In cucina: La pasta


I piatti di Casa Felice

I termini pasta e pastasciutta possono indicare un piatto dove la pasta alimentare sia l’ingrediente principale accompagnato da una salsa, sugo o altro condimento.

Ricetta:
Cavatelli alle cime di rapa

INGREDIENTI:
(dosi per 4 persone)
400 gr. di farina di grano duro, 1 Kg. di rape, aglio, peperoncino, olio di oliva, sale.
Impastate la farina con sale ed acqua tiepida, in quantità tali da ottenere una pasta piuttosto morbida.
Riducete l’impasto a lunghi cilindri di un centimetro di diametro che taglierete a pezzi della misura di un dito.

Appoggiate sulla spianatoia i pezzetti di pasta e premendo con le dita strascinate verso di voi, in modo da ottenere dei gnocchetti cavi.
Mondate le cime di rapa, lavatele e cuocetele in acqua bollente salata. Soffriggete in una padella olio, aglio, peperoncino ed aggiungete le cime di rapa che lascerete insaporire per qualche istante. Scolate i cavatelli e, rimestando, amalgamate il tutto.

Che sia stato Marco Polo al ritorno dalla Cina nel 1295 ad aver introdotto in Occidente la pasta è solo una leggenda.
É nata negli Stati Uniti d’America sul Macaroni Journal pubblicato da una associazione di industriali con lo scopo di rendere la pasta familiare ai consumatori americani, e favorito dai circoli governativi impegnati a sostenere la coltivazione del grano duro. A sostegno della tesi c’era che, tra le meraviglie del mondo descritte nel Milione, parlando del reame di Fansur, Marco Polo scrive che. “Qui à una grande maraviglia, che ci dà farina d’àlbori, che sono àlbori grossi e ànno la buccia sottile, e sono tutti pieni dentro di farina; e di quella farin[a] si fa molti mangiar di pasta e buoni, ed io piú volte ne mangiai” a cui, nelle note alla prima versione italiana, Giovan Battista Ramusio aggiunge che; “la farina purgata et mondata, che rimane, s’adopra, et si fanno di quella lasagne, et diverse vivande di pasta, delle quali ne ha mangiato più volte il detto Marco Polo, et ne portò seco alcune a Venezia, qual è come il pane d’orzo, et di quel sapore” Pertanto gli americani, come dice Giuseppe Prezzolini, «non hanno esitato a prender il testo del Ramusio, han dato una spintarella… e l’han fatto diventare la prova» dell’importazione dalla Cina degli spaghetti.

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Il vocabolo pasta viene dal tardo latino, dal greco con significato di ‘farina con salsa’ che deriva dal verbo pássein cioè ‘impastare’. Si attesta a partire dal 1310 anche se a cercare le origini della pasta, chiamata con altri nomi, si può tornare indietro fin quasi all’età neolitica (circa 8000 a.C.) quando l’uomo cominciò la coltivazione dei cereali che ben presto imparò a macinare, impastare con acqua e cuocere o seccare al sole per poterli conservare a lungo. La pasta è infatti un cibo universale di cui si trovano tracce storiche in tutto il continente euroasiatico. Acquisisce una posizione particolarmente importante in Italia e in Cina dove si sviluppano due prestigiosi filoni di tradizione gastronomica che si completano a vicenda ma di cui rimane difficile stabilire i rapporti proprio per la complessità dei percorsi intermedi. La
testimonianza più antica, databile intorno ai 4000 anni fa, è data da un piatto di spaghetti di miglio rinvenuti nel nord-ovest della Cina presso Lajia sotto tre metri di sedimenti. L’invenzione cinese viene tuttavia considerata indipendente da quella occidentale perché all’epoca i cinesi non conoscevano il frumento caratteristico delle produzioni europee e arabe. In verità possiamo trovare tracce di paste alimentari già tra gli Etruschi, Arabi, Greci e Romani. Chiara la testimonianza per gli Etruschi fatta a Cerveteri dalla tomba della Grotta Bella, risalente al IV secolo a.C., dove alcuni rilievi sono a raffigurare degli strumenti ancora oggi in uso per la produzione casalinga della pasta come spianatoia, mattarello e rotella per tagliare. Per il mondo greco e quello latino numerose sono le citazioni fra gli autori classici, fra cui Aristofane e Orazio, che usano i termini làganon (greco) e laganum (latino) per indicare un’impasto di acqua e farina, tirato e tagliato a striscie.

«Chi mai fosse tra i ghiottoni l’inventor dei maccheroni Vi son dispute infinite Né decisa è ancor la lite»
(G. Columbro, Le muse familiari, in «Molini d’Italia», n. 4, 1984)

Queste lagane, ancora oggi in uso nel Sud d’Italia ma considerate inizialmente cibo dei poveri, acquisiscono tanta dignità da entrare nel quarto libro del De re coquinaria del leggendario ghiottone Apicio. Egli ne descrive minuziosamente i condimenti tralasciando le istruzioni per la loro preparazione, facendo supporre che fosse ampiamente conosciuta. Per gli Arabi, Ziryab, musicista, ma anche appassionato gastronomo del IX secolo d.C., descrive impasti di acqua e farina assimilabili alle paste. Ne Il diletto per chi desidera girare il mondo o Libro di Ruggero, pubblica
to nel 1154, Al-Idrisi, geografo di Ruggero II di Sicilia, descrive Trabia, un paese a 30 km da Palermo, come una zona con molti mulini, dove si fabbricava una pasta a forma di fili chiamata itrya (dall’arabo itryah che significa "focaccia tagliata a strisce"), che veniva spedita con navi in abbondanti quantità per tutta l’area del Mediterraneo sia musulmano sia cristiano, dando origine ad un commercio molto attivo. Questa è la prima testimonianza scritta sulla pasta, che poi entrerà nella storia.

 

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