Il pavimento in cotto e la sua storia attraverso i secoli

Si tratta di uno dei materiali per l’edilizia che caratterizza da sempre la fascia temperata dell’Europa, infatti la sua presenza nei templi è documentata a partire dagli antichi Etruschi.

Il pavimento in cotto è arrivato fino a noi come il frutto di un’antica tradizione italiana che risale agli Etruschi, continua (ma solo parzialmente) con i Romani e riprende quota nel Medio Evo. Come per tanti aspetti dell’arte decorativa italiana,
il meglio lo si èraggiunto negli anni aurei del Rinascimento, com’è testimoniato dai pavimenti cinquecenteschi che ancora si conservano in tanti palazzi storici, come il palazzo Sacchetti a Roma in via Giulia di cui pubblichiamo due scorci (qui sotto e nella pagina a fronte). A quel tempo, per ottenere disegni decorativi dalla disposizione delle singole mattonelle, si
sfruttava la diversità di colore tra laterizi scuri e laterizi chiari dovuta alla diversa quantità di materiali ferrosi all’interno delle argille di partenza. Il repertorio decorativo utilizzato in quel periodo partiva dalle classiche disposizioni del cotto a spina di pesce (documentate già nel Foro Romano) oppure a scacchiera e a disegni geometrici (realizzate in marmo durante il Tardo Impero e il periodo bizantino), per arrivare a quadrature più complesse di gusto tipicamente rinascimentale. Il successivo periodo barocco, per ottenere stesure uniformi, tornava a textures geometricamente
più semplici, mentre il Barocchetto settecentesco preferiva pavimenti riccamente decorati in legno, in marmo intarsiato oppure (nei paesi più caldi come il Sud d’Italia, la Spagna e il Portogallo) in ceramica smaltata e dipinta.

Col Neoclassicismo si torna a una relativa semplicità con la palladiana (un conglomerato di frammenti di marmi usato soprattutto in Veneto) o in legno intarsiato, mentre il cotto veniva utilizzato nelle case di campagna dando inizio a
quel "gusto del rustico" che ècontinuato fino ad oggi. L’Ottocento, il secolo eclettico per eccellenza, ha continuato a utilizzare le pratiche di fine Settecento limitandosi a modificarne i disegni per uniformarli agli stili storici cui si ispirava: per
il neogotico e il neorinascimento il ricorso al cotto era la regola. A cavallo del 1900, con l’imperversare del Liberty, la tipica linea serpentinata ha cercato di invadere anche il pavimento con volute e intrecci vegetali realizzati con intarsi di tessere
marmoree all’interno di palladiane e conglomerati di grana più fine. Il Modernismo degli anni ’10 e l’Art Déco degli anni ’20 hanno continuato a usare il conglomerato (ma anche il pavimento in legno) con disegni più semplici tendenti al geometrico, fino ad arrivare allo stile ‘900 quando si è fatta piazza pulita di ogni decorazione usando materiali continui come il linoleum o i grandi quadrati di marmo. Gli anni ’50 furono gli anni delle piastrelle di conglomerato, del marmo
e del parquet tradizionale. Durante i decenni successivi prese piede il pavimento in ceramica, dal gres porcellanato al clinker, con notevole ricerca di nuovi aspetti materici. Negli anni ’60 e ’70 ci fu il momento della moquette, a cui pochi sfuggirono, mentre negli anni ’80, più portati all’esibizionismo, ebbe successo il pavimento in legno con intarsi decorativi. Per le seconde case venne rivalutato il cotto, in particolare quello più costoso fatto a mano e di grandi dimensioni. Si scoprì che anche negli interni di gusto antiquario il cotto tirato a cera era meglio della moquette e che una scultura lignea o un mobile del ‘500 davano il massimo se stavano su pavimenti di cotto di recupero. Oggi a far concorrenza c’èanche il
simil-cotto in ceramica, più facile da gestire, mentre le stuoie dello stile etnico si sposano meglio col vero cotto. L’orientamento attuale èquello di acquistare come seconda casa una costruzione rustica di origine contadina e foderarla di legno sopra (il soffitto) e di cotto sotto (il pavimento) continuando anche in giardino.

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