Il legno, protagonista celato

La grande copertura di legno lamellare della Chiesa di Maria Theotòkos a Loppiano, Firenze, progettata dal Centro Ave asseconda una forte tensione religiosa che supera di colpo ogni dicotomia costruzione/ ambiente, costruzione/architettura, costruzione/ spiritualità. E’ facile esprimere un giudizio positivo su di un’opera che di primo acchito ci emoziona. Diverso è cercare di spiegare cosa ci sia dietro quel facile e semplice “che bello!”, che immediatamente sintetizza il Santuario di Maria Theotòkos. E quand’anche si riuscisse a trovare una chiave interpretativa, sicuramente non sarebbe universale e condivisa, poiché ognuno vede con gli occhi della propria cultura, o dei propri sentimenti ed anche convinzione religiosa. Qui però tutte queste ultime categorie sono superate poiché l’opera è mirabile sintesi a cominciare dal rapporto ambiente-costruzione, poi fra costruzione- architettura, infine fra architettura-spiritualità. L’ambiente di Loppiano, leggero altopiano di Incisa, attaccato a Firenze, segnato dai sempiterni cipressi e dai campi coltivati induce già ad una tranquillità d’animo: l’opera si inserisce come un segno forte,
ma non prepotente o violento. Ben collegata alla terra, la vela si innalza verso il cielo. Prima però si interfaccia al mastio di pietra, che con la sua possenza, sottolineata dai grandi conci a vista, ricavati dalla stessa pietra su cui si fonda, contrasta con l’esilità e l’ampiezza del manto, che sembra avvolgere, con un gesto ecumenico, l’intera comunità della Mariapoli di Chiara Lubich.

Nelle foto: Disegni tecnici della struttura in legno lamellare della copertura. La pianta del
piano interrato; spaccato assonometrico
del piano interrato.

E’ bene dire subito che il progetto dell’opera è frutto di un lavoro di un inusuale gruppo: non solo architetti, ma anche altri artisti, scultori e pittori. Arti visive ed arti costruttive si sono confrontate subito e l’opera denuncia le diverse presenze e la sinergia che ne deriva. Questo aspetto va sempre tenuto presente, assieme alla grande forza ecumenica che tutto amalgama. Senza queste due chiavi di lettura è difficile capire l’opera e l’armonia delle parti con l’insieme. Il grande complesso che comprende non solo l’aula assembleare capace di più di mille posti, ma anche un grande auditorium sottostante, con sale più piccole e relativi servizi per circa milletrecento persone, impatta con assoluta discrezione e minimo disturbo con l’ambiente. Gran parte del complesso è ipogeo, ma
gli artifici per prendere sempre luce dall’esterno, non danno mai l’impressione di essere sottoterra! All’unità costruito-ambiente, dentro-fuori, quasi a rendere indefinibile il confine sacro-profano, fa riscontro un’altra grande sintesi unitaria, quella fra progetto-costruzione. Quella stessa sintesi che è nelle sculture di Ave Cerquetti, scultrice e fondatrice del Centro Ave, formato appunto dalle artiste-progettiste del complesso ecclesiale, dove non si distingue l’abito dal corpo, perché entrambi diventano un’unica forma plastica ed organica. E così il passaggio esterno-interno della Chiesa è pressoché impercettibile: la grande copertura lambisce la terra. Il diaframma così esile fra il fuori-dentro
obbliga però in qualche modo ad abbassarsi ed in quel momento si invera il passaggio materico e spirituale fra il profano ed il sacro. Un sacro che si rivela semplice, asciutto, ascensionale. Le travi di legno lamellare, appena sottosporgenti, deboli segni che conducono verso un punto, un fuoco di confluenza posto fuori, in alto. Quasi un immateriale, obliquo, axis mundi, che collega inferi, terra, aria, cielo. Questa emozionante sensazione è sottolineata dallo splendido magistero costruttivo, assolutamente nuovo. Fra le travi portanti di legno lamellare, leggermente curvate, è stesa una rete metallica intonacata con malta fonoassorbente, sorretta da cavetti di acciaio agganciati all’intreccio della struttura di legno secondaria. Finalmente l’interposto fra le travi portanti non è più il legno a cui tutti ricorrono ed esibiscono. Il legno è impiegato come struttura, ma ciò che si mostra è altro. Il legno non è prepotente protagonista e la sensazione di calore, offerta dall’altrove sempre presente tavolato di legno a vista, è negata dall’assorbente e chiaro intonaco, che però da luce.

Il particolare dell’attacco della grande vela di
copertura disvela la struttura di legno lamellare,
internamente sottratta al protagonismo.
L’interposto fra le travi di legno è la vela intonacata,
capace di seguire la doppia curvatura del tetto.
Il materiale dell’intonaco, soundless, come il legno,
è poroso e capace di assorbire, non di respingere,
le preghiere.

Tanta luce. Luce che è presa dalla grande apertura intarsiata di vetro, dove si narra la passione di Cristo ed il dolore di sua Madre. Ancora luce dal grande cielo dietro l’altare da cui traspare il tabernacolo, illuminato dal fuoco solare che si staglia nel cielo blu-azzurro. Che la copertura sia di legno si capisce già dalle discreteindicazioni degli appoggi del sagrato, anche se poi se ne perde la materialità, volutamente negata dalla riflettente opacità dell’interposto intonacato. Per chi è abituato, come me, alla ingombrante presenza delle alte e strette travi lamellari, è davvero inquietante non rendersi conto della struttura, che con l’artificio della rete intonacata si è smaterializzata, originando quella mirabile simbiosi animacorpo, in totale fusione e continuità plastica. Ciò che è celato alla vista e che la sottosporgenza delle travi principali appena curvate fa intuire è un fitto intreccio di travi secondarie ed arcarecci con controventamenti di acciaio come si vede dal disegno assonometrico predisposto dall’Ufficio Tecnico di Habitat Legno, che ha eseguito l’opera tenendo conto anche dell’elevato grado sismico del luogo. Il legno si è prestato a piegarsi ad una leggera e discreta flessuosità delle linee di copertura. Ha assolto un compito impossibile con altri materiali ed è rimasto nascosto protagonista, come è nel suo carattere vero ed intrinseco, contrario all’esibizione ed ostentazione a cui normalmente tutti fanno ricorso. Il legno è per sua natura umile, tollerante, soprattutto degli errori dei progettisti. Si ribella solo alla presunzione di chi pensa di trattarlo come un materiale artificiale, dimenticando che il calcestruzzo lo so fare anch’io, mentre il legno lo fa solo Dio! Questo formidabile gesto tecnico induce ad un ultimo e determinante superamento dicotomico, quello fra architettura e spiritualità religiosa, sulla quale mi blocca un pensiero: si può davvero progettare e costruire una Chiesa senza essere profondamente pervasi di Eterno?

Arch. Franco Laner
Professore Ordinario,Tecnologia dell’Architettura
Università IUAV, Venezia

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