La cattedrale di San Pietro a BolognaLo splendore dei marmi

 

Il presbiterio rinnovato con altare, sede e ambone, opera dello scultore Lello Scorzelli.

Sotto: Prospero Fontana, "Il Padre eterno e il concetto angelico", volta della crociera.

LO SPLENDORE DEI MARMI

Il rinnovamento completo di una cattedrale è un evento tanto importante quanto poco frequente, soprattutto se viene compiuto in breve tempo. La Cattedrale bolognese è stata completamente restaurata e rinnovata negli apparati iconografici, negli impianti tecnici e soprattutto nell’organizzazione dello spazio liturgico. Presentiamo l’intervento con una breve nota storica, con le parole dell’Arcivescovo, Card. Giacomo Biffi e con un’intervista a Mons. Giuseppe Stanzani.

Come tutte le grandi cattedrali, quella di San Pietro in Bologna affonda le sue radici nel tempo. Se i primi documenti che la riguardano ne testimoniano l’esistenza alla svolta del primo millennio, in realtà già tra il IV e il VI secolo è chiaro che al centro della cerchia muraria della Bononia romana, perfettamente inserita nella trama dei cardi e dei decumani, sorgeva una basilica: là è dove sorge ora la cattedrale. Fu nel 393 che il vescovo milanese, s. Ambrogio, partecipò alla traslazione dei corpi dei martiri di Bologna, Vitale e Agricola: è possibile che da quell’evento prendesse corpo lo sforzo costruttivo per edificare la cattedrale bolognese. La collocazione del battistero ottagonale, secondo lo stile ambrosiano, proprio di fronte alla basilica all’inizio del VI secolo, potrebbe suonare a conferma di questo.
Al X secolo risale invece il primo campanile, di forma cilindrica, che tuttora esiste, inglobato nella più recente torre campanaria svettante, a pianta quadrangolare.
Tra i molti interventi e rifacimenti che hanno segnato la storia della cattedrale va segnalata la ricostruzione resasi necessaria dopo l’incendio che nel 1184 distrusse l’edificio esistente. La ricostruzione fu lenta e accidentata: per esempio nel giorno di Natale del 1222 un terremoto causò la caduta del tetto della chiesa e i lavori ebbero un altro momento di arresto col crollo del tetto del coro, sei anni più tardi.
Al 1254 risale un documento che testimonia l’avvenuto rivestimento in piombo della cuspide del nuovo campanile a base quadrata, inglobante quello antico. Nel 1260 il battistero antistante la facciata venne demolito: appariva troppo ingombrante.
Alla svolta del ‘400 furono realizzati lavori di perfezionamento dell’edificio, e di arricchimento iconografico: vennero costruite le volte, venne edificata la sacrestia, eretto un portico davanti alla facciata (che successivamente sarà ab-battuto) e vi furono i primi interventi pittorici nell’abside. E’ nel XVI secolo che cominciarono i lavori che porteranno alla definizione formale della cattedrale come questa appare oggi. Fu il vescovo, card. Gabriele Paleotti che diede l’impulso per le opere di rinnovamento, alla luce delle dottrine tridentine e in sintonia con quanto Carlo Borromeo andava realizzando nella stessa epoca con Pellegrino Tibaldi nel Duomo di Milano. Il fratallo minore di Pellegrino, Domenico, venne chiamato a lavorare alla cattedrale bolognese. A Domenico fu affidato anche l’incarico del rinnovamento del vicino palazzo arcivescovile.
La parte presbiteriale fu la prima a essere completata: con corpo trilobato e una pedana quadrangolare per l’altare. Anche Pellegrino Tibaldi intervenne successivamente nell’opera: sopraelevò il pavimento della basilica e creò una veste scenografica interna di grande impatto. Del resto la grande navata unica, dall’altissimo soffitto si prestava all’opera, rifinita con interventi pittorici di grande impatto cromatico e formale, corredata da ben collocate aperture di luce adatte a farne splendere i colori. Alfonso Paleotti aveva esplicitamente richiesto la realizzazione di un’aula grande “capace et libera da da impedimenti per l’auditorio della predica”. Niccolò Donati nel ‘600 e poi Alfonso Torreggiani nel ‘700 sono coloro ai quali venne affidato l’incarico di portare la cattedrale allo stato di compiutezza al quale oggi la troviamo. Il vescovo, card. Prospero Lambertini, poi Papa Benedetto XIV, si incaricò di animare i lavori, di finanziarli, di assicurarne il compimento.
E’ al Torreggiani che si deve l’introduzione nella cattedrale delle superfici marmoree, di grande preziosità e raffinatezza. Il Torreggiani realizza, col gusto e la sensibilità della sua epoca, alcuni dei progetti stilati in precedenza, quali quello della 22 facciata, che era stato elaborato nel ‘600 da Giovan Battista Natali. Lo schema classicistico esistente, tuttavia viene tradotto dal Torreggiani “nel più moderno linguaggio tardobarocco, venato di eleganti cadenze rococò e proponendo una borrominiana cimase mistilinea” come scrive Deanna Lenzi (in “La cattedrale di San Pietro in Bologna”). L’occasione per attuare il restauro e l’adeguamento della cattedrale bolognese è stata il 23° Congresso Eucaristico Nazionale, svoltosi in Bologna nel settembre 1997.

