Intervista

Intervista di: Walter Pagliero

Emanuele Bortolotti è riuscito a vincere il concorso inglese più esclusivo al mondo, il Chelsea Flower Show, organizzato dalla Royal Horticultural Society che seleziona progetti sul tema del giardino e li premia per l’interesse
dell’interpretazione o per le qualità botaniche. Scartata l’idea del giardino classico italiano, quello toscano, Bortolotti ha rivisitato un giardino napoletano del ‘700. Quello che ha colpito gli inglesi è stata l’esuberanza del colore e la
ricchezza delle presenze materiche. Elementi che Bortolotti considera fondamentali sia nei grandi parchi che nei piccoli giardini privati.

Intervista con l’architetto dei giardini Emanuele Bortolotti

Nato a Milano da padre italiano e madre inglese, negli anni della scuola dell’obbligo frequenta la scuola steineriana che avrà su di lui una grande influenza, orientandolo verso le attività artistiche e creative. Amando molto la natura, soprattutto quella modificata dall’arte dei giardini, finito il liceo classico sceglie di laurearsi in agraria al fine di avere la base scientifica necessaria per intraprendere la carriera di progettista del verde. Dopo la laurea frequenta un corso d’architettura del paesaggio sotto la guida di Porcinai, il compianto maestro italiano dei giardini e del paesaggio. Per imparare il lato pratico del mestiere lavora con i paesaggisti Giulio Crespi e Paolo Peirone e a questo punto crea a Milano con un socio, l’arch. Paolo Villa, lo studio di progettazione “Architettura dei giardini e del paesaggio”.
I loro clienti sono soprattutto privati dal terrazzo al grande parco, dal complesso residenziale al villaggio turistico, ma anche enti pubblici per il restauro di giardini storici o per il recupero ambientale, come nel caso della linea veloce
delle Ferrovie dello Stato da Milano a Bologna.

Qual è la sua visione personale del giardino?

Quella di affrontare le situazioni più disparate progettando per ognuna qualcosa su misura. Non applicare un “sistema” di verde precostituito, ma farsi ispirare dalle stesse difficoltà incontrate. Io non mi rifaccio a un solo linguaggio, a un unico modello di giardino ideale, ma a parecchi; anche se poi lo stile della mia interpretazione può essere riconoscibile. Mi piace anche dialogare con il committente, che spesso è propositivo, e anche questo può stimolare la mia fantasia. Il rapporto col cliente che fa progettare un giardino è un po’ speciale perché poi è lui che lo deve amare e curare; se non si instaura questo rapporto il giardino finirà per decadere. Il segreto è di lasciare sempre
in un giardino qualcosa di incompiuto o di “aperto”, in modo che il suo proprietario s’impegni a continuarlo e a perfezionarlo.

Cosa consiglierebbe ad una giovane coppia per la sua nuova casa?

Di realizzare un significativo rapporto visivo col verde sfruttando balconi, terrazzi, o un patio. Occorre prima di tutto organizzare il verde studiando bene le visuali dall’interno. La scelta delle piante dipenderà dai vincoli fisici del
posto: per quante ore c’è il sole, se è riparato o esposto al vento, se sono piante isolate, raggruppate o rampicanti. Per arredare questi spazi però il verde non basta, occorre completarlo con altre presenze (come una panca, una voliera, una fontanella d’acqua, una piccola scultura in pietra) studiando bene gli accostamenti.
Anche un semplice vaso può contribuire, col suo colore e la sua materia, ad arricchire l’insieme. Questo fa parte della tradizione italiana e più in generale di quella mediterranea.

In cosa consiste la tradizione mediterranea dei giardini?

Il giardino italiano è fatto di profumi e di atmosfere creato con l’aiuto di elementi architettonici e decorativi come colonne, sedili, vasi, statue. Per il progetto del giardino che ho presentato al Chelsea Flower Show di quest’anno mi sono ispirato al chiostro di Santa Chiara a Napoli come era a metà ‘700. Si tratta di una equilibrata sequenza di sedili e colonne in maiolica policroma, con i pergolati in legno di castagno coperti da glicini, mentre le aiuole erano di grande
semplicità, c’era il mirto con altre piante aromatiche e una zona coltivata ad orto: non era certo un giardino di fiori. Ciò che ha suscitato il maggiore consenso nella mia realizzazione è stato il felice rapporto materico e cromatico tra
i componenti: le maioliche azzurre e gialle, il grande orcio di rame, le colonne in cotto, i frutti e i fiori di aranci e limoni e un tappeto di iris che sembrava cresciuto spontaneamente. Anche il profumo sprigionato dagli agrumi aveva il
suo fascino. Il suo pregio era di avere pochi elementi, ma tutti molto caratterizzati in direzione della mediterraneità.

Agli inglesi è piaciuta la rivisitazione di un giardino napoletano del ‘700.

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