Incorniciare il fuoco

I camini sono i piccoli fratelli dei campanili, perché anch’essi tendono verso l’alto in una conformazione di prevalente verticalità; anch’essi hanno al sommo una cella in cui sviluppano le loro piccole pretese architettoniche; anch’essi
hanno il coperto a spioventi, a piattabanda, a cuspide, a cupola; sono piccole torri con le loro preoccupazioni statiche, le loro ambizioni di estetica e la dignità del loro compito professionale; soprattutto perché sanno di essere l’espressione apparente del genius loci, della parte sacra della casa, e di costituire la sede e il dominio dei lari. La stessa parola che designa la parte più importante dell’organismo cui appartengono e cioè il focolare (1) si richiama al divino, ai Lari patroni della famiglia; ed il dialetto, spesso inconsapevole custode dei tesori della tradizione, ha conservato il nome di larin alla pietra dove giacciono legni e carboni in combustione, e che anch’esso ricorda i Lari; allarii, apud Lares e add lares, sono poi i trespoli in ferro che ne reggono il ceppo.

"Il camino veniva considerato un elemento complementare
necessario per la bellezza dell’edificio, come il fiore che
è indispensabile anch’esso per fare completo l’abbigliamento di una sposa"

Canaletto, La chiesa e la scuola
della Carità dal laboratorio dei
marmi di S. Vitale, Londra, National
Gallery, Particolare.
Camini di fattura
con testa a dado.

E la santità del focolare si spiega con la sua funzione; era il luogo dove un tempo si riuniva la famiglia come oggi si raduna nelle case della gente di montagna, per il desco, per trattare affari, per il filò (termine dialettale veneto che indica il raduno serale dei familiari e in quell’occasione le donne filavano), per la preghiera della sera. Ora (…) la famiglia non si raduna più per il filò (…) ma il camino è rimasto”. Eugenio Miozzi continua il saggio sulle architetture minori descrivendo forma e funzione anche paesaggistica dei comignoli di Venezia, infatti, scrive “i camini rompono l’uniformità compassata dei nostri tetti, che generalmente sono a debole declivio: essi punteggiano l’aria, danno maggior rilievo, costituiscono una preminenza dove altrimenti si sarebbe veduta una distesa piatta di tegole a canale, danno un colpo di colore, tagliano l’azzurro del cielo, pongono in contrasto il nero della lor caligine col bianco della gorna, aiutano nel loro piccolo i campanili a correggere con altri elementi di verticalità il predominio monotono del motivo orizzontale. E ne vediamo di tutte le forme, dimensioni, positure: vediamo il semplice camino quadrato o cilindrico che termina con la lastra bianca di pietra d’Istria, o sotto di questa i fori oblunghi, fuligginosi poi vediamo il maestoso camino a campana rovesciata, grave nell’aspetto come un monaco buddista, poi vediamo il camino a piramide tronca e schiacciata e che sfoggia pretese ogivali. Troviamo camini usuali con la testa a dado, o a tronco di cono diritto oppur rovescio; camini in marmo, a corsi regolari e modanature in fino con cuspide e sulla cuspide il parafulmine; camini a campanile, così detti perché ne riproducono la canna, la cella campanaria, il turlo, il cornicione di gronda, i finestrati; la classe poi dei camini a forchetta doppia o tripla è la più numerosa eseguita poi dalla schiera dei camini strambi, a obelisco egiziano, a torre (…).

Venezia il camino della Zecca. L’opera di Sansovino è tutta in marmo d’Istria e domina piazza San Marco, dispone, in cima, di un particolare parafulmine.

In tutti i paesi del mondo ci sono camini, ma solo nella laguna veneta essi hanno forme che li diversificano da tutti gli altri, e sorge quindi il desiderio di conoscere la causa di questa loro singolarità. E la ragione c’è … la spiegazione della loro curiosa conformazione ci è suggerita dall’analogia di forma che i camini a tronco di cono rovescio hanno con le cuffie delle macchine trebbiatrici o delle locomotive che in Austria e in Germania attraversano boscaglie, cuffie costruite appositamente per evitare la dispersione delle scintille. La somiglianza della forma corrisponde infatti alla identicità degli scopi.

