Il dialogo tra Committente e Artisti a TerniIl ruolo del vescovo

Il ruolo del vescovo

La costruzione della nuova chiesa di S. Maria della Pace e l’adeguamento della Cattedrale di Terni dimostrano come anche oggi sia possibile realizzare una committenza illuminata ed efficace. Con l’occasione della presentazione di questi lavori, nella città umbra si è svolto il convegno internazionale "Arte sacra: verso una nuova committenza". Ne riferisce il Rev. Prof. Carlo Chenis.

Il convegno svoltosi a Terni il 14 maggio 2003. Immagine a sinistra:
Rev. Prof. Carlo Chenis, Prof. Mariano Apa, Mons. Giancarlo Santi, Prof. Juan Plazaola. A destra: Don Fabio Leonardis, Don Giuseppe Billi, Prof. Edward Lucie-Smith, il Vescovo Mons. Vincenzo Paglia, Prof. Paolo Portoghesi (questi ultimi due anche nella foto in basso).

È opinione corrente che il connubio tra committenze illuminate e grandi artisti abbia generato nel corso dei secoli lo splendore di innumerevoli monumenti cristiani. Ci si interroga sull’attuale committenza ecclesiastica se abbia ancora il passato fulgore, o se la sua luce sia ormai fioca. Paolo VI, nel programmatico discorso del 7 maggio 1964, ebbe a
battersi il petto e a chiedere scusa per le improvvide committenze. Rivolgendosi agli artisti affermava: «Vi abbiamo fatto tribolare, perché vi abbiamo imposto come canone primo la imitazione […]. Vi abbiamo talvolta messo una cappa di piombo addosso […]. E poi vi abbiamo abbandonato anche noi. Non vi abbiamo spiegato le nostre cose […].
Non vi abbiamo avuti allievi, amici, conversatori; perciò voi non ci avete conosciuto. […] E noi abbiamo sentito allora l’insoddisfazione di questa espressione artistica. E vi abbiamo peggio trattati, siamo ricorsi ai surrogati, all’oleografia, all’opera d’arte di pochi pregi e di poca spesa, anche perché, a nostra discolpa, non avevamo mezzi di compiere cose grandi, cose belle, cose nuove, cose degne di essere ammirate; e siamo andati anche noi per vicoli traversi, dove l’arte e la bellezza e – ciò che è peggio per noi – il culto di Dio sono stati male serviti».
È difficile verificare gli effetti di questo confiteor ormai lontano un quarantennio. Tuttavia non si può negare che la disputa sulle chiese belle e sulle chiese brutte del periodo postconciliare sia ancora in auge. Gli esiti ritenuti infelici sono «colpa» delle committenze, o degli artisti? Rispondo alla domanda presentando un caso in cui committenza ed artisti hanno saputo generare e rigenerare spazi cultuali congrui alla missione della Chiesa. Non vorrei ovviamente che quanto citato sia l’eccezione a conferma della regola. Si tratta della nuova costruzione della chiesa di Santa Maria della Pace e dell’adeguamento della Cattedrale di Terni. Le due imprese, tuttora in fieri, documentano come diano esito soddisfacente le sinergie tra committenza, critici, artisti e architetti.

Il vescovo, Mons.Vincenzo Paglia, ha saputo in questi anni configurare una committenza capace di riunire il genio di artisti e di architetti molto diversi, con la valutazione di collaudati critici e la collaborazione dei responsabili diocesani. Terni è dunque una nicchia di committenza illuminata e di novatorio impegno artistico. Infatti, contrariamente all’abitudine imperante, la parte progettuale è concresciuta con quella artistica, così da creare un insieme idealmente organico. Posso testimoniare – in quanto partecipe di alcuni confronti durante la fase progettuale – come Mons. Paglia abbia di persona concertato le scelte iconografiche e accolto quelle spaziali, coinvolgendo poi sacerdoti e fedeli all’impresa costruttiva. Ne è derivata un’opera contestuale che tiene conto della liturgia, dell’ambiente, della storia, dell’attualità e, soprattutto, dei fedeli.
Per l’edificazione di Santa Maria della Pace, l’architetto Paolo Portoghesi ha condiviso le soluzioni pittoriche di Stefano Di Stasio. Oliviero Rainaldi si è confrontato con l’uno e con l’altro per scolpire altare, ambone, sede, battistero e riserva eucaristica. Mons. Vincenzo Paglia ha ispirato il ciclo iconografico di Di Stasio volendo ricucire l’attualità degli eventi
con la storia ternana. Per questo ha fatto rappresentare le storie francescane locali imperniate sulla «Regina Pacis». È altresì intervenuto nell’iconografia dei poli liturgici dando a tali monumenti scultorei, eseguiti con aggraziate evanescenze dal Rainaldi, una forte connotazione scritturistica. Portoghesi ha mostrato la qualità cultuale e sacrale dell’impianto stellare la cui articolazione concentra la partecipazione dei fedeli, creando, nel contempo, effetti luminosi e spaziali che inducono al raccoglimento religioso e alla celeste pregustazione. Per l’adeguamento della Cattedrale di Terni l’architetto Eugenio Abruzzini ha progettato il nuovo impianto presbiteriale in dialogo con le preesistenze volumetriche e in distinzione da esse attraverso un originale ordito pavimentale. Bruno Ceccobelli ha provocato fedeli e lontani con la soluzione iconografica dei tre portali, dove la simbologia biblica s’incarna nei significanti iconici della modernità e negli stilemi non convenzionali dell’artista. Paolo Borghi, in dialogo con il Vescovo, ha realizzato i poli liturgici con un movimentato sistema scultoreo di buon impatto spaziale e di coerente significato simbolico, anch’esso di impronta scritturistica. Il tutto è venuto sviluppandosi attraverso innumerevoli incontri capillari tra artisti, architetti, critici e responsabili diocesani.