Stanzani: “La mobilitazione generale della città”

“E’ stata una gran festa del lavoro” spiega Mons. Giuseppe Stanzani, responsabile dell’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Bologna, mentre, nell’intervista che ci ha rilasciato, rievoca l’opera di rinnovamento della Cattedrale, da lui diretta.

E’ stato un restauro realizzato a spron battuto: tre anni. Quale il segreto di tanta rapidità? Bisogna premettere che la cattedrale non versava in buone condizioni. Nel corso degli ultimi decenni la Diocesi ha stanziato tutto il denaro di cui disponeva, allo scopo di realizzare nuove chiese nella pariferia della città e in provincia: ne sono state costruite 80 in meno di trent’anni. La cattedrale dal secondo dopoguerra non aveva subito interventi conservativi: mostrava ancora i segni della guerra e le superfici erano tutte ricoperte da una pellicola grigiastra. Ma quando si decise che qui a Bologna si sarebbbe tenuto il Congresso Eucaristico del 1997 fu chiaro che per quell’epoca avremmo dovuto rimettere in sesto la cattedrale. Vi fu subito una mobilitazione generale che coinvolse tutta la città: le Autorità civili, le Soprintendenze, come anche diverse banche. E’ stato grazie a questo ampio concorso che nel giro di sei mesi siamo riusciti, lavorando alacremente, a definire il progetto di restauro, che sarebbe poi stato portato a termine in tre anni, in tempo per il Congresso Eucaristico. Venne formato un Comitato organizzatore, presieduto dal Prefetto, del quale facevano parte anche il Sindaco e i Soprintendenti. Le operazioni sono sempre state portate avanti in stretta coordinazione con le diverse Autorità coinvolte. Nell’ultimo periodo l’Arcivescovo visitava il cantiere quasi tutti i giorni. E’ stata un’opera grandiosa che ha coinvolto il lavoro di centinaia di addetti. Nel cantiere della cattedrale saimo arrivati ad avere circa 200 operai, provenienti da ogni regione italiana e anche extracomunitari (questi ultimi si sono occupati in particolare del restauro del campanile). Le opere d’arte che costituiscono il patrimonio della cattedrale sono tante che per restaurarle in tempo abbiamo tenuti occupati gli studi di mezza Italia

Quali sono state le fasi del restauro?
Siamo partiti dal tetto, che è stato totalmente restaurato dalla Soprintendenza. Si tratta di una copertura imponente, di un metro più alta rispetto a quella della basilica vati-cana, retta da capriate del ‘700. Poi sono state tinteggiate le pareti e ripulite le superfici plastiche, il tutto sotto il diretto controllo del prof. Andrea Emiliani, Soprintendente ai Beni Storici e dr. Elio Garzillo, Soprintendente ai Beni Artistici. La loro assidua presenza in cantiere ha contribuito non poco a sveltire e nobilitare i lavori.

