La permanenza pur nella metamorfosi

La Permanenza pur nella metamorfosi

Molte le chiese presentate nei padiglioni della grande esposizione veneta. Provenienti dai paesi più lontani. Le accomuna la capacità, che anche l’architettura contemporanea recepisce, di unire sperimentazione e tradizione. Anche quando il progetto architettonico maggiormente risente del cambiamento, nel disegno della chiesa si ritrova un messaggio che supera il tempo.

Naturalmente la grande novità è stata il convegno "L’architettura delle chiese in Italia nel XX secolo", organizzato dall’Ufficio Beni Culturali della Conferenza Episcopale Italiana (v. CHIESA OGGI architettura e comunicazione n° 68) alla Biennale di Venezia del 2004. Qui, oltre alla discussione teorica, l’evento architettonico è stato la presentazione della nuova cattedrale di Los Angeles progettata dallo spagnolo Rafael Moneo e illustrata, oltre che dal progettista,
anche da Kurt W. Foster, curatore di questa Biennale. Ma la chiesa, come proposta architettonica, come edificio significativo all’interno della produzione contemporanea, è stata presente un po’ ovunque nella manifestazione veneta. Una Biennale dedicata al tema "metamorfosi": il cambiamento come stile, come approccio di base al fare
architettonico, poteva apparire ostica per un edificio come quello della chiesa, che per sua natura si ispira alla permanenza, alla durata nel tempo. Eppure no: come è nella tradizione propria della Chiesa occidentale, gli edifici di culto seguono il linguaggio presente. Non si astraggono in uno spazio atemporale, ma vivono nella concreta realtà del momento. E in essi spesso i progettisti danno il meglio di sé. Sono quindi edifici altamente rappresentativi.
Non solo dell’architettura corrente, ma anche di un modo di progettare che il più delle volte riesce a radicarsi anche nelle tradizioni locali. Che ha la capacità di rivolgersi all’universalità pur restando legato alla cultura del luogo. Proprio
come la liturgia della Chiesa cattolica, che sa esprimersi in tutti i più diversi linguaggi dell’uomo, ma ovunque rappresenta un unico annuncio.

"L’edificio chiesa in sé è intrinsecamente
capace di riassumere tutta l’umanità, e quindi anche tutta
la sua storia: dall’antichità alla più ardita contemporaneità.
Ricercando in essa il dato permanente e non il transeunte"

La nuova cattedrale di Los Angeles, progettata dallo spagnolo Rafael Moneo e ultimata nel 2003.
Le ampie superfici delle pareti si incontrano negli spigoli di diversa angolatura e costituiscono un
organismo fortemente articolato, allo stesso tempo imponente e slanciato.
(La nuova cattedrale di Los Angeles è pubblicata su CHIESA OGGI architettura e comunicazione n°64/65-2004).

E poi, in fondo, le più recenti produzioni architettoniche sono arrivate a modi espressivi che implicano una capacità di eloquenza particolarmente forte e significativa. Come scrive Kurt W. Foster: "Numerosi progetti recenti non si basano più sulla millenaria dialettica di supporto e peso, ma sulle superfici continue – siano esse ripiegate o curve – e su un
esteso concetto di topografia in quanto condizione capace di intessere insieme costruzione (come serie di possibili obiettivi) e sito (come accumulazione storica e geologica) in uno stato di mutua inter-articolazione". Una riflessione, questa, che sembra particolarmente consona all’edificio chiesa, che in sé è intrinsecamente capace di riassumere tutta l’umanità, e quindi anche tutta la sua storia: dall’antichità alla più ardita contemporaneità. Ricercando in essa il dato permanente e non il transeunte. Questo carattere della atemporalità pur nella contemporaneità sembra particolarmente presente nelle chiese illustrate alla Biennale. Per esempio nella cappella El Roble, del cileno Studio ARQ (Mauricio Angelini, Sebastián Espinoza e Benjamín Oportot). Un edificio che recepisce alcune suggestioni
razionaliste ma le rielabora con una sensibilità particolare per il sito, per la corrispondenza esterno-interno, per la significanza esplicita e chiara dell’edificio.

La cappella El Roble del cileno Studio ARQ: una
parete e un campanile definiscono la chiesa.
La chiesa in legno di Kärsämäki in Finlandia,
progettata da Anssi Lassila.

Lo stesso potrebbe dirsi per la chiesa in legno di Kärsämäki, progettata da Anssi Lassila. Edificio di disarmante
semplicità in un contesto agreste spoglio. Ma il gioco delle aperture e delle vetrate ne fanno un oggetto capace non solo di inserirsi con estrema naturalezza nell’intorno, ma anche di permettere un modo di accoglienza molto caratterizzato. Anche nella chiesa Auferstehungskirche di Speyer, presentata nel padiglione tedesco della Biennale
(l’edificio è stato progettato da Sander Hofrichter Architekten di Ludwigshafen) nuovi materiali e nuovi modi di progettare si traducono in una inconsueta capacità di interscambio tra edificio e tessuto cittadino circostante, all’insegna della trasparenza.

Chiesa di Mortensrud in Norvegia, progettata daJensen & Skodvin Arkitektkontor.

Ma una trasp
arenza che sa anche proteggere. Protezione senza chiusura, insomma.
Qualcosa difficile da realizzarsi, ma che le tecnologie attuali consentono di ottenere. Qualcosa di simile si nota nella chiesa di Santa Maria degli Angeli di Singapore, progettata da WOHA Design Pte Ltd. Una vetrata di dimensioni inconsuete guarda su un sagrato: ma questo è chiuso, secondo la tradizione, da un ampio porticato; e la copertura si protende al di sopra della parete trasparente, schermandola dal sole.
In Norvegia Jensen & Skodvin Arkitektkontor, nella chiesa di Mortensrud ad Oslo, realizzano la stessa capacità di trasparire e di proteggere, con tecniche tradizionali: l’uso del mattone o della pietra. Ma, con gesto di notevole originalità, assommando mattoni in modo tale da lasciare fessure attraverso le quali filtra la luce, in modo irregolare, quasi casuale, e richiudendo il muro così ottenuto entro un involucro di cristallo che consente il controllo climatico dell’interno, mentre lascia alla vista i materiali naturali della costruzione.

Auferstehungskirche progettata dai tedeschi
Sander Hofrichter Architekten.
La chiesa di Santa Maria degli Angeli di Singapore, progettata da WOHA Design Pte Ltd.

Si tratta di un esempio di grande eloquenza, che mostra come la modernità si fonde con la tradizione, anche quella più antica. Quale è quella del costruire muri di pietre o mattoni a secco, raggiungendo effetti di grande suggestione. Insomma, una Biennale in cui la chiesa è presente non come fatto sporadico, non come elemento occasionale, ma come presenza consolidata. Che riconduce il dialogo e lo slancio della sperimentazione più ardita, entro i binari di una tradizione ben radicata.

(Le immagini in questa pagina sono tratte dal catalogo "Metamorph 9. Mostra Internazionale di Architettura Vectors" La Biennale di Venezia)

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