Sede e altare, opera di Oliviero Rainaldi per la chiesa di S. Maria della Pace, progettata da Paolo Portoghesi.

Due convegni ed altre riunioni, a cui hanno partecipato esponenti di rilievo del mondo dei beni culturali, hanno documentato il legame tra l’impresa edificatoria e la mens della Chiesa. Non posso allora non sottolineare l’importanza dei due convegni che ho avuto l’occasione di moderare e di concludere, poiché relatori e pubblico hanno condiviso la ricerca
sullo spazio cultuale. Esperti di settore come aurizio Calvesi, Mariano Apa, Juan Plazaola, Edward Lucie-Smith, Tito Amodei, Giuseppe Billi, Vittorio Sozzi hanno svelato le dinamiche di una committenza idonea all’oggi della Chiesa e della cultura. Mons. Giancarlo Santi, direttore dell’Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici della CEI, ha inserito l’ar ticolata riflessione
nella diagnosi dell’attuale committenza ecclesiastica italiana, sottolineandone luce e ombre. La questione della committenza va dunque trattata e attuata con maggiore impegno per uscire dagli omissis – tante volte paventati – e per ricucire lo strappo con l’arte contemporanea. La committenza va intesa come momento propulsivo, capace di dare
forza all’impresa artistica attraverso l’ispirazione dei contenuti ed il coordinamento delle competenze.Va vissuta come momento relazionale, onde recuperare l’empatia estetica mediante il coinvolgimento emozionale. Va orientata in senso pastorale in quanto il manufatto diventa un bene se ottempera alle esigenze rituali, se è culturalmente fruibile, se vanta
una riconoscibile artisticità. La committenza si concretizza in strategie operative. Genera un’impresa in progress secondo dinamiche di inculturazione territoriale e di adeguamento liturgico, per cui interviene nel rispetto della memoria e
dell’attualità. Parte dal dettato della Sacrosanctum Concilium e del magistero postconciliare fondandosi su un’ecclesiologia di comunione aperta alle dinamihe sociali. Deve fare i conti con le forze operanti nel territorio, non avendo paura di confrontarsi conarchitetti ed artisti. Iscrive le proprie iniziative nel progetto di cultura e di evangelizzazione elaborato
dalla Chiesa italiana. Per ritemprare l’arte cultuale occorre uscire dal male oscuro della crisi, riaffermando la capacità di
creare eventi umanistici per il mondo contemporaneo. Bisogna perciò andare oltre l’uggioso vittimismo di retroguardia; è opportuno superare sterili discussioni narcisistiche; non è sufficiente accontentarsi di un elenco di auspici senza verificarne la fattibilità; è necessario sconvolgere l’apoteosi del virtuale offrendo alla collettività opere «concretamente» belle; è urgente superare la massificazione del gusto richiamando gli artisti nell’agone sociale; è importante uscire dalla prevaricazione commerciale a cagione della quale il merito artistico è imposto dal mercato; è, soprattutto, significativo ripresentare i paradigmi di un’estetica cristianamente ispirata, poiché foriera di nuovi fermenti creativi.
Mons. Paglia ha creato con gli architetti e con gli artisti che stanno lavorando in Terni un momento di Chiesa, arricchendo la cultura italiana con forme di bellezza autentica e con contenuti di condivisibile sacralità, così da illuminare le coscienze e pacificare gli animi. Il presule ha attuato anche sul fronte della committenza l’impegno del «duc in altum» (Lc 5,6)
auspicato da Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001). Ha per questo dato vita ad un’impresa di qualità capace di mostrare l’importanza del culto cristiano e l’effervescenza dell’arte contemporanea.
Tali considerazioni potrebbero sollevare la domanda sulla questione economica. Sono però convinto che quando si è geniali nel commissionare cose belle, lo si è anche nel recuperare le risorse, nell’attrarre gli sponsor, nel coinvolgere la collettività. Mi auguro che nel futuro diventi più facile trovare investimenti per cose belle che per cose mediocri, poiché la bellezza dell’arte contribuisce con la bellezza della santità a salvare il mondo (cfr. Lettera del Papa Giovanni Paolo
II agli Artisti, 4 aprile 1999, 16).

Rev. Prof. Carlo Chenis, SDB
Segretario della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa

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