Leonardo Ricci ed il Monte degli Ulivi

Il terzo numero di Other Plays, l’allegato multimediale realizzato in collaborazione con il Seminario di Architettura e Cultura Urbana, è dedicato ad un’opera realizzata nel 1962, grazie alla proficua collaborazione intercorsa tra Tullio Vinay e Leonardo Ricci: il Villaggio Monte degli Ulivi, sito a Riesi, opera in cui natura ed architettura trovano magistrale armonia all’interno dell’entroterra siciliano, estremamente attraente quanto povero.
Figlio di un insegnante, Vinay è stato pastore della chiesa valdese di Firenze, teologo sopraffino, uomo politico della sinistra e personaggio del nostro secolo la cui importanza sociale in un’Italia sconvolta, nel dopoguerra, dai postumi del conflitto e degli orrori fasci-nazisti, è legata al suo pensiero ed al suo operato in campo.
Fu infatti un attivista antifascista e riuscì a salvare, durante il conflitto mondiale, diverse decine di ebrei, che nascose in un appartamento segreto della sede valdese di via Manzoni a Firenze. Nel 1982 fu riconosciuto, dal governo israeliano, Giusto tra le Nazioni, ma non mancò di criticare la politica del governo dello Stato di Israele nei confronti dei palestinesi il giorno in cui fu invitato a ritirare l’onorificenza.
La chiesa valdese gioca un importante ruolo all’interno del territorio siciliano, nei primi anni sessanta, e soprattutto nella provincia di Caltanissetta in cui a Riesi, paese tra i più poveri e meno avvenenti di tutta l’isola, decide di attivare un processo di risanamento sociale. Vinay, infatti, decide di fondare una comunità sulla scia del precedente  sperimento di Agape; il suo gesto fu certamente pionieristico, deciso a creare un substrato culturale che facesse da innesco per un processo volto al risanamento territoriale dall’interno. Per fare ciò Vinay si rivolse nuovamente a Leonardo Ricci, spinto dalla positiva esperienza di Agape e dall’importante amicizia tra i due.
Nel suo percorso di progettazione, Ricci cercò di sperimentare la dissonanza tra radicamento e svincolo dell’edificio, prendendo a maestro Frank Lloyd Wright con la sua casa Kauffmann. Ricci dichiarò che tutta la struttura scatolare collabora: non c’è materiale inerte. Neppure un metro quadro di soletta o di mura è inutile alla statica … La dice e non la dice. L’accetta e non l’accetta. Nulla di meno edificante e nulla di più affascinante.
Il Villaggio vide la luce grazie anche alla collaborazione tra Ricci e la manovalanza: vi furono operai edili che dedicarono anni della loro professione a questa architettura, e non soltanto per un interesse economico. Si restava spesso in cantiere per giorni, a lavorare una pietra dura e arida; in pochi riuscivano a lavorarla e tra tanti un maestro scalpellino, Michelangelo Bastile, che all’interno del documentario racconta le grandi fatiche e le grandi soddisfazioni nel vedere nascere un’opera così radicata nel terreno, ricordando il legame affettivo ed il grande rapporto professionale che ebbe con le figure di Leonardo Ricci e Tullio Vinay.
Una volta acquistato il terreno vennero effettuati i lavori di urbanizzazione e, successivamente, la presentazione del progetto del primo fabbricato, la scuola materna; ma le difficoltà che Ricci incontrò durante l’elaborazione delle idee erano legate a diversi aspetti culturali caratteristici del luogo e morfologici del terreno; lo stesso progettista afferma negli anni ’60: Ho dovuto trattare la materia in modo che non favorisse l’errore, ma al contrario che l’eventuale imprecisione ne arricchisse l’espressione. Ricci nel progetto doveva esprimersi con un salto di qualità, che permettesse alle persone locali di affermare, come ancora si afferma, che il Monte degli Ulivi è ‘nu paradisu’.
Per comprendere, quindi, le dinamiche sociali, progettuali, economiche che hanno portato all’edificazione del Monte degli Ulivi, non  possiamo prescindere dall’indagare i luoghi e le persone che lo hanno voluto e che sono stati partecipi nella edificazione.
Riesi è stata fondata nel XIII secolo. Il nome deriva da una parola araba che significa ‘luogo abbandonato, incolto’.Fino agli anni ottanta molti degli abitanti della città lavoravano nelle vicine miniere di zolfo di Trabbia e Tallarita. I proprietari sfruttarono la popolazione impoverita fino a stremarla e molte famiglie – per sopravvivere – furono costrette a mandare i loro figli a lavorare in miniera, che era ad un’ora di cammino dal paese. Entrando nella città si vede un grande monumento che ricorda la sofferenza dei minatori.
Oggi Riesi è soffocata da una forte criminalità organizzata. Ogni anno, conflitti interni alla mafia – con le cosche avversarie appartenenti rispettivamente a ‘Cosa Nostra’ ed alla ‘Stidda’ – danno luogo ad incidenti e perdite umane. Nella primavera del 2006, il Presidente Giorgio Napolitano ha sciolto il Consiglio Comunale ed allontanato il sindaco dai propri incarichi a causa degli evidenti legami tra questi ed il crimine organizzato. Da allora, come già in precedenza, la città è stata amministrata provvisoriamente dal Governo Regionale che ha sede a Palermo.
La diffusa povertà prima della fine della seconda guerra mondiale e la difficile situazione sociale protrattasi fino ad oggi hanno costretto diversi riesini ad emigrare e tra le destinazioni più frequenti, oltre alle grandi città italiane, troviamo il Belgio, la Francia e l’Argentina. Ancora oggi, una volta diplomati, lasciano le proprie case per cercare lavoro o studiare altrove, soffocati da una condizione sociale oppressiva.
Fu qui che nel 1961 il pastore valdese Tullio Vinay fondò il Servizio Cristiano per combattere la povertà. All’inizio, lo scopo principale era promuovere l’alfabetizzazione tra bambini e adolescenti, poi si aggiunse quello di favorire l’agricoltura e la formazione. Oggi la chiesa valdese gestisce un asilo nido, una scuola elementare, una pensione, un consultorio familiare e una piccola fattoria autonoma che produce olio, mandorle, ortaggi e che permette, ai forestieri valdesi e non, interessati ad un’esperienza di vero volontariato, di soggiornare nella struttura durante il periodo estivo.
Il villaggio di Riesi è stato definito da Zevi, in diverse occasioni, come una ‘architettura informale’ ed è ascritto d’ufficio alla categoria del ‘new brutalism’ elaborata da Banham nel 1955. Anche se Ricci smentì qualunque afferenza, sosterrà sempre la ricerca  formale. ‘Il mio lavoro di intellettuale è diverso – scrive Ricci – io non sono in posizione anarchica … al contrario mi sento al servizio dell’uomo … Certo, ho distrutto e ho cercato di distruggere gli schemi accademici … ma quasi solo per amore di verità e realtà. Non è il ritorno a forme arcaiche, preistoriche che mi spinge, ma proprio il contrario.’

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