L’incontro sull’ambone a Milano


L’incontro che ha avuto luogo presso il Seminario arcivescovile del capoluogo lombardo poco dopo l’edizione del nuovo Lezionario Ambrosiano, è stato curato dalla Commissione per le nuove chiese, aperto e diretto dal Presidente di questa, Mons. Alessandro Gandini. Riportiamo alcuni stralci significativi della relazione presentata dalla Prof.ssa Cecilia De Carli.

La Diocesi di Milano, in parallelo alla Diocesi bolognese, negli anni dei vescovi Montini e Lercaro, al seguito delle piste del Movimento liturgico internazionale e in preparazione
del Concilio ha tentato di sperimentare, attraverso il lavoro dei migliori professionisti del tempo, una nuova stagione impegnata a rinnovare la tradizione. Una ricerca in cui Montini rivela la scelta e il coraggio della contemporaneità, ma ugualmente la tensione ad
esprimere l’ineffabile.
Nei suoi appunti leggiamo: "Penso che dove la verità tocca l’azione, là debba esserci una manifestazione di Bellezza. La Bellezza è una rivelazione”.
Nel 1954 nasce a Milano il Comitato per le nuove Chiese, e si può dire che in questo momento si registri una svolta imperiosa nel linguaggio architettonico.

Prof. Cecilia De Carli

Si forma una circolazione virtuosa che mette a tema nella progettazione lo spazio liturgico. (…)
Di questa prima fase cito alcune esemplificazioni in cui la nuova progettazione spaziale presenta una declinazione
dell’ambone molto significativa e attenta alla sua originale portata liturgica.
S. Maria Bambina (1951-53, cappella delle suore di Via S. Sofia a Milano, Arch. Giovanni Muzio, scultore Lorenzo Pepe). Vi sono due amboni marmorei al limite dell’area presbiteriale, già quasi appartenenti allo spazio dell’aula, con nitidi e incisivi disegni dei simboli degli evangelisti in bassorilievo. Gli anticipatori della riforma avevano avanzato l’ipotesi di ridestare l’uso dei due amboni per le due letture della celebrazione eucaristica: una via che sarà subito abbandonata
perché ritenuta troppo arcaica. L’importanza del Concilio Vaticano II si ritrova nella costituzione conciliare Sacrosantum concilium. Nelle parti sulla liturgia della parola si recupera il ruolo centrale della parola di Dio nel cammino spirituale della Chiesa, dopo i quattro secoli seguiti alla Riforma protestante, e non si parla in modo specifico dell’articolazione dello spazio liturgico, ma si propone di permettere che "tutti i fedeli vengano formati a quella piena, consapevole, attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche che è richiesta dalla natura stessa della liturgia" (n.14).
Al numero 96 delle indicazioni presenti nell’Inter oecumenici, istruzione redatta nel 1964, si fa cenno brevemente agli amboni: "È conveniente che ci sia un ambone, o gli amboni, per la proclamazione delle sacre Scritture. Essi siano disposti in modo che il ministro possa essere comodamente visto e udito dai fedeli."
L’accenno alla possibilità dei due amboni non comparirà più nei successivi testi normativi.
Tuttavia, se il movimento liturgico che porta al Concilio è coeso in un gruppo rigorosamente verificato nei suoi passi e unitamente partecipato, attento alle dinamiche che la nuova consapevolezza introduce, nel periodo che segue la divulgazione va incontro a numerose difficoltà. I cambiamenti che la riforma liturgica impone sono affrontati tutti insieme e più o meno rapidamente.
Si intende come dato portante e forse indistinto la maggiore partecipazione dell’assemblea, ma ne consegue una perdita nell’articolazione dello spazio liturgico e una eccessiva semplificazione.
Molte energie vengono profuse soprattutto nella considerazione e progettazione dell’altare e questo depriva la collegata riflessione sugli altri poli liturgici, anche perché la maggior parte del clero non è abbastanza preparata per sostenere le moltissime declinazioni dell’area presbiteriale che si mettono in campo contemporaneamente.
Le difficoltà ad affrontare riflessivamente il portato della riforma toccano la questione che riguarda la relazione
tra tradizione e innovazione, questione che nella Chiesa è particolarissima perché si tratta di consegnare la verità profonda alla vita, in modo molto differente da quello che la società civile intende all’interno dei suoi vari ambiti disciplinari. Il non aver sufficientemente strumentato questo passaggio, ha fatto sì che la committenza ecclesiastica facesse sue le dimensioni proprie del Movimento moderno che, anche se molto elevate, restavano totalmente soggettive.