Avete realizzato anche interventi tecnici per l’illuminazione e per la diffusione sonora?
Gli impianti di illuminazione sono stati studiati in modo tale da diffondere una luce calda, pastosa, non esagerata: come si conviene a una basilica in cui si ricerca il raccoglimento e non il fragore. La ricchezza di cornicioni dell’aula barocca ha consentito di nascondere bene tutti i fili e gli apparecchi. Vi sono alcuni apparecchi a scomparsa: quando si accendono un braccio meccanico li fa sporgere, quando si spengono rientrano dietro la loro copertura. In questo modo l’aula si presenta pulita alla vista. Naturalmente sul presbiterio l’illuminazione è stata studiata in modo tale da porre una particolare accentuazione sui poli liturgici. L’impianto di amplificazione sonora è anch’esso invisibile ma consente di trasmettere la voce dei celebranti e del coro non solo in tutta l’aula, ma anche in sacrestia e nella vicina casa del Vescovo.

Come avete studiato la risistemazione liturgica del presbiterio?
Innanzitutto abbiamo osservato con attenzione gli adeguamenti realizzati in altre cattedrali (Milano, Parigi, Anversa, Bruxelles, e Lodi, in particolare). Anche noi, come in tutti i casi citati, abbiamo deciso di porre la cattedra con un’angolo di 45° rispetto all’assemblea, così che la presidenza del Vescovo risultasse chiara e allo stesso tempo non preponderante. Sono state collocate nuove sedute per i presbiteri dietro il nuovo altare e per i diaconi a fianco del Vescovo. Per la prima volta abbiamo collocato i banchi per l’assemblea (in precedenza vi erano solo sedie), disposti in modo tale da consentire che la pavimentazione a intarsi marmorei possa essere vista. Un argomento molto discusso è stato quello dell’organo: avevamo già due organi antichi settecenteschi entro il presbiterio. Ma la vastità e la grande altezza dell’aula imponevano un nuovo strumento: lo abbiamo collocato nella prima cappella a sinistra del presbiterio, con spazio anche per il coro, così che questo funge da cerniera tra assemblea e presidenza.

Come avete definito la collocazine del nuovo altare?
Abbiamo a lungo parlato con i Soprintendenti. Sono state compiute diverse prove con modelli. L’arcivescovo, che ha partecipato in prima persona al dialogo con le Soprintendenze, ha chiarito che non sarebbe stato opportuno collocare un altare provvisorio di legno. Dato che non si poteva muovere l’antico altare settecentesco, su di questo, a memoria del Golgota, abbiamo collocato un trittico del Crocifisso, Maria e Giovanni proveniente dal-l’antica cattedrale romanica. Abbiamo realizzato un nuovo altare in marmo ornato con opere dello scultore Lello Scorzelli, che aveva già lavorato per il card. Lercaro. E’ stato anche collocato il nuovo ambone, proteso verso l’assemblea, dotato di un leggio sopraelevabile elettricamente. La nuova sistemazione liturgica è coerente con le normative conciliari, funzionale, realizzata in marmi che si armonizzano cromaticamente con le superfici lapidee esistenti, ma allo stesso tempo si distingue nettamente dal preesistente ed è reversibile pur essendo fissa e solida.

I lavori hanno interessato solo la basilica?
No: come dicevo abbiamo restaurato anche il campanile (si tratta del secondo restauro da quando venne edificato!), la cripta sottostante il presbiterio (dotata anche di ascensore), abbiamo realizzato il Museo per il Tescoro della Cattedrale. La cattedrale è sopraelevata di tre gradini rispetto al piano stradale: abbiamo realizzato un nuovo sagrato, di 2 metri per 40, che corre lungo le facciate della cattedrale, sopraelevato di un gradino rispetto alla strada e su un lato abbiamo mediato il dislivello col piano della cattedrale tramite uno scivolo. Con questo e altri accorgimenti abbiamo abbattuto tutte le barriere architettoniche esistenti.

Biffi: “Per l’adeguamento una riflessione lunga e travagliata”

