La sostenibilità tra paesaggio, città e architettura

Un particolare aspetto della sostenibilità non riguarda tanto l’uso corretto e avanzato delle fonti energetiche fossili come il carbone e il petrolio, o di quelle rinnovabili come l’energia solare, eolica e idrica, quanto il progetto di trasformazioni ambientali che migliorino le condizioni generali di un determinato contesto. Queste trasformazioni possono riguardare sia interventi ex-novo, sia la correzione di precedenti interventi urbanistici e architettonici che hanno alterato un particolare sistema paesistico e insediativo.
È questo il caso del progetto di rinaturalizzazione di Stalettì, che si è configurato come un vero e proprio restauro del paesaggio. Il promontorio della costa calabrese, compromesso dalla costruzione abusiva – peraltro mai conclusa – di un edificio fuori scala, è stato sottoposto a un’azione di ripristino delle condizioni che il sito presentava prima della realizzazione del grande manufatto. Un’azione che non è stata intesa come la mera riproposizione della situazione precedente l’intervento edilizio, ma come una riscrittura complessa di un sistema di tracce naturali e artificiali, nel quale il ricordo della alterazione rimossa gioca un ruolo essenziale. In effetti demolire non si identifica con la semplice rimozione di qualcosa, ma con la progettazione di un nuovo ordine dello spazio abitato in cui la memoria di ciò che aveva prodotto un cambiamento improprio si fa materiale di una ricomposizione completa e organica del contesto originario.