S. Maria Bambina, vista verso il presbiterio con i due
amboni laterali, opera di Vincenzo Pepe.
S. Bernadetta (1988-91), progetto Ing. Urbano Pierini,
ambone Gio Pomodoro

Gli esempi successivi presentano soluzioni molto semplificate. La maggior parte delle chiese infatti opta, al posto dell’ambone, per un semplice leggio privo di qualsiasi apparato ornamentale simbolico: una soluzione veloce per un polo liturgico che è diventato un arredo.
Nel documento Principi e norme per l’uso del Messale romano promulgato nel 1969 da Paolo VI, il paragrafo VII intitolato L’ambone ossia il luogo dal quale viene annunciata la parola di Dio recita: “272. L’importanza della parola di Dio esige che vi sia nella chiesa un luogo adatto dal quale essa venga annunciata, e verso il quale, durante la Liturgia della Parola, spontaneamente si rivolga l’attenzione dei fedeli.
Conviene che tale luogo generalmente sia un ambone fisso e non un semplice leggio mobile. L’ambone secondo la
struttura di ogni chiesa, deve essere disposto in modo tale che i ministri
possano essere comodamente visti e
ascoltati dai fedeli.
Dall’ambone si proclamano le letture , il salmo responsoriale e il preconio pasquale; ivi inoltre si può tenere l’omelia
e la preghiera universale o preghiera dei fedeli. Non conviene però che nell’ambone salga il commentatore o l’animatore del coro.”
Queste indicazioni vengono ulteriormente precisate nel 1981 dalla Conferenza Episcopale Italiana nelle Premesse al Lezionario: “32. Nell’ambiente della chiesa deve esserci un luogo elevato, stabile, ben curato e opportunamente
decoroso, che risponda insieme alla dignità della parola di Dio….”
Tra gli esempi di questo periodo propongo S. Bernadetta (1988-91, via Boffalora, Milano-Barona, Ing. Urbano Pierini, ambone Gio Pomodoro).
Nell’architettura, che riprende vagamente le piante simboliche delle chiese dell’Arch. Giovanni Muzio, con cui Pierini lavora fino al 1960, l’impianto offre una chiarezza compositiva corrispondente alla partecipazione al rito dell’assemblea. Il pulpito, di pianta esagonale, si erge in granito rosa soprelevato di tre gradini.

Chiesa S. Massimiliano Kolbe a Varese (1992-94),
progetto Arch. Justus Dahinden
Chiesa Maria Regina (1995-97) a Varedo, progetto
Arch. Marco Contini.

