Lettera aperta

a cura di Giuseppe Maria Jonghi Lavarini
“… Non sarà casa del Signore, se non l’ispirerà in tutte le sue linee un vivido senso religioso; e non sarà casa accogliente per la Famiglia di Dio, se non ne soddisferà le esigenze liturgiche e non ne rifletterà gli spiriti”. Giacomo Lercaro

“Ho suggerito all’architetto la soluzione di progettare e di costruire un grande ‘contenitore’ polifunzionale (per le celebrazioni festive, per conferenze e spettacoli…) adiacente alla chiesa…”: così scrive S.E.R. Mons. Franco Gualdrini, Vescovo della Diocesi di Terni-Narni-Amelia. Sono parole che sottintendono una vicinanza attenta, sollecita, proficua tra il Pastore responsabile della Diocesi e il progettista del nuovo intervento architettonico. Intervento particolare: all’antica chiesa ormai troppo piccola per le grandi celebrazioni viene affiancato un nuovo edificio. Si conserva così l’antico con tutto il suo valore di simbolo, con tutta la sua valenza di testimonianza, ma lo si collega a uno spazio nuovo. È un esempio importante per diversi aspetti. Perché nell’innovare e ampliare lo spazio di culto non si abbandona, bensì si riqualifica (come sagrestia, come tabernacolo, come cappella) l’antico; perché lo si colloca entro un’area attrezzata che ne fa un autentico centro parrocchiale e sociale; perché, soprattutto, sorge da una intesa tra committente (il Vescovo) e progettista. Non sembri poco.
Abbiamo visto chiese antiche, anche di pregio, abbandonate perché a queste si preferisce un edificio nuovo, magari lontano, comunque diverso e che si presenta come un cambiamento radicale rispetto alla chiesa esistente. Nella nostra rubrica I tesori da salvare, fatti e non parole, abbiamo parlato e continuiamo a parlare di casi simili: c’è tutto un patrimonio immenso che viene tralasciato, abbandonato, dimenticato. L’antico dev’essere valorizzato: è prezioso e rappresenta la continuità nel tempo. È bene che le chiese edificio testimonino tale continuità. L’intesa tra committente e progettista è l’elemento cruciale sia per il buon mantenimento del patrimonio esistente, sia per favorire l’emergere e il formarsi di una capacità innovativa. C’è poco da fare: si tratta di tornare a sintonizzare due sensibilità distinte: l’uomo di Chiesa deve poter avvicinarsi al linguaggio dell’architetto e viceversa. Certamente ci vuole formazione e informazione. Ma soprattutto ci vuole buona volontà da entrambe le parti: qualcosa che non si apprende come una tecnica. Imprescindibili, ovviamente, sono la tecnica e l’arte, ma senza la buona volontà e senza il dialogo non bastano.
Una chiesa può benissimo essere un’opera d’arte geniale: ma son casi rari. La norma è che sia frutto di buona tecnica, di buon gusto e di una buona intesa tra progettista, committente e liturgista. Questo è l’aspetto che vogliamo mettere in rilievo dei progetti che presentiamo su questo numero di CHIESA OGGI architettura e comunicazione. Gli interventi di Mons. Giuseppe Arosio, dell’Arcidiocesi di Milano, di Mons. Oliviero Bernasconi, della Diocesi di Lugano e la lettera del suo Vescovo, S.E.R. Mons. Giuseppe Torti, pongono in evidenza proprio questo aspetto. Prescindiamo da qualsiasi considerazione formale o stilistica: le chiese di Varedo (Milano) e di Porta (Diocesi di Lugano) sono ben inserite nel contesto, funzionali alla liturgia, architettonicamente significative. E di questo senso di adeguamento, di correttezza, di funzionalità liturgica ci parla anche la Prof. Maria Antonietta Crippa, a proposito della chiesa della Casa Generalizia delle Pie Discepole del Divin Maestro a Roma: un caso in cui committenza e progettista si identificano e riescono a risolvere con garbo il tema liturgico, entro un luogo ben definito, dotato di caratteristiche di riconoscibilità e ben inserito nella tradizione. “Le vetrate istoriate sono un importante elemento identificativo dello spazio dedicato al sacro, fascinoso ma non magico, solenne ma non enfatico, suggestivo ma non stravagante” scrive il Rev. Prof. Carlo Chenis, Segretario della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa. Sono parole che ci riconducono a un altro tema importantissimo quando si parla di arte per la Chiesa: il senso della misura.
Talvolta, anche nel recente passato, si è teso all’esagerazione: abbiamo visto disegni di edifici, di oggetti liturgici, di opere d’arte che cercavano una significazione eccelsa. E il disegno si fa allora pesante, la tonalità sgargiante, il gesto eccessivo. Anche il Prof. Roberto Gabetti, che oltre a essere un grande progettista è anche Presidente della Commissione Arte Sacra dell’Arcidiocesi di Torino, richiama alla misura. “Quando si attribuisce valore sacro soltanto all’uomo, secondo la linea precisa delle Sacre Scritture, si viene parallelamente a sottrarre sacralità alle cose materiali, anche se destinate al culto”. Ma sottrarre sacralità non vuol dire dar adito alla sciatteria, bensì rendersi conto della misura necessaria, farsi carico dei limiti nostri, ricercare un’espressione adeguata. Un tema, questo di fondamentale importanza per il design degli oggetti liturgici, di cui su questo numero di CHIESA OGGI architettura e comunicazione cominciamo a dibattere.

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