Dalla relazione di progetto
Il progetto, attualmente in corso di realizzazione, propone di occultare sotto una collina artificiale i resti della demolizione dell’edificio che occupava questo luogo magico, alterando il senso dell’enclave paesaggistica che in uno scenario di grande bellezza naturale ospita le vasche di Cassiodoro e i ruderi archeologici della chiesetta bizantina di San Martino.
Le gradonate delle fondazioni del volume demolito sono ricoperte da una spianata di terra battuta, suddivisa in zolle dalle rampe pedonali che la attraversano diagonalmente, zolle che saranno piantumate con vegetazioni caratteristiche della macchia mediterranea. L’accesso alla collina è posto a nord – come una porta dell’inverno – sulla via San Martino, dove un piccolo slargo rettangolare, pavimentato a prato, consente il parcheggio dei visitatori. Da qui si accede nell’area pianeggiante che divide la collina artificiale in due parti, pavimentata con strisce di prato alternate a cordoli di pietra. Il virtuale piano inclinato in terra supera un dislivello di ventiquattro metri, unendo la parte sommitale a quella inferiore della collina dove, sul lato di nord-est, registra lo scompaginamento prodotto dai resti della chiesetta di San Martino. Le rampe che lo attraversano sono pavimentate in pietra e sono contenute entro due lastre di acciaio corten, che offrono, a monte, un contenimento del terreno e, a valle, fanno da sponda al lato superiore dei settori vegetali.
La parte più alta della collina presenta una pavimentazione con lo stesso disegno del piano posto alla quota dell’ingresso che, come già descritto, vede l’alternarsi di fasce d’erba e cordoli di pietra locale. Il vasto muro di calcestruzzo armato esistente, ineliminabile in quanto sostruzione della strada di servizio agli edifici costruiti nella parte superiore del promontorio, verrà foderato con una griglia elettrosaldata di supporto per le piante rampicanti (edera, vite americana, gelsomino, buganvillea, glicine) accolte nella lunga vasca in acciaio corten, posta ai suoi piedi. Dalla nuova, ampia superficie vegetale emergerà un importante episodio plastico, alto 4.00 m. e largo 3,00 m., consistente in un volume rivestito in pietra locale a spacco disposta secondo un alternarsi regolare di fasce orizzontali solcate da scanalature.
Dalla sommità del volume scenderanno, per foderare il muro, ulteriori piante e una piccola cascata che verserà l’acqua nella sottostante vasca.Di fronte alla fontana – per la quale è prevista l’incorporazione di un episodio artistico plastico-scultoreo – e in prossimità della suarinfrescante sonorità, tre panchine  realizzate in pietra locale permetteranno di sostare a chi avrà voluto percorrere per intero la salita delle rampe o la scalinata che, in alto, a conclusione, vedrà altresì la presenza di un ombroso e riposante tiglio, profumato albero riconoscibile.
Alla perentorietà della linea formata dalla lunga gradinata rivestita in lastre di pietra locale interrotta da pianerottoli erbosi – dispositivo di salita che borda a sud la parte disegnata dell’intervento, intercettando a varie quote l’arrivo delle rampe, e riprendendo il vecchio allineamento degli edifici demoliti – corrisponde sul versante opposto una maggiore irregolarità: procedendo da est a ovest, oltre i resti della chiesa di San Martino e oltre il parcheggio in prossimità dell’ingresso, il lato superiore della collina sembra deformarsi per accogliere le irregolarità del sito e la sinuosità di un piccolo corso d’acqua, abitato da bei massi rocciosi. Ancora a mezzogiorno il parterre d’ingresso muta, oltre la scalinata prima descritta, in un viale in terra battuta, che solca la bassa e spontanea vegetazione posta ai lati, e termina in un piccolo bosco di nuova piantumazione sui resti di un’altra parte della demolizione, ponendosi come una sorta di piccolo monumento al paesaggio originario del luogo. Al di sotto di esso, si trova un altro parcheggio.
L’aspetto che dà maggior carattere e forza alla collina è rappresentato dalla sovrapposizione planimetrica delle rampe litiche, di dimensione variabile, con i sentieri fioriti, dal cui intreccio si ricavano campi irregolari di differenti vegetazioni che nel corso dell’anno, opportunamente dislocate, danno luogo a un alternarsi variato di cromatismi e profumazioni. In questo senso, le rampe rivestite in lastre di pietra a spacco disposte a opus incertum, con giunti erbosi costituiscono un vero e proprio percorso che allo straordinario paesaggio circostante associano variate sensazioni cinestesiche, visive, tattili e olfattive. Le zolle della collina e le strisce che la solcano, come detto, saranno ricoperte a tappeto di edere, rosmarino, gelsomini, bounganvillea, vite americana, ginestra, glicine, in modo da creare un sorprendente paesaggio di fioriture, diverso da stagione a stagione. Il mutamento cromatico potrà essere la metafora del mutamento di questa parte del territorio di Stalettì: prima natura incontaminata, poi paesaggio oltraggiato dall’intervento abusivo e infine natura volutamente artificiale, luogo di eventi nei giorni della sua più smagliante fioritura come simbolo di una Calabria che sta cambiando. Per questo ci è sembrato significativo chiamare questo luogo la ‘Collina delle mutazioni’ e non si è voluto procedere nel progetto verso un ripristino del come era, occultando ciò che è stato. L’immagine complessiva dell’intervento vuole richiamare anche quella di un giardino all’italiana in cui le geometrie che lo definiscono sembra stiano ancora dinamicamente ricercando un proprio equilibrio, uno stato di quiete più appropriato. Esso appare nel tellurico scoscendimento della collina come un inserto che se da un lato sembra interiorizzare il carattere sublime del contesto, dall’altro tenta di ricondurlo a una dimensione più ospitale e domestica.
Per la Chiesetta bizantina di San Martino, che in questa fase non era oggetto di restauro, è stata proposta una perimetrazione vegetale, che impedisce l’accessibilità ai ruderi proteggendoli da incursioni vandaliche ma, nell’incorniciarli ne sottolinea la preziosa presenza rigenerando l’antica sacralità del luogo. Da qui, è prevista una cordonata verde per collegare la quota dei reperti alla parte più bassa dell’intervento segnata da una lunga e comoda panchina, da cui godere della splendida vista del mare.
Nel suo complesso il progetto di ricostruzione paesistica del promontorio di Stalettì, sinteticamente ri
assunto nelle righe precedenti, si propone come un esempio di cosa deve intendersi con il termine sostenibilità quando si è in presenza di paesaggi che hanno subìto processi di degrado ambientale e morfologico. In questo senso la sostenibilità misura lo spazio che esiste tra una condizione ottimale e i modi con i quali tale condizione può essere modificata conservando la sua essenza e la propria riconoscibilità. Perché ciò avvenga c’è da tenere presente prima di tutto la compatibilità dimensionale, poi il rapporto critico con quella entità che si potrebbe definire come la figuratività ambientale, ovvero tutto ciò, compresi i linguaggi architettonici presenti in un luogo, che strutturano e definiscono un luogo. Infine va tenuto conto di ciò che potrebbe essere considerato come la trama narrativa di uno specifico paesaggio, vale a dire quella combinazione di memoria e di oblio con la quale si dà vita a una narrazione che iscrive tale paesaggio in un sentimento collettivo, relativo a una appartenenza comune.

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