Il genio cristiano del luogo

Per l’anno giubilare la Comunità delle Pie Discepole ha deciso di realizzare un adeguamento liturgico della chiesa Gesù Divin Maestro di Roma e un riordino degli spazi ad essa sottostanti, oltre che di altre parti del complesso di via Portuense.

A conclusione dei lavori, il complesso architettonico appare nel suo organico assetto definitivo come un insieme di edifici che possono ospitare le comunità religiose e le loro attività artigianali, incontri di gruppi diversi e convegni, grazie alla possibilità di utilizzare un auditorium e vaste sale attrezzate secondo le più moderne tecnologie. Tra le diverse costruzioni del centro, intervallate da abbondante vegetazione arborea tipicamente romana, si alza la chiesa, semplice nella sua sobria volumetria esterna, ma ben riconoscibile.

Lo spazio ecclesiale sovrasta l’area dove sono state ricavate la cripta, i locali di accoglienza e le sale per conferenze. Un atrio a cielo libero e porticato sui lati raccoglie i fedeli, prima e dopo le celebrazioni, in uno spazio ben proporzionato e isolato dai rumori. Qui, sulla soglia della chiesa, si viene in questo modo preparati al silenzio e al luminoso raccoglimento del suo interno. “L’identità di una persona è definita dagli schemi che si sviluppano e che determinano il ‘mondo’ che le diviene accessibile… Non è quindi sufficiente che il nostro ambiente sia dotato di una struttura spaziale che ci consenta di orientarci, ma deve essere fatto anche di oggetti concreti, con i quali ci si possa identificare. L’identità dell’essere umano presuppone l’identità del luogo”: in questi termini un critico contemporaneo, Christian Norberg Schultz, ha proposto il superamento di una interpretazione prevalentemente geometrica e oggettuale dell’architettura, affermatasi nel XX secolo, a favore di una lettura più concretamente legata alle caratteristiche peculiari dell’ambiente e ai modi secondo i quali è vissuto.
Facendo eco alla sua posizione critica, il filosofo benedettino p. Frédéric Debuyst ipotizza l’esistenza di un genius loci cristiano, che egli interpreta come sentimento cristiano di identità percepibile, o mistero del luogo, emergente in modo emblematico nello spazio ecclesiale capace di ospitalità liturgica e pertanto anche esteticamente qualificato. Nel centro di via Portuense il genius loci cristiano vive due dimensioni fondamentali. La prima riguarda la complessa articolazione del complesso attorno alla chiesa. Debuyst ci ricorda che la pluralità di spazi attorno al vano più importante della chiesa è fin dalla prima stagione paleocristiana uno dei fattori principali di un contesto di chiesa. La seconda e più incisiva qualità di genius loci cristiano è percepibile all’interno della chiesa, nello spazio che il recente adeguamento liturgico ha realizzato con grande efficacia sotto la direzione dell’architetto suor Michelangela Ballan.
Lo spazio è luminoso, le vetrate attraggono l’attenzione senza imporsi eccessivamente, anche per l’intelligente collocazione nelle parti alte della superficie muraria perimetrale, le nervature strutturali e gli elementi costruttivi, portanti e portati, rendono vibrante la pelle volumetrica dell’interno, dando efficace risalto alla compattezza della planimetria ellittica e del volume ben proporzionato in alzato. All’architetto progettista si chiedeva di perseguire tre principali obiettivi. Doveva innanzitutto dare evidenza ai diversi poli liturgici – dell’altare, dell’ambone, della sede e della custodia eucaristica – come poli principali del luogo, che dovevano essere visti anche nei momenti di affollamento per le celebrazioni liturgiche.
L’architetto doveva inoltre configurare due spazi assembleari, l’uno feriale per la comunità delle suore, di modeste dimensioni; l’altro, più grande del primo, per le celebrazioni più affollate e importanti. Si chiedeva infine al progettista di realizzare una buona acustica, un’equa distribuzione del calore, una illuminazione efficace ai fini della partecipazione liturgica. Si definivano in questo modo i termini generali di un adeguamento dove l’importanza del centro, cioè dell’altare, non doveva andare a discapito di una corretta e significativa articolazione, dei luoghi liturgici innanzitutto, ma anche degli spazi per gli ingressi – quello centrale e quelli laterali – e delle aree per la circolazione attorno allo spazio assembleare. Nella chiesa l’altare si erge su un vasto spazio presbiteriale, in asse con l’ingresso e affacciato sulle due assemblee, quella feriale e la maggiore; esso non ha collocazione perfettamente centrale nella pianta ellittica, ma è stato arretrato per consentire di posizionare nei due fuochi dell’ellisse l’ambone e la sede, anch’essi utilizzabili per le due assemblee. Mentre il lucernario e le vetrate perimetrali, facendo piovere luce dall’alto, accentuano la compattezza e la omogeneità dell’interno – attorno al centro simbolico dell’altare – il disegno ad intarsi del pavimento, con la figura dell’albero della vita, ne sottolinea l’ordinamento assiale. Lungo quest’ultimo si coglie con chiarezza la forza di perno visivo e simbolico dell’altare, interpretato qui anche come ‘frutto’ dell’albero della vita delineato nel pavimento.

 

Una accessibilità razionale e diretta alla chiesa e ai locali sottostanti Un forte controllo dei graduali passaggi di scala dall’altare Vista dell’altare
Vista dell’altare Vista dell’ambone Vista della sede

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