S. Massimiliano Kolbe (1992-94, viale Aguggiari , Varese, Arch. Justus Dahinden). Nello spazio avvolgente e accogliente della semisfera sorgente dall’acqua quale segno di purificazione e di vicinanza all’elemento naturale, il
percorso interno che dalla sagrestia porta all’altare segna una retta che taglia realmente ed emozionalmente lo spazio dell’assemblea che attraversa.
A questo punto il documento cardine del quadro orientativo della progettazione delle nuove chiese è la Nota pastorale “La progettazione di nuove chiese” emanata dalla Conferenza Episcopale Italiana nel 1993 che riordina le indicazioni precedenti e le precisa ulteriormente. Relativamente all’ambone recita: "È il luogo proprio della parola di Dio. La sua forma sia correlata all’altare, senza tuttavia interferire con la priorità di esso; la sua ubicazione sia pensata in prossimità dell’assemblea (anche non all’interno del presbiterio, come testimonia la tradizione liturgica) e renda possibile la processione con l’evangeliario e la proclamazione pasquale della parola. Sia conveniente per dignità e funzionalità, disposto in modo tale che i ministri che lo usano possano essere visti ed ascoltati dall’assemblea. Un leggio qualunque non basta; ciò che si richiede è una nobile ed elevata tribuna possibilmente fissa, che costituisca
una presenza eloquente, capace di far riecheggiare la Parola anche quando non c’è nessuno che la sta proclamando.
Accanto all’ambone può essere collocato il grande candelabro per il cero pasquale".
A completamento della Nota precedente, la Conferenza Episcopale Italiana pubblica nel 1996 la Nota
sull’ “Adeguamento delle chiese antiche” che chiarifica ulteriormente la disposizione dell’ambone: “18. L’ambone va collocato in prossimità dell’assemblea, in modo da costituire una sorta di cerniera tra il presbiterio e la navata;
è bene che non sia posto in asse con l’altare e la sede, per rispettare la specifica funzione di ciascun segno.
Se in una chiesa di importanza storica è presente un ambone o un pulpito monumentale, si raccomanda di inserirlo
nel progetto di adeguamento…”
Le chiese successive sono esempio di quanto progettato nella Diocesi di Milano dopo l’uscita della Nota pastorale del 1993 e possono permettere una valutazione della sua diffusione e accettazione.
Maria Regina (1995-97, Varedo, loc. Valera, Arch. Marco Contini). L’aula è connotata da un estremo rigore spaziale
e da una scelta accurata dei materiali in una progettazione totale degli elementi che la compongono da non ammettere altre intrusioni. L’Arch. Marco Contini, allievo di Vittorio Gregotti, mette in campo una progettazione organica molto razionale. Mensa della Parola e Mensa Eucaristica rispecchiano in posizione coordinata l’idea di due momenti ordinatamente conseguenti, non certo monumentali, informati allo stile asciutto e rigido della progettazione gregottiana.
Beata Vergine Immacolata
(2002-04, Seveso, loc. Barrucana, Studio Gregotti e Reginaldi). La matrice razionalista rigorosa caratterizza l’aula della chiesa che pur in uno spazio relativamente modesto riesce a creare aspetti di monumentalità nel taglio delle superfici, nell’equilibrio delle proporzioni che sembrano calcolate con la proporzione aurea. Anche l’ingresso zenitale della luce naturale serve a dar significato all’area presbiteriale. Il rapporto tra altare e ambone si è quasi invertito, dando all’ambone in posizione lateralmente uscente dal piano
dell’altare una importanza di luogo e spazio costruito, in cui la stessa parola del vangelo di Luca (8,39) "Torna
a casa tua e racconta quanto Dio ha fatto per te" suggeriscono il passaggio di conversione che la Parola opera
nel cambiamento e movimento della vita del cristiano.

Chiesa Beata Vergina Immacolata a Seveso (2002-
04), progetto di Gregotti Associati.

Conclusioni
Questo cammino che dal Concilio giunge fino a noi è certamente un processo di approfondimento del nesso importante tra realizzazioni architettonico-artistiche e liturgia. Nella diocesi ambrosiana sono stati compiuti passi anche per i pronunciamenti del Card.
Carlo Maria Martini che in occasione del convegno Costruttori di Cattedrali (Milano, 7 novembre 1995) rivolto agli architetti di nuove chiese ha sottolineato come l’architettura traduca la teologia, l’ecclesiologia di un’epoca, perché "dietro le forme espressive non sta una teologia astratta, ma una forte tensione spirituale che si trova espressa
ben più nei santi e nei grandi leader religiosi e sociali che nei libri dei teologi."
I vincoli costituiti dai documenti della riforma liturgica devono essere una grande occasione per la realizzazione sia architettonica che artistica nella misura in cui il committente riesca a trasmettere quella potenza di storia che in quel luogo incarna la vita della fede.
La forza del cristianesimo è stata di attivare l’immaginazione creativa di forme che sono insieme significative di senso e coinvolgenti. La capacità di una cultura di attivare l’immaginazione poetica è segno della sua vitalità ed è il modo concreto di una trasmissione culturale.
Questa vicenda non è una questione superflua, ma la capacità di riconciliare antropologicamente ragione e sensi nell’unità dell’esperienza.

 

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