare le zone funzionali come pause tra volumi parallelepipedi.
Uso dei materiali: legno di recupero in contrasto col bianco dei contenitori.Prima dell’avvento del Movimento Moderno in casa si viveva dentro tante stanze chiuse, piene di oggetti che rimandavano a gusti e manie di chi le abitava. Il modernismo ce li ha fatti vivere come una colpa: ha demolito i muri separatori e nascosto tutto ciò che fosse inutilmente decorativo e assolutamente umano. L’alternativa è stato il rigore della geometria e la simbolica libertà dello spazio aperto. Adesso al posto della foto dei nostri cari abbiamo il tubo dell’aria condizionata, irridente nella sua nuda funzionalità. E ne siamo felici, perché questi sono i tempi nuovi.

Dietro la testiera del letto vi è un pannello di teak dove si inseriscono vari piani laccati color arancio. La poltrona d’epoca in pelle e noce è la “Lounge chair” disegnata da Eames nel ‘55.Studio di architettura e ingegneria
Lo Studio è stato fondato nel 2002 a New York da Hayes e James Slade che hanno provenienze diverse: ingegnere lei, architetto e artista lui. Questo permette loro di spaziare in differenti campi progettuali, dalle residenze ai negozi, dalle costruzioni industriali agli uffici e alle stazioni radio.
I loro lavori sono stati esposti in numerosi musei e hanno ottenuto svariati riconoscimenti: nel 2005 l’esposizione al National Building Museum di Washington, nel 2004 al New York AIA Award, nel 2003 al PSI/MoMA come finalista, nel 2003 nel Museo di Arte Moderna di New York.

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