(1) Aristofane, Orazio, Virgilio, Appiano di Alessandria ricordano i focolari dei loro tempi e gli scavi di Pompei confermano che essi dovevano essere presso a poco come quelli delle nostre case in campagna. Il camino era invece diverso dal nostro, era costituito da un buco collocato vicino ad uno spigolo delle pareti (…). Nella tarda romanità i camini, forse per apporto dei popoli nordici, risultarono migliorati e S. Sidonio Apollinare, vescovo scrittore gallo-romano, morto intorno al 487, ricorda come al suo tempo si usassero focolari nelle stanze; ne descrive uno che era nella sua casa di campagna, ne indica la conformazione della nappa a volta arcuatile e ne loda il buon funzionamento: “a cryptoporticu in hyemale triclinum venitur, quod arcuatili camino, saepe ignis animatus, nulla fuligine infecit”. Nelle leggi longobarde e nelle vite di Anastagio viene ricordata la caminata come il luogo dove era il focolare e dove si mangiava; un documento del 1069 del patriarca di Grado che destina al parroco del S. Silvestro il possesso di una casa, ne indica anche cioè i particolari del possesso e dice: ‘cum tota sua cella et domo, et caminatis cum suo solario et aliis caminatis’.(…) Da quanto sopra si può quindi dedurre che queste caminate debbono essere antiche quanto Venezia stessa: e che la parola caminata possa riferirsi o al camino, oppure al caminetto dove cioè si fa il fuoco. Questa seconda interpretazione ci viene offerta da un episodio riportato dal Gattaro, quando narra di Francesco da carrara, signore di Padova, il quale essendosi recato d’inverno a Roma ebbe a patire colà tanto di quel freddo da richiedere da Padova dei maestri perché gli apprestassero un camino per scaldarsi. “Essendo il signore giunto per albergare nell’albergo della Luna, et in quella stanza non trovando alcun camino per fare fuoco, perché nella città di Roma allora non si usavano camini, anzi tutti facevano nei cassoni pieni di terra i loro fuochi; et non parendo al signore Messer Francesco di stare con suo comodo a quel modo, fece venir muratori e marangoni ed ogni altra sorta d’artefici; e fece fare nappe da camino e le arcuole in volta al costume di Padova”.

Un piacere antico

Le cornici di camino classiche, accentuano l’attenzione proprio sulla loro caratteristica più saliente, la preziosità della cornice, celando la struttura della cappa nella muratura e ammettendo al massimo la presenza di coprotagonisti come gli alari, di pregevole fattura. Sono elementi di grande pregio realizzati impreziositi dalle venature dei marmi e dalle texture naturali della pietra che si possono inserire con naturalezza sia in ambienti classici sia moderni.

I modelli tra cui scegliere sono numerosi come dimostra un giro nel grande show room di Leardini Luperio a Vago di Lavagno in provincia di Verona. Specializzato nel campo dell’antiquariato, nel recupero e nel restauro di elementi d’arredo in marmo, pietra e tufo per interni e giardini, Leardini Luperio, offre nella sua esposizione una vasta gamma di camini, portali, capitelli, fontane e statue. In questi esempi alcune cornici in stile che si adattano con grande classe ed eleganza ad ogni tipo d’ambiente.

Nei primi secoli della vita di Venezia le case e talune chiese erano ricoperte da stuoie di canna e da fasci di paglia (…) in un tempo successivo si ebbe un progresso con l’impiego dei coperti a scandola, ma queste coperture, in periodi di siccità costituivano un pericolo gravissimo perché bastava una scintilla per dar fuoco a tutto il coperto. Era quindi indispenssabile trovare il modo per evitare la fuoriuscita delle scintille dai camini, e questo scopo fu raggiunto con le caratteristiche cuffie a campana rovesciata, a campana dritta ed a forchetta.

Nelle foto: Camino a campana rovesciata.

Camino a forme classiche.
Camino a forchetta.

Le scintille, come si sa, sono piccole masse di carbone ancora ardenti che la forza ascensionale dell’aria riesce a tener sospese e a trascinare lungo la canna: ma queste scintille di carbone, se trovano un andamento ostacolato e che le costringa a bruschi risvolti, battono sulle pareti perdono la loro forza viva e cadono prima di uscir all’aria libera: questo è il principio su cui si basano tutte le cuffie antincendio delle trebbiatrici, delle locomotive ed anche dei nostri camini veneziani. Negli schemi che abbiamo riportato si vede il percorso dell’aria calda, gli ostacoli edd i risvolti che le scintille debbono superare, ed i punti in cui le scintille ancora accese debbono ricadere e cioè in particolari canti del camino e non per il libero spazio; lo scopo con questi percorsi obbligati viene pienamente raggiunto.

Gaudì; genio, fantasia e creatività
Ceramica, cemento, ferro, vetro si plasmano nelle straordinarie forme di comignoli creati dal grande architetto Gaudì. Una sfrenata fantasia che si concretizza nella totale libertà formale e materica degli elementi architettonici che l’architetto considerava come un’indispensabile completamento dell’archittettura: “Proprio come le persone importanti portano cappello e parasole”. Le forme, scriveva Corradeschi “sono tortuose ma libere che si articolano con un grande rigore strutturale implicando un’audacia tecnologica che solo chi possiede in maniera somma le regole del corretto costruire può permettersi di esprimere con straordinaria coerenza”.

Schema della struttura dei camini veneziani, da cui risulta
perché essi evitano la diffusione di faville.

Questi camini hanno poi anche il vantaggio di raccogliere nella corona di base le acque di stravento e di evitare così la bruttura delle macchine nere che altrimenti si manifesterebbero nelle facciate in corrispondenza del condotto caminale. (…) Attorno a queste tre forme schematiche, rispondenti alla funzionalità della struttura, lavorò poi il genio che è nel sangue dei nostri artefici; il desiderio di ricavare anche un motivo ornamentale ne aggraziò le forme e diede loro un carattere che fosse anche in armonia con le faccia
te”. (TRATTO DA EUGENIO MIOZZI, VENEZIA NEI SECOLI. LA CITTÀ, II VOLUME, CASA EDITRICE LIBECCIO, VENEZIA, 1957).

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