LIBERTÀ E OGGETTIVITÀ NELL’ARTE E NELL’ARCHITETTURA – Vincenzo Paglia

Mons. Vincenzo Paglia, Vescovo di Terni – Narni – Amelia, è da molti anni impegnato sul fronte dei rapporti con l’arte e con l’architettura. Nella sua Diocesi sono sorti diversi centri parrocchiali nuovi e in tutti questi risalta il congiungersi di arte e architettura. Recentemente Mons. Paglia ha incaricato Danilo Lisi per la progettazione di un complesso parrocchiale nel capoluogo umbro.

Mons. Paglia, può spiegare come procede nel conferire l’incarico per una nuova chiesa?
La discussione è ampia e coinvolge anzitutto l’architetto e subito anche gli artisti. Ma devo premettere anzitutto che l’obiettivo da raggiungere non è semplicemente la costruzione di una chiesa, bensì di un complesso architettonico di rilevanza urbanistica che riqualifichi un brano di città, spesso privo di identità.
Quindi la prima considerazione riguarda il rapporto tra centro parrocchiale e territorio: ed è questo l’argomento affrontato anzitutto con l’architetto Lisi, scelto perché il suo approccio progettuale sembra rispondere al meglio a questi obiettivi. Lisi infatti disegna architetture che hanno il carattere dell’essenzialità e della linearità, ma nello stesso tempo risultano ben individuate, così da porsi come luoghi di riferimento nel tessuto urbano. Il nuovo centro parrocchiale, incentrato sul volume della chiesa, sarà nettamente distinguibile nel contesto della periferia ternana adagiata sui pendii montani.Quali i “segni” architettonici più rilevanti e caratterizzanti?
Il nuovo centro parrocchiale avrà una funzione sociale cruciale: si pone come luogo di riferimento e momento di aggregazione, e l’architettura dovrà ? esprimere questo rivolgersi della chiesa al quartiere, nel momento stesso in cui si definisce quale luogo di preghiera, luogo d’incontro con Dio e quindi anche della Sua Famiglia. Si prevede quindi un ampio porticato, che è una sorta di agorà che raduna la gente e offre accoglienza, mentre il campanile sarà il richiamo alla tradizione e il segnale di una dimensione “altra”. I centro parrocchiale quindi avrà la dimensione sociale, dell’accoglienza e dell’abbraccio fraterno, e la dimensione squisitamente religiosa della celebrazione del rito. I due aspetti, quello più chiaramente “sacro” e l’altro “profano”: vanno legati assieme nella loro differenza.
Più lo spazio sacro si manifesta chiaramente per tale, meglio feconda gli ambienti “profani”.
Riguardo a questo, mi preme sottolineare che l’architettura della chiesa deve fondarsi su uno spazio dotato di forte direzionalità: questo è stato oggetto di un approfondito dialogo col progettista, anche alla luce di quanto esposto nel 2001 da Joseph Ratzinger nel suo scritto “Introduzione allo spirito della liturgia”. Per questo si è scelto di conformare la parete di fondo ad abside: una soluzione spaziale che suggerisce il superamento del limite dell’immanente per attingere a una dimensione diversa.
Chi entra in chiesa infatti deve percepire nella conformazione spaziale l’invito al superamento del “sé” e anche del “noi” per dirigersi verso l’alto, il futuro, verso Dio.

Anche le presenze artistiche contribuiranno a questo…
Ed è su questo che si sta dipanando il dialogo tra committente, progettista, artisti. L’intervento di questi ultimi contribuirà a declinare il discorso architettonico attorno al tema portante, che nel nuovo centro parrocchiale è quello della figura di san Giovanni Bosco, il Patrono titolare della nuova chiesa. Gli interventi artistici saranno informati a un orizzonte tematico imperniato sui giovani e l’educazione, la crescita. In tale orizzonte si dovranno delineare temi come i giovani nelle Scritture, i giovani e il Maestro, i giovani e la
missione…Ha avuto modo di apprezzare altre chiese progettate da Danilo Lisi, come quella di San Paolo Apostolo a Frosinone?
Sono architetture che apprezzo perché sanno essere essenziali e coinvolgenti: il disegno architettonico è nitido e leggibile con immediatezza, comunica a livello emotivo ma con misura, senza perdersi nel sentimentalismo. In tali architetture, gli interventi artistici esaltano e completano le linee che definiscono lo spazio, aggiungendovi una nota di eloquenza. L’architettura accoglie, l’opera artistica completa e trasfigura il messaggio contribuendo ad affermare il primato dello stupore sulla razionalità, senza cadere nel soggettivismo o nel relativismo.

Quindi, quale la richiesta che rivolge agli artisti?
Sin dal momento in cui si sceglie chi chiamare a operare in una chiesa, occorre chiarire che si tratta di entrare in un orizzonte di servizio che deve aiutare a uscire da sé per rivolgersi a Dio.
All’artista si chiede di declinare secondo la sua particolare sensibilità una tematica – teologica, spirituale – che va anzitutto dibattuta e approfondita assieme, così da superare il piano della soggettività. Ricordo che in uno degli incontri sul tema “Arte e spiritualità”, svolti qui a Terni, Stefano Di Stasio propose questa osservazione: “L’incontro col limite del religioso ha aperto il cerchio del mio io, della mia soggettività.Così non solo ho trovato nuove tematiche per l’arte, ma ho scoperto un gusto nuovo nel mio spirito di artista”. Per questo applico anche al campo artistico quanto, sia Giovanni Paolo II, sia Benedetto XVI dicono del rapporto tra fede e scienza: la fede non costringe l’artista ma lo provoca, lo esalta e ne valorizza l’estetica. La religione scopre i semi dello Spirito, il seme della Parola. Perché questi semi abitano nell’animo degli artisti e sono pronti a germogliare, non appena si apre l’uscio e si permette loro di operare. Non a caso, nell’ultimo Sinodo dei Vescovi su “La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa” è stata riservata un’attenzione particolare all’arte, intesa come manifestazione dello Spirito di Dio, che è anzitutto Spirito creatore: capace di trasformare, e di rendere nuove tutte le cose.

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