Il tufo e il vernacolo


A cura di Leonardo Servadio

Ing. Luigi Paolini

Sotto: Nei due disegni in pagina le
sezioni sul vecchio casale (in alto)
e sulla parte nuova; sotto una
immagine degli interni; dalle altre
foto di queste pagine si coglie
appieno l’eleganza dei dettagli.

L’ing. Luigi Paolini, docente presso la sezione di Lecco del Politecnico milanese, è animato dalla passione tipica dell’uomo
rinascimentale: unire l’arte e la tecnica. Compiere opere in cui l’aspetto estetico si unisca al piacere scientifico, al gusto
tecnologico, all’invenzione non meramente formale, ma sostanziale.

Si staglia all’orizzonte il casale di Narnaia, situato a nord dell’abitato di Farnese. Si ergeva solitario con la fierezza della forma massiccia del prisma elementare, a testimoniare una sommessa presenza dell’uomo del tutto integrata in un territorio ancora sostanzialmente incontaminato: ricovero all’umana fatica in una plaga ove lo sguardo spazia all’infinito, nel silenzio interrotto solo a tratti dal suono dei campanacci degli armenti. Il suo ampliamento ha generato un complesso architettonico cospicuo, che attornia il vecchio, piccolo casale e ne dilata la presenza sulla scena dei campi. In questa terra dove regnava l’antica civiltà etrusca e dalla quale la famiglia Farnese ha tratto le sue radici, l’incontro tra genio creativo e pace campestre è ancora possibile. E l’ampliamento della piccola, antica costruzione rurale ha offerto la possibilità di nobilitare l’intreccio tra storia e mondo agreste che in queste terre ha dato luogo a tanti magnifici esempi.

L’edificio sorge su un terreno di un paio di ettari nella campagna dall’andamento leggermente ondulato, fronteggia l’antico abitato di Farnese, e sta vicino al confine di proprietà che passa dove comincia il declivio del colle, verso settentrione. Siamo nella terra del tufo, pietra lavica di colore terrigno, materiale privilegiato per le costruzioni di questa zona, grazie alla sua leggerezza e lavorabilità. L’approccio progettuale ha teso a conservare l’esistente e apportare le modificazioni in modo che queste risultassero coerenti, profondamente ancorate al contesto, ricche di richiami formali con la tradizione.
Nel piano rispetto dell’asciutta composizione dell’edificio esistente, il progetto è partito dal principio della sua conservazione totale e della sua valorizzazione entro il nuovo costruito. La nuova opera edilizia si pone in continuità
con la preesistenza e, avvolgendola, enfatizza lo sviluppo altimetrico del solido stereometrico, in un processo di
aggregazione volumetrica.
Le scelte compositive sono di qualità e conferiscono all’opera notevole importanza architettonica, che si coglie nella rivisitazione dei linguaggi espressivi della tradizione, in una lettura semplice ma moderna, nonché nella chiarezza del dettato e nel sapiente uso del materiale esterno lapideo: con la sua densità si alterna aritmicamente alla fragilità dei vuoti. Di particolare interesse è il ritmo impresso alla grande e imponente facciata nord, quella che segna il limite della proprietà e si presenta quasi come un accenno di muro divisorio che idealmente continua oltre, ad abbracciare tutto il
terreno: è un limite nel senso proprio del termine, le cui dimensioni, che appaiono ridotte nella vastità dei campi,
acquisiscono anche un valore simbolico.

La facciata si caratterizza per la particolare lavorazione dei corsi di pietra e per la scansione delle aperture: verticali come feritoie che poggiano con grazia pacifica su occhielli a semicerchio che
esibiscono un intonaco color sabbia e rivelano (come del resto l’alto arco che si erge in corrispondenza della posizione
centrale occupata dall’edificio preesistente) la differente complessione materiale del cemento che struttura il nuovo
edificio sotto il manto tufaceo.
Ai lati, oltre le dimensioni del nuovo edificio, la facciata continua in muri liberi: setti verticali che si alzano interrotti da aperture squadrate e che finiscono per disegnare un colonnato sul lato est.
La facciata diventa una quinta che tende a smaterializzarsi verso i lati, quasi a cercare il contatto con la terra, a nascondere in essa la sua raziocinante, misurata presenza che si racconta per linee geometriche.
Il nuovo edificio appare evidente sul lato opposto quello che a sud guarda verso il paese e gode la piena luce solare, mentre a nord si appoggia e si protegge seminascosto nella facciata liminale.

Col nuovo fabbricato che si estende ai suoi lati, l’antico casaletto emerge come elemento focale: resta in tal modo ben
visibile dall’abitato, e riconoscibile come persistenza segnica che si staglia nel profilo esteso della plaga. La lieve rotazione impressa al nuovo corpo di fabbrica, rispetto a una più scontata intersezione cartesiana con il casaletto, oltre a conferire un accento di dinamismo alla composizione, aiuta a farne risaltare le presenza, la persistenza, la preesistenza.

