Il caso della Cattedrale di Noto


TESTIMONIANZE SPECIALE TERREMOTO IL CASO DELLA CATTEDRALE DI NOTO

Le condizioni in cui si ridusse la basilica siciliana erano simili a quelle degli edifici danneggiati dal sisma d’Abruzzo, e le tecniche utilizzate sono un patrimonio oggi riutilizzabile: come riferisce l’Arch. Salvatore Tringali, quel cantiere fu una scuola in cui si acquisì sul campo un know-how che unisce tecnologie nuove e antiche.

Le immagini delle chiese abbattute dal terremoto in Abruzzo, ricordano quelle della Cattedrale di Noto, dopo il crollo del 1996. Ce ne parla l’Arch. Salvatore Tringali che ne ha curato, con l’Ing. Roberto De Benedictis, la ricostruzione.

Come accadde il crollo a Noto?

Con il sisma del 1990 la struttura restò lievemente danneggiata. A distanza di sei anni uno dei pilastri della navata destra rovinò al suolo causando un effetto a catena: caddero tutta la navata destra, la navata centrale, il transetto destro, la cupola e la lanterna; un’area di crollo di 1000 metri quadrati.

E dall’esperienza di Noto si possono trarre indicazioni attinenti anche a quanto è accaduto in Abruzzo?
Certamente. Gli effetti di questi eventi presentano molte similitudini. A causa delle scosse sismiche può accadere che si perda il collegamento tra gli elementi verticali e gli orizzontamenti: cedono così gli elementi più vulnerabili: le volte, gli archi, le cupole e le coperture. Nella Cattedrale di Noto, in particolare, abbiamo scoperto un difetto strutturale originario, che ha costituito la causa lontana del disastro: i pilastri erano costruiti male e riempiti con grossi ciottoli tondeggianti, per questo esplosero sei anni dopo il sisma del 1990. Infatti gli effetti distruttivi degli eventi sismici si accumulano nel tempo: con le scosse si verificano micro lesioni nei materiali e leggeri distacchi, i quali costituiscono
dei segnali di sofferenza delle strutture. Attraverso le lesioni possono insinuarsi infiltrazioni