Lo sfondo metafisico

Tratto da:
Chiesa Oggi 48
Architettura e Comunicazione

Di Baio Editore

Lo sfondo metafisico

SS. Giovanni e Paolo a Venezia: lo splendore del raccordo gotico-rinascimentale.

La costruzione di una chiesa disegna un nuovo ordine scenografico urbano.Tale consapevolezza si basa su una secolare tradizione di dialogo tra edificio sacro e città.

In gran parte delle nostre città e dei nostri borghi medievali e rinascimentali questo processo di riassestamento urbanistico scenografico è avvenuto in modo quasi naturale, essendosi gli stessi sviluppati attorno a centralità complementari costituite dagli insediamenti del potere spirituale e di quello civile. Lo splendore scenografico delle facciate delle cattedrali, l’equilibrato raccordarsi dei sagrati all’aprirsi delle piazze hanno saputo per secoli trasmettere un accogliente invito verso il mistero degli interni riservati alla liturgia. Nelle basiliche più antiche il raccordo tra lo spazio civile e religioso era segnato da portici pluriformi destinati ad ospitare catecumeni e pellegrini. Agli albori del rinascimento fu assegnata alla dilatazione del sagrato la funzione di proscenio, aperto alla praticabilità anche civile, per aspetti di spettacolarizzazione che le gerarchie ritennero più consone fuori dagli spazi del rito (misteri della Passione, sacre rappresentazioni che confluivano in forme di teatralità non del tutto controllabili). Nella modernità, a partire dalle soluzioni adottate nei collegi dei gesuiti, in seguito ulteriormente sviluppate negli oratori salesiani, fino alle proposte attualmente praticate, l’edificio ecclesiale, oltre alla funzione di luogo di culto, ha assunto caratteri di attività integrate prevalentemente rivolte al campo culturale e sociale.Tale tendenza ha obbedito a precisi orientamenti finalizzati a rapportare la pastorale della Chiesa al mutare delle esigenze e ha comportato una ridefinizione anche delle dimensioni degli interventi edilizi: in molte situazioni, oggi, le costruzioni riservate alle opere parrocchiali risultano ben più ampie rispetto all’edificio riservato al culto. Forse è il caso di cominciare ad interrogarsi collegialmente, clero committente, comunità, progettisti, sull’opportunità del superamento di tali sfide dimensionali e del ripristino di una corretta emergenza anche simbolica dell’aula ecclesiale. Corretta emergenza che vada altresì a scoraggiare riproposte di monumentalismi di vuota rappresentatività, o tendenze in atto che rispondono, più che alla qualità degli spazi liturgici, alla funzionalità di megaparcheggi e del merchandising popolare in ‘iperchiese’ sempre più omologabili agli ipermercati. Ma come sarà possibile recuperare, per le chiese che oggi si vanno a progettare e costruire, la qualità di una tradizione che ha saputo per secoli armonizzare dimensioni e spazi di reciproco equilibrato rispetto tra edilizia religiosa e civile? Ove possibile, l’attenta organizzazione dei percorsi di avvicinamento, alternativi alle purtroppo abituali bituminazioni per autoparcheggio, possono consentire una mediazione più accettabile tra lo spazio civile e la raccolta quiete del luogo religioso. Soluzioni progettuali quali leggere variazioni del livello del suolo, un ordinato disegno del verde, un alternato uso di materiali lungo i calpestii, l’inserimento di una fontanella, di un gruppo scultoreo, possono conferire all’insieme quel supplemento di qualità che può ricollegare il progettare contemporaneo al sedimento culturale di una tradizione generosa nell’offrirsi anche a quanti non segnati dal dono del credere.

Prof. Dr. Romano Perusini Docente di Scenografia, Accademia di Brera

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