L’espressività della materia

La casa di Dio non deve essere sontuosa, ma dev’essere dotata di nobile eleganza. Nella libertà di scelta dei materiali, è bene che i progettisti facciano emergere le qualità proprie di ognuno di questi, così da servirsene nel disegno architettonico non solo in modo funzionale ma anche in modo esteticamente apprezzabile. A Suva, nelle isole Fiji, anche un albero secolare diventa una chiesa e nel contesto culturale dato si trasfigura in elemento di forte simbolicità.

La chiesa edificio è “casa di Dio” e anche “casa del Popolo di Dio”. Ora il Signore è nato in una grotta, vissuto nell’umile villaggio di Nazareth per gran parte della sua vita, pellegrinato “senza avere una pietra dove posare il capo” durante i pochi anni della vita pubblica, morto ignudo e solo subendo l’obbrobrio della crocifissione. Ora tante persone continuano a non avere pietra dove posare il capo o a vivere alla soglia della povertà. Oggi come allora ci sono invece coloro che vivono in grandi palazzi, ma sono pochi e Gesù non ha tributato loro molta considerazione. Perché dunque discutere tanto su chiese: belle o brutte, in pietra o in legno, grandi o piccole? Sul fronte dell’esempio di Gesù bisogna però dire che nel momento dell’istituzione dell’eucaristia, ha chiesto un luogo magnum et stratum (sufficientemente grande e coperto di tappeti), oltreché relativamente appartato e raccolto (cfr. Mc 14,14-15). Inoltre il Signore ha rimproverato Giuda, che aveva mal giudicato la Maddalena appellandosi alle urgenze dei poveri, allorquando la donna volle un gerne per amore i piedi di nardo profumato. Dunque si ammette un certo decoro per le cose dedicate a Dio. Sul fronte del Popolo di Dio, tutti coloro che si radunano in santa assemblea hanno la medesima dignità profetica, sacerdotale, regale grazie al battesimo, così che possono partecipare attivamente alla celebrazione dei divini misteri incontrando il Signore. Dunque tutti sono uguali e il momento cultuale è assai importante. Di conseguenza, senza trascurare i poveri – come sottolinea Giovanni Crisostomo – si può dare decoro alla chiesa edificio per evidenziare che tutti i credenti hanno la stessa dignità e stanno comunicando con il Signore. Per quanto concerne i materiali impiegabili la cosa è del tutto indifferente. Certamente da parte di Dio non c’è bisogno alcuno. Nella Bibbia si legge che il Signore ha rifiutato la dimora di cedro che gli voleva offrire Davide, rimanendo in una tenda. Solo dopo con Salomone si fa costruire un tempio. Questo perché chiedeva un cuore purificato e non ostentazione di ricchezza. Da parte dell’uomo c’è mano libera. È pienamente autonomo di farsi un edificio cultuale a propria misura, purché sia idoneo al raccoglimento spirituale, all’attiva partecipazione dei fedeli, alla liturgia in uso. Legno, pietra, cemento, laterizi, metalli, vetro sono materiali, ciascuno con diverse proprietà, che possono essere indifferentemente impiegati. Ma è bene far emergere la tipicità di ciascuno, così da servirsene non solo funzionalmente, ma anche artisticamente ed esteticamente. Se la “casa di Dio” non deve essere sontuosa, come dice il documento conciliare Sacrosanctum Concilium, deve invece avere nobile eleganza. La bellezza infatti dà nobiltà alle cose e rende più evidenti i contenuti. Bisogna dunque evidenziare la bellezza della natura e la bellezza dell’arte, così che il luogo del culto risplenda di nobile semplicità, sia frammento del cantico delle creature, giovi al senso di appartenenza dei fedeli. Il legno ha sue caratteristiche che devono entrare nel linguaggio complessivo dello spazio cultuale, così da generare un’articolata e ordinata percezione estetica.

Il legno ha caratteristiche che devono entrare nel linguaggio complessivo dello spazio cultuale. Esprime l’esuberanza viva dei boschi, stupende architetture naturali.

Il legno esprime l’esuberanza viva dei boschi che costituiscono per chi vi si inoltra una stupenda architettura naturale. Le sue venature, quando sono a vista, combinano caldi e variegati cromatismi che mutando continuamente e liberamente, danno fantasiosa irrepetibilità al manufatto. La sua struttura materica genera uno spazio accogliente, intimo, domestico, caldo. La sua facile lavorazione permette soluzioni eleganti, raffinate. La sua relativa leggerezza e buona resistenza apre la possibilità ad ardite coperture. La sua stessa vulnerabilità dà il senso della precarietà delle cose di questo mondo. Il legno è, nel contempo, architettura e arredo così da unificare lo spazio cultuale. Mi soffermo però sulla chiesa in legno e non tanto sugli arredi lignei. Perché le chiese più povere sono abitualmente in legno. Le umili cappelle delle missioni, le chiese montane, le parrocchie dei villaggi, sono in numerosi casi in legno. È in quei luoghi, dove le maestranze non infrequentemente sono costituite dagli stessi fedeli, dove la povertà aguzza egregiamente l’ingegno, dove le difficoltà accomunano i credenti, dove il luogo di Dio è più sacro, perché ci sono i “santi della ferialità” e gli “ultimi del secolo presente”. In tali chiesette di legno fragile e di sobria fattura si contiene la grandezza della presenza di Dio, i cui ostensori sono i singoli fedeli ed il cui segno edilizio è di provocatoria semplicità e precarietà. Vorrei chiudere con un’esperienza personale. Mi trovavo nel Pacifico, esattamente a Suva, capitale nelle Isole Fiji. Mi vollero accompagnare a vedere un’insolita chiesa di legno. Detta chiesa era costituita da un enorme albero plurisecolare contornato da una struttura in legno che circoscriveva l’aula assembleare. Al mio stupore di fronte a quella chiesa sotto le fronde tra il canto degli uccelli, mi vollero far incontrare l’architetto che l’aveva progettata. Mi spiegò che in quel contesto culturale tale struttura era un simbolo assai idoneo ad esprimere il senso della provvidenza di Dio per i suoi. Si tratta, invero, del grande albero citato dal vangelo dove il Signore raccoglie i fedeli come in un nido: è il nido della misericordia di Dio. Dopo tale spiegazione ho ben compreso che anche questa chiesa di legno vivo, non toccato da mano d’uomo, era una bella chiesa ed un edificio davvero sacro.

S.E.R. Mons. Francesco Marchisano
Presidente Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa

 

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