Servizio di: Barbara Olivieri, architetto La luce in architettura non è valutabile isolatamente ma è leggibile in parallelo a colori, rumori, sensazioni tattili dei materiali, temperatura interna, umidità e odori che costituiscono i requisiti essenziali di un progetto architettonico. In genere la luce naturale è scarsamente considerata ai fini della creazione di effetti luminosi. Infatti quando si fa un progetto di “lighting design”, si impiega la luce artificiale: si determinano fonti luminose e si stabiliscono gli apparecchi, scegliendo precise ottiche per direzionare in modo ottimale i fasci luminosi al fine di ottenere specifici effetti. La luce naturale invece viene considerata sostanzialmente in funzione del rispetto dei rapporti illuminanti, disciplinati da precisi regolamenti di igiene ed edilizi (il cui scopo è garantire requisiti ottimali di salubrità degli ambienti), andando a posizionare le finestre nel miglior modo possibile al fine di soddisfare le esigenze normative. Al contrario, anche la luce naturale può essere utilizzata in modo plastico e suggestivo: è possibile ottenere effetti luminosi attraverso l’utilizzo di diversi espedienti costruttivi. Nelle foto: Un loft milanese è stato realizzato in quello che era un grande laboratorio artigianale, costruito all’interno di un edificio ottocentesco. Le lastre atermiche impostate su capriate metalliche trasmettono la luce solare, ma riparano dall’eccesso di calore. Il soppalco in cristallo stratificato, le lastre della scala e la passerella che s’affaccia sul piano inferiore ne rappresentano l’ideale continuità. Così la luce naturale raggiunge anche il piano inferiore permeando tutto il loft, rifrangendosi sui tubi luminosi collocati appena sotto la passerella. Il concetto di illuminazione naturale raggiunge l’apoteosi nella soluzione formale della Casa di Vetro. Bruno Taut, nel padiglione costruito in occasione dell’Esposizione del 1914, applicava proprio questo concetto: le pareti e la complessa struttura a cupola furono realizzate quasi completamente in vetro, per trasmettere al visitatore la sensazione di entrare nella pura luce. Nel 1927 il complesso residenziale “Weissenhof” a Stoccarda poneva le basi per lo sviluppo del Movimento Moderno. Nelle foto: Maeda, “Knockout the moonlight”. Okusawa Setagaya, Giappone 2002. Collaboratori: Hirokazu In. Foto: Shinji Miyamoto. Fondamentale è usare l’architettura per modellare la luce proveniente dall’esterno, manipolando pareti e soffitti (in sostanza l’involucro della casa) con il preciso scopo di far entrare la luce secondo un modo ben definito. Inoltre all’interno degli ambienti possono essere impiegati rivestimenti differenziati per le superfici: colpire con un fascio di luce una superficie opaca (chiamata anche “mat”) o una superficie lucida (verniciata, per esempio) produce risultati differenti. Inoltre l’utilizzo di colori sui differenti piani costituenti un ambiente contribuisce ad interpretare la luce in molteplici modi: una parete rossa riflette la luce in maniera diversa rispetto ad una parete bianca o di altri colori. La stessa idea può essere applicata anche all’utilizzo di vetri colorati per le aperture: tali elementi modificano la qualità della luce filtrata creando effetti teatrali (pensiamo alle cattedrali!). Nelle foto: Daly Genik Architects, “Casa Boulder”. Canada, Sydney 1999. Foto: John Di Maio, Portland. Se si vuole sono artifici abbastanza scontati ma spesso trascurati in fase di progetto: la soluzione più comune è la realizzazione di vetrate “panoramiche” che creano un “continuum” tra interno ed esterno. Una possibilità fornita Le immagini 2 – 3 – 4 – 5 – 6 sono tratte dal volume Case nel mondo (Collana: Architecture Tool), a cura di Giovanni Palazzi, Motta Editore, 2003.
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