Il tesoro ritrovato

Tratto da:
Chiesa Oggi 42
Architettura e Comunicazione

Capella Portinari: storia e restauri

 

Vista della cupola ad ombrello


Il toscano Pigello Portinari, responsabile della filiale milanese del Banco Mediceo, volle far erigere la sua cappella funeraria presso la chiesa di Sant’Eustorgio, sede dell’ordine domenicano fin dal 1220. La cappella dedicata a san Pietro martire fu terminata nel 1468. L’architettura della cappella è costituita da un nitido volume cubico sul quale si innesta, per mezzo di pennacchi sferici, la cupola a ombrello rialzata su un tamburo ed è completata da un piccolo ambiente absidale a pianta quadrata coperto da una cupoletta. Sull’architettura pulita, di derivazione rinascimentale toscana, si dispiega il gusto lombardo per la decorazione ricca e colorata. Paraste e fregi in pietra d’Angera riccamente scolpiti, cornici e profili, nel tamburo una festosa danza di angeli in terracotta policroma. Il ciclo di affreschi dipinto tra il 1464 e il 1467 da Vincenzo Foppa comprende nei lunettoni laterali storie di san Pietro martire, L’Annunciazione nell’arco trionfale, e L’Assunzione nel corrispondente arcone della controfacciata, i quattro Dottori della Chiesa nei tondi dei pennacchi e otto teste di Apostoli nei finti oculi della cupola. (Testimonianze raccolte da Rita Ghisalberti)

Benché le vicende storiche, culminate nei bombardamenti dell’ultima guerra, che hanno distrutto l’archivio della Parrocchia di S. Eustorgio, ci abbiano sottratto gran parte dei documenti, dai pochi rimasti sappiamo che l’ambiente ha subito radicali trasformazioni. Il primo “restauro” della Cappella risale al 1583, secondo quanto è attestato da una lapide. Padre V. Alce afferma che nel 1630, a causa dell’imperversare della peste, le pareti vennero scialbate, ricoprendo anche affreschi di Vincenzo Foppa, ad eccezione dei pennacchi con le figure dei quattro Dottori della Chiesa. Una radicale trasformazione avvenne fra il 1736 e il 1743 quando P. Bonacina, priore del convento, fece trasferire l’Arca, scolpita da Giovanni di Balduccio nel 1338, dalla navata laterale della basilica nell’abside della Cappella Portinari. Dalle testimonianze d’archivio risulta che è stato eseguito anche un vasto intervento sulle pareti. Possiamo quindi concludere che nel periodo fra il 1714 e il 1784 le superfici della Cappella furono, più volte scialbate: escluso il pericolo del contagio della peste, è probabile che la stesura di uno strato di calce fosse dovuto al degrado delle superfici. Oltre a queste modificazioni, in gran parte legate alle variazioni del gusto e delle funzioni stesse della Cappella, possiamo affermare che, in passato, l’ambiente ha senz’altro risentito di fenomeni di degrado della muratura esterna che hanno permesso infiltrazioni d’acqua. Il crollo delle cornici in cotto può essere stato provocato solo da difetti delle coperture che quindi devono aver permesso infiltrazioni d’acqua che non soltanto hanno degradato la cornice esterna, ma imbibito anche la muratura a cui sono fissate le terrecotte.
L’evaporizzazione dell’acqua, avvenuta verso l’interno della cappella, ha senz’altro contribuito alla decoesione ed al distacco della pellicola pittorica. La situazione è stata critica in passato a causa di un fontanile e di una vasca per la conservazione del pesce, creata, a lato della Cappella, dai Frati dell’adiacente convento. Le testimonianze provano che per secoli le murature sono state a contatto con una grande quantità d’acqua che veniva assorbita per capillarità e solo nel 1879 venne deviato il corso della roggia. Nel 1798 i Domenicani dovettero abbandonare il convento e la basilica divenne parrocchia. Sostanzialmente fino al radicale intervento del 1868, la Cappella conservò l’aspetto conferitole dall’intervento settecentesco. Luca Beltrami, nei suoi appunti sottolinea che, per un lasso di oltre 130 anni, la mancanza di interventi di “ripulimento dalla polvere e dal grasso” avevano mantenuto gli scialbi che coprivano, ma anche proteggevano i dipinti. Anche le decorazioni in cotto erano coperte da strati di scialbi che, come quelli sovrapposti agli affreschi, furono scrostati con grande entusiasmo perfino dai membri della Commissione Accademica, operazione che, per il cotto, è legittimo ipotizzare abbia strappato anche gran parte della pellicola pittorica e che ha provocato abrasioni e perdita delle finiture a secco anche sulla pellicola pittorica degli affreschi.
Le cornici in cotto furono dipinte a fasce bianche e nere. Nel 1874 l’Arca di Balduccio fu spostata dall’abside per essere collocata quasi al centro della cappella. L’altare settecentesco fu venduto e tutte le decorazioni barocche furono demolite; nel 1876 fu ricostruita la volta a ombrello nella scarsella, che venne decorata dal Caironi. Nel 1878, Cesare Pirovano eseguì un nuovo altare, su disegno di Luigi Bisi. Le pareti, nella parte bassa, furono decorate con specchiature e lesene a fasce bianche e nere e lungo quelle nord e sud furono collocati stalli lignei. L’umidità ambientale costantemente elevata e le infiltrazioni d’acqua provocarono un nuovo rilevante degrado della pellicola pittorica che, presumibilmente, subì un consolidamento con l’impiego di paraffina, durante l’intervento del Vanoli nel 1930. Nel 1950 fu promosso un nuovo intervento. Ora dopo anni di chiusura, il determinante contributo della Fondazione Cariplo e della Soprintendenza dei Beni Ambientali hanno reso possibile il recupero della cappella e la sua riapertura al pubblico.

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