La bellezza del Cristianesimo nella storia

Da sinistra, Card. Camillo Ruini, Mons. Attilio Nicora e Arch. Giuseppe M. Jonghi Lavarini in un convegno organizzato in collaborazione con CHIESA OGGI architettura e comunicazione.

“Tecnica”, “tecnologia” termini che hanno permeato il mondo moderno suscitando speranze e rifiuto, amore e odio. La tecnica è spesso vissuta come contrapposizione alla cultura umanistica, per non dire della spiritualità. Eppure sono tutte espressioni dell’essere umano, e in ognuna di esse si manifesta la sua creatività. Ora che la Conferenza Episcopale Italiana lancia il grande progetto culturale per il secolo XXI, è forse il caso che sommessamente si noti che vi è un “luogo” fisico, concreto, visibile, ove tecnica e cultura, arte e spiritualità si incontrano in modo evidente: l’architettura. È qui che, se c’è armonia tra le diverse manifestazioni dell’animo, si realizzano armonia e bellezza. Se invece questo equilibrio non c’è, si ritrova mancanza di misura, disarmonia, stridente imperfezione. Il tema è vasto e complesso, non comprimibile nel modesto spazio di un editoriale.Tuttavia ci sia permesso di accennare almeno ad alcuni argomenti che evidenziano il ruolo dell’architettura entro il dibattito culturale. A conclusione della sua introduzione al “Progetto culturale della Chiesa italiana” (di cui a lato riportiamo una citazione), il Card. Camillo Ruini ricorre a una metafora “edilizia”: lo scritto presentato è visto come un “mattone”. Insieme con altri costituirà un edificio, quello del nuovo impegno della Chiesa nella cultura del tempo. Quando si pensa a qualcosa prodotto dall’uomo che sia solido e duraturo, l’immagine corrispondente è quasi automaticamente quella dell’edificio. Perché? Perché l’edificio è testimonianza attiva e fattiva, partecipe ed eloquente della cultura del tempo e della durabilità nel tempo. I “documenti” primi e più evidenti cui la mente fa riferimento quando si pensa alla cultura egizia, sono le piramidi. Allo stesso modo, quando pensiamo al “barocco”, prima che immaginarci un modo di poetare di dipingere o di comporre musica, davanti ai nostri occhi si presentano le caratteristiche dell’edificio barocco: è più evidente, più ingombrante, più presente perché lo vediamo da fuori e da dentro, perché caratterizza uno spazio vasto, perché incarna il “genius loci”. Quindi l’architettura ha una responsabilità fondamentale nel rappresentare una cultura e nel tramandarla. Una responsabilità enorme, che nell’architettura di chiese investe direttamente il campo della spiritualità, della teologia, dell’ecclesiologia. Ora, tralasciamo il tema della produzione di nuove opere e guardiamo al problema della conservazione. Anche qui vediamo subito come arte, tecnologia, cultura e sensibilità, nell’opera di restauro e conservazione architettonica vadano strettamente di pari passo. Nell’800 il restauro ha presentato forti equivoci antistorici, che hanno gabellato l’imitazione per autentica. Non si era ancora creata la frattura realizzatasi poi con le nuove tecnologie che hanno trovato sempre più largo spazio soprattutto dalla fine del XX secolo. Guardiamo ai due interventi di restauro che presentiamo in questo numero di CHIESA OGGI architettura e comunicazione: la Basilica di Aquileia e il Santuario di Lanciano. Per quanto diversi siano tra loro, questo hanno in comune: un rispetto assoluto per la autenticità storica. Il nuovo intervento in entrambi i casi è magistralmente distinto dal preesistente, mantenuto nella sua integrità intonsa appunto perché separata. Non c’è camuffamento né prevaricazione, bensì accostamento: da un lato la testimonianza dell’epoca originaria, dall’altro, accostata in modo armonico, la testimonianza dell’epoca presente. Tra duecento anni si potranno “leggere” con chiarezza le diverse epoche. E allora l’edificio racconterà una storia sempre più lunga, complessa e affascinante: quella dell’uomo e della sua cultura che mantiene la propria identità pur nel fluire della storia, ma nel rispetto per le particolarità degli individui che ci hanno preceduti in questo cammino temporale. E dalla percezione di questa dinamica del cambiamento e dell’identità sarà più facile far trasparire il messaggio più alto e più vero, quello della fede che illumina il cammino. Più volte abbiamo detto di come il linguaggio dell’arte e dell’architettura esprima anche il messaggio dell’evangelizzazione e della catechesi: lo esprime nell’arte e nell’architettura consacrate, che sanno parlare di una fede viva, non di civiltà sepolte o ferme in un’epoca remota. E così che, nell’espressione architettonica, tecnologia, fede e cultura si incontrano.

Giuseppe Maria Jonghi Lavarini

 

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