Il chiarore e la gravità


ARCHITETTURA CHIESA DI ST. FRANÇOIS DEMOLITOR A PARIGI (FRANCIA)

Progettato da Jean-Marie Duthilleul, di Arep Architects, l’edificio si presenta in una forma che a tutta
prima appare tanto semplice da essere disarmante. Ma nella semplicità della trama ortogonale nascono dinamiche totalmente nuove che si risolvono in un’aula organizzata secondo l‘idea del “communio raum”.

Una facciata di non grande impatto: allineata con gli edifici vicini lungo la Rue Molitor, nel XVI arrondissement di Parigi, non lontano dal noto stadio sportivo Roland Garros. Realizzata in sostituzione di una preesistente chiesa francescana, la semplicità dei prospetti esterni (pareti diritte e ortogonali, ritmate dalla trama strutturale) è intesa a presentare linee di netta modernità, coerenti con gli altri edifici. Ma le pareti in marmo chiaro, in parte traslucido, danno il senso della preziosità: nella notte la chiesa diventa luogo di splendore e orienta su di sé quanto l’attornia.
E il campanile che regge alta la croce, pur nella proporzionalità che lo rinserra nella trama strutturale dell’edificio, risalta come un chiaro segnale. Il portale, pur non discostandosi dalla coerenza dell’insieme, è tanto grande da esprimere l’accoglienza benevolente della Chiesa. Tre monumentali porte di legno, di poco arretrate rispetto
al limite esterno (così da suggerire l’immagine di un nartece) assicurano austerità e riservatezza, protezione e liminalità, e riaffermano il carattere sacrale del luogo.

All’interno, la trasparenza già annunciata fuori dal marmo traslucido, diventa momento espressivo: la parete dirimpetto all’entrata, totalmente in vetro leggermente opalino,
affaccia sul parco: l’insieme naturale di arbusti e alberi, fiori ed erba traspare come attraverso la nebbiolina della prima mattina, in tal modo evocando l’idea di una continua rinascita, mentre la luminosità della scena esterna non è mai tale da sovrimporsi a quanto avviene dentro la chiesa. Una croce dorata – due spogli assi ortogonali – si stacca dalla
parete di fondo e demarca il carattere dell’ambiente interno, creando il momento di passaggio e distinzione, di collegamento e separazione rispetto al parco. La chiesa sta tra la porta di ingresso e la parete di fondo, tra il
battistero (prossimo alla porta) e la croce (accanto alla vetrata), che sono i poli tra i quali si tende l’asse centrale: è questo che ne impernia lo spazio. E in mezzo a questo sta l’altare: un cubo marmoreo su una pedana quadrata.
L‘ambone è anch’esso un elemento marmoreo di fattura simile all’altare: ma stretto e alto, posto nell’asse centrale vicino alla croce dorata.

La facciata in marmo traslucido. Pagina a lato,
interno della chiesa impostata su una pianta
ellittica, con l’altare al centro tra i due fuochi della
figura geometrica. (Foto di Didier Boy de la Tour)

Lungo la linea retta che attraversa longitudinalmente la chiesa, la presenza dell’altare risalta nella sua forte staticità, come elemento gravitazionale e generativo, come polo che magnetizza tutto l’intorno. Sia il disegno tracciato sulla pavimentazione, sia la disposizione delle panche, sia le pareti laterali si dispongono secondo linee di ellissi allungate i cui poli sono posti sull’asse mediano. In tal modo la configurazione geometrica dello spazio è ellittica, ma l’altare non è uno dei due fuochi generatori di questa, bensì è l’unico centro dell’ambiente: come se appartenesse a un’altra dimensione, per quanto attorno a questo tutto il resto sembri levitare nel chiarore diffuso. Per forma, materia e collocazione l’altare è la chiesa, è il punto fermo, è l’elemento di concretezza e solidità, l’affermazione perentoria di assoluta gravità, a fronte del quale tutto il resto appare secondario e al tempo stesso dipendente e vincolato.
L’esistenza di tale vincolo acquista tanto maggior rilevanza, dal momento che tutta l’organizzazione spaziale presuppone i due fuochi dell’ellisse che non compaiono visivamente: è come se fossero stati addensati da una forza
superiore nell’unica centralità dell’altare. L’architettura attende la presenza della comunità, in assenza della quale l’altare resta come monito di inusitata potenza.

(L.S.)

 

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