Il casaletto antico
Il fabbricato preesistente risultava composto da due unici vani sovrapposti: quello al piano terra aveva una sola apertura nella porta di accesso e due feritoie sul lato opposto, verso nord. Il vano al piano superiore, raggiungibile
attraverso una scala esterna posta a sud, presentava tre aperture finestrate oltre alla porta di ingresso ed è provvisto di camino. L’edificio, caratterizzato da nobile semplicità, rimandava immediatamente agli archetipi della tradizione costruttiva locale: le murature piene in blocchi non squadrati di pietra locale – il tufo – con le aperture evidenziavano
l’impiego di architravi e spalle monolitici che, oltre a svolgere funzione statica, costituivano motivo di semplice decoro; la
copertura, con struttura lignea, aveva tegumento in tegole di cotto, le cosiddette “romane”.
Facevano eccezione a questa semplicità diffusa i solai a volta: un sistema costruttivo di prim’ordine la cui realizzazione
appare piuttosto singolare.
L’edificio così descritto è stato restaurato ed esternamente è rimasto sostanzialmente identico, trovando semplicemente raccordo con il più ampio corpo di fabbrica nuovo.

L’idea del progetto di ampliamento
Dal punto di vista distributivo, l’idea di base del progetto di ampliamento si è fondata sulla necessità di affacciare gli ambienti verso lo spazio esterno a sud, con particolare riguardo all’esposizione di massima illuminazione e soleggiamento del sedime.
Ne è risultata una composizione di edificio lineare, con la già citata differente altimetria corrispondente al volume del casaletto e al nuovo volume di raccordo con il primo piano, necessario per consentire l’accesso dall’interno al piano superiore del casaletto.
La distribuzione degli spazi tra vecchio casaletto e nuovo fabbricato, insieme con l’organizzazione degli ambienti ha
contribuito alla configurazione dell’intervento architettonico.
Questo ha esaltato l’unità compositiva tramite il gioco di incastro volumetrico e col linguaggio materico.
L’edificio risultante dall’ ampliamento è costituito dai seguenti ambienti, ai vari piani.
1) Piano terra: ingresso, cucina, pranzo/soggiorno, due bagni, 4 camere doppie, vano per la centrale termica, ripostiglio;
2) Primo piano: camera doppia e bagno.
I vani destinati a cucina e a camera del primo piano (che si raggiunge sia tramite la scala esterna preesistente, sia con una nuova scala interna) sono stati ricavati nel casaletto preesistente.
Per quanto riguarda le coperture, quella esistente è stata recuperata e ripristinata, mentre il tegumento di quelle nuove è stato posato in tegole romane, con pendenza a falda unica per il nuovo corpo di fabbrica a un piano, e doppia
pendenza per il volume preesistente del casaletto a due piani.

Particolare e caratteristica risulta la finitura della cornice di gronda, in pianelle in cotto poste a pettine, con una soluzione che si intona con la preesistenza e apporta un “quid” di originalità che sottolinea la novità dell’architettura aggiunta.
I materiali principali usati sono:
– muratura in blocchi squadrati di tufo
– porzioni di intonaco tinteggiato colore sabbia
– serramenti in legno tinta testa di moro
– soglie e copertine in marmo locale, il travertino
– pianelle in cotto
– cotto e travertino per le pavimentazioni interne ed esterne
– travertino per le pedate della scala interna.

Il genius loci
Proprio nell’uso dei materiali principali da costruzione si ritrova il “genius loci”. Si tratta di una continuità più culturale che
morfologica, anche se nell’opera si possono ritrovare alcuni elementi del linguaggio vernacolare locale, ad esempio: la
copertura a falde in debole pendenza, l’adozione di ampie superfici murarie cieche in cui occhieggiano piccole aperture per le finestre, gli architravi a debole curvatura, lo sporto di gronda appena accennato, sprovvisto di canale ma arricchito dalle pianelle in cotto, elementi murari interni in pietra a vista per significare gli ambienti.

Il tufo, posato in opera a fughe larghe e corsi sfalsati, richiama immediatamente il linguaggio espressivo della tradizione
costruttiva locale. La tessitura muraria è ricca di stimoli percettivi, laddove la variazione chiaroscurale delle superfici segue la mutevolezza cromatica e di intensità della luce del giorno.
I muri in pietra non si limitano a rappresentare l’eleme
nto di mediazione esterno-interno della casa, ma si prolungano anche oltre la loro funzione principale, fino a costituire anche un elemento di recinzione.
Sul lato ovest, il muro è perforato da una grande apertura che incornicia una splendida vista sulla campagna.
Sul lato est, le aperture trilitiche estendono simbolicamente l’apparato murario, anche qui permettendo di godere il magnifico panorama inquadrato dai rettangoli di pietra.

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