Le cave nei territori dell’urbanizzazione diffusa

Le cave dismesse sono spazi ‘persi’, vuoti, frammenti sparsi sul territorio.
Sono una problematica comune a vaste aree poiché il loro numero è sensibilmente cresciuto in questi ultimi decenni (dati sottostimati ne censiscono 10.000 dismesse a fronte di 5.725 in produzione) a causa di una scarsa e poco efficace pianificazione delle coltivazioni.
Se leggessimo il territorio attraverso una mappa tematica, le vedremmo distribuite in siti, più o meno minuti, diffusi in maniera capillare, a disegnare quella che potremmo definire una nebulosa.
È possibile però individuare in questa diffusione indifferente, la chiave per una trasformazione virtuosa, un cambio di prospettiva che da problematica individua le cave dismesse come risorsa in grado di ri-organizzare quelle aree a densità variabile, fatte di ‘polveri urbane’, che costituiscono la nostra ‘città diffusa’.
Enric Battlet in uno studio sull’‘anello verde’ di Barcellona, definisce i vuoti della dismissione come lo ‘strato libero’, un sistema continuo che attraversa le parti ‘piene’, in cui la progettazione del singolo frammento è funzionale all’organizzazione coerente degli altri ‘vuoti’, nella definizione di nuove centralità e nella promozione di nuovi processi.
Nella compresenza di realtà urbane e rurali, di reti naturali e infrastrutture, di zone ispessite e solide, cariche di memoria, ma prive di qualità, queste aree dismesse, come altri vuoti considerati strategici per la ridefinizione della ‘città’, potranno assumere il ruolo forte di serbatoi spaziali. Assumeranno così valori ecologici, storici ed identitari, diventando occasione per la reinterpretazione della ‘qualità’ della vita, del verde, delle relazioni sociali e dell’identità urbana.
Il recupero potrebbe consegnare queste aree a parti ampie di ‘urbanità’, facendo di esse spazi di pausa carichi di significato, oppure ‘hub’ catalizzatori ed organizzatori in zone a bassa densità; dei ‘totem’ intorno ai quali, per dinamiche autonome, si possono concentrare e sviluppare nuove centralità, nuove densità fisiche e culturali, elementi capaci di riorganizzare un territorio frammentario. 
Ma questa polverizzazione della problematica non può prevedere come soluzione il grande gesto singolo e omnicomprensivo, ma deve definire relazioni e strategie progettuali flessibili e integrate in funzione delle singole realtà. Queste strategie, benché pensate per specifici territori, possono però descrivere approcci meta-progettuali validi al di là dell’applicazione specifica e possono essere lette attraverso parole chiave come ‘acqua’, ‘bio-agricoltura’, ‘emergenza’, ‘energia’.

H2O, hibrid horizon osmotic
Rispetto a ciò, interessa descrivere il progetto H2O, pensato per il territorio Modenese, che assume l’acqua come filo rosso per la ri-sigificazione biologica, economica e culturale del territorio, un nuovo ‘patto’ tra natura e società, considerandola nelle sue diverse espressioni (dal reticolo idrografico al sistema irriguo) come quella continuità non solo naturale, su cui si riflettono le culture, le storie e le società.
Se l’acqua è palesemente l’elemento fondamentale su cui si basa la vita, è altrettanto palese che i cambiamenti in atto ne stanno modificando la presenza/assenza; così controllare il sistema, potenziarlo, migliorarne l’apporto alle falde sono priorità non più trascurabili.
Il progetto considera le ‘cave a pozzo’ (tipologia diffusa e spesso limitrofa agli ambiti fluviali) come ‘serbatoi’ ideali, grazie alla condizione morfologica successiva alla dismissione, che viene sfruttata per trasformarle in ambienti umidi, nel contempo unità biosistemiche, unità paesaggistiche omogenee e unità economiche.
Una strategia che organizza tre occasioni diverse, tre declinazioni di recupero legate a tre parole chiave, fitodepurazione, stoccaggio, biosistema golenale.
Fitodepurazione come trattamento ecologico e responsabile dei reflui urbani, atto a migliorare la qualità dell’acqua del reticolo idrografico; stoccaggio come controllo e gestione dell’acqua a fini agricoli, in modo da assicurare l’irrigazione nei momenti di siccità alleggerendo il consumo sulle falde; biosistema golenale come sistema di controllo delle inondazioni (cassa di espansione) e di sviluppo della biodiversità.Questi tre possibili scenari, tra loro alternativi, a seconda dell’effettiva necessità, dell’altezza del piano di cava rispetto alla falda, della vicinanza con i nuclei urbani o gli ambiti produttivi, della contiguità con i corsi d’acqua, possono essere pensati come un unico sistema integrato, come un nuovo ciclo del refluo.
Gli argini rimodellati e messi in sicurezza non scompaiono insieme alla memoria storica del luogo, ma vengono sottolineati da passeggiate e punti di sosta, mentre la materia estratta viene riutilizzata nella sistemazione di questi percorsi.
Su questi segni si attestano alcuni elementi tecnici ‘invarianti’ che consentono una riconoscibilità all’intervento: piccole torri (punti di osservazione) che generano il movimento del liquido, elementi modulari (momenti di sosta) che segnano ritmicamente la distribuzione dell’acqua, e rampe, piccoli pontili, piattaforme che consentono la fruizione dell’acqua.
Il progetto mira a limitare il consumo di suolo e rafforzare il sistema ‘natura’ intervenendo sulle cave come ‘sacche’ di biodiversità, produttrici di possibilità agricole e paesaggistiche, di economie altre, alla ricerca di un nuovo sistema in equilibrio.
Quindi, non una semplice ri-naturalizzazione, fine a se stessa e legata ad approcci estetici ma sterili, ma un intervento di recupero che da un lato permette la riappropriazione delle aree nel paesaggio, dall’altro le trasforma in motore di una trasformazione sostenibile delle dinamiche fondative di un territorio.

Il progetto H2O è stato elaborato in collaborazione con gli architetti Ludovico Romagni e Anna Rita Vellei

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