Il Vescovo di Bologna, Card. Giacomo Biffi, scrive a proposito del rinnovamento della cattedrale: «L’accurato ripristino delle statue, dei fregi, delle pareti, dei marmi policromi del pavimento, costituisce un’impresa che ha pochi confronti ai nostri giorni. Vorrei sottolineare particolarmente quale rilievo spirituale e didattico assuma l’aver ridato vivezza e perfetta leggibilità alle vaste scene pittoriche. Chi entra nel sacro edificio con cuore dischiuso al fascino della verità e della bellezza, trova una sintetica ed essenziale catechesi sull'”evento cristiano”. Contempliamo in primo luogo la raffigurazione dell’Annunciazione, dovuta al pennello di Ludovico Carracci; ed è giusto, perché tutto è cominciato da qui: dal sì di Maria e dall’incarnazione del Figlio di Dio. L’iniziativa salvifica del Padre, avviata nella dimora di Nazaret, arriva al suo compimento nell’immolazione della croce, nella risurrezione pasquale, nella signoria del Condannato del Golgota sull’intera creazione: sono i misteri che troviamo appunto evocati dal Crocifisso ligneo, affiancato (secondo il racconto del quarto vangelo) dalla Vergine Madre e da Giovanni.
Infine, sullo sfondo dell’abside, ammiriamo il frutto della vittoria di Cristo, che è la Chiesa: la Chiesa, che Gesù fonda su Pietro e sugli apostoli; la Chiesa, che dai successori di Pietro è guidata nei secoli; la Chiesa, che ha le chiavi del Regno dei cieli.
“Nella zona del presbiterio non si trattava più di
ripristinare e ringiovanire: bisognava creare. La liturgia, riformata secondo le direttive del Concilio Vaticano II, domandava la novità di un arredo che fosse funzionale ai suoi vari momenti, oltre che consonante con la sua ispirazione”.
Non era un traguardo facile da conseguire, e ha comportato una riflessione lunga e travagliata. Due scogli è parso giusto evitare: quello di un’elaborazione condotta sugli stilemi propri dell’antico altare e dell’area trilobata che lo racchiude (rischiando l’accusa di scolasticismo e di inautenticità); e quello di ricorrere all’originalità intemperante di molta arte contemporanea (col pericolo di una fastidiosa dissonanza con la tradizionalità dell’ambiente).
La via che si è scelta – affidandosi al gusto riconosciuto e al comprovato magistero di Lello Scorzelli – è quella, per così dire, di una “classicità sostanziale”: composta, senza essere fredda o schematica; nuova, senza essere capricciosa o spregiudicata.
L’accostamento sapiente dei marmi e delle pietre – nobile e sobrio insieme – e la raffinatezza non leziosa dei bronzi argentati hanno dato, ci sembra, ai nostri intendimenti la risposta che volevamo. La distribuzione dei tre elementi (altare, ambone, cattedra) entro uno spazio ristretto e quasi soffocato dalle quattro ciclopiche colonne – che raccordano il “corpo” settecentesco al “capo” cinquecentesco – non è stata un’agevole decisione. Devo dire, per esperienza diretta e ripetuta, che la soluzione adottata dopo il vaglio di innumerevoli ipotesi si è rivelata la migliore concretamente possibile.
L’ambone si protende verso l’assemblea, quasi a indicare il desiderio, anzi l’ansia, che la verità illuminante e salvifica raggiunga il cuore dell’uomo. Dal lato opposto la cattedra disegna emblematicamente il magistero del vescovo e la sua funzione di presidenza. E’ situata in modo che sia consentita la perfetta visibilità della comunità radunata e la piena utilizzazione rituale del presbiterio. Il susseguirsi in questi mesi degli atti liturgici più diversi ci ha offerto la controprova della bontà di questa collocazione.
L’altare, segno di Cristo e del suo sacrificio reso presente (sacrificio che ha portato a compimento e anzi inverato l’anelito religioso espresso dalle antiche vittime), dalla parte del celebrante ricorda le tre azioni che la prima preghiera eucaristica cita come anticipazioni e presagi dell’offerta del Figlio di Dio: “i doni di Abele, il giusto, il sacrificio di Abramo, nostro padre nella fede, e l’oblazione pura e santa di Melchisedech, tuo sommo sacerdote”. Nella parte anteriore e sui fianchi è presentato il “frutto” dell’immolazione di Gesù, cioè la santificazione dell’umanità, qui rievocata nelle figure dei santi che più sono “nostri” e più ci sono cari: san Pie-tro, cui questo tempio è intitolato; i martiri Vitale e Agricola; san Petronio, il vescovo nostro patrono; la vergine santa Clelia, umile e profumato fiore sbocciato sulla nostra terra.»

(da: “La Cattedrale di San Pietro in Bologna” a cura di Roberto Terra, Cinisello Balsamo, MI,1997)

 

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