L’hanno chiamata La Sinueuse

Nel centro storico di Genova

Servizio e testi di Tiziana M. Zanchi
Foto Athos Lecce

Un attico con superattico viene animato da una presenza di forte impatto: una scala con balaustra in ferro battuto creata sul posto da un artista.

“La Sinueuse” è una casa dalle calde atmosfere africane nel cuore del centro storico genovese. Le pareti del soggiorno raccontano la storia del progetto fatto di dettagli e di sfumature cromatiche come le pareti irregolari arricchite da grafiti che ricordano i colori della terra del continente nero. Il pavimento è solcato da due tracce metalliche che segnano visivamente le direttrici da cui si sviluppa il progetto. Legno, antiche piastrelle di ceramica e bolacca di cemento colorata sono i materiali che, mescolandosi e fondendosi, ricoprono le superfici secondo invisibili logiche progettuali. Qui la scala, costruita con l’aiuto di un fabbro dall’artista Blaise Patrix, è la vera protagonista dello spazio: i tondini in ferro del suo corrimano si flettono in morbide curve piegandosi e sovrapponendosi fino ad arrivare al sottotetto. La mansarda è stata realizzata risanando i grandi tronchi di legno che sorreggono il tetto (un tempo erano superbi alberi di antichi velieri) e aprendo grandi finestre sulle colline che dominano la città. Il bagno è pieno di colore e trasparenze, a iniziare dalla porta scorrevole in vetro satinato di due tinte calde per finire all’armadio a muro in policarbonato blu scuro fluorescente. Le piastrelle del pavimento hanno un antico colore genovese, un beige aranciato, mentre la vasca da bagno è in piccole tessere blu notte. Il muro dove poggia la scala ha un colore che rimanda a quello del monastero di Sant’Agostino che si vede molto bene dalla finestra.

Questo spazio su due livelli si può descrivere come un attico con superattico collegati tra loro da una vera opera d’arte: una scala con corrimano in ferro battuto (quattrocento chili di ferro piegati a mano) eseguito in esemplare unico. Al primo piano, dove ci sono tre finestre che danno sui più bei campanili di Genova e sembra di toccare Sant’Agostino e Santa Maria di Castello, c’è una sala per ricevere con poltrone e divani. Dopo questa vi è una sala da pranzo con grande cucina. Entrambe si aprono su un terrazzino perfetto per gli aperitivi. La camera da letto ha due grandi finestre a picco sul Palazzo Ducale e la chiesa romanica di San Donato. Al piano di sopra si apre un ambiente mansardato fruibile come studio, come salotto e come spazio notte. Più avanti c’è l’atelier del padrone di casa, un noto pittore, che ha una grande finestra da cui sembra entrare il tetto in maiolica del campanile di Sant’Agostino. Un’ottima compagnia visiva per un artista. C’é una presenza quasi aliena in questa casa, ed è raggomitolata sulla scala; poi deborda in mansarda e incombe sul salotto. Ma non è una presenza ostile, tutt’altro. E’ fatta di fili sottili
come quelli dei sogni che svaniscono all’alba.

E’ lì per ricordare che la fantasia esiste anche dentro casa, non solo fuori con gli antichi gioielli di Genova, cioè i campanili, i monasteri, le chiese e i palazzi di un’aristocrazia austera e visionaria. Questo manufatto ha lo stesso ruolo di una scala barocca: amplifica la funzione del salire e dello scendere trasferendo chi la usa in una dimensione gradevolmente teatrale.

E’ una scala che si presta a qualsiasi apparizione, perché usa un linguaggio fatto di volute e di slanci emotivi al limite dell’allucinatorio. Ed è opera di un artista contemporaneo, che non vive in un sogno umanistico di perfezione geometrica al di fuori della realtà, ma ha le sue angosce, i suoi rovelli, e naturalmente i suoi grovigli. Grovigli lunghi quattrocento metri che si attorcigliano su se stessi: sono la metafora di una realtà sempre più complicata da interpretare e di un vivere collettivo ogni giorno più difficile da dipanare. (w.p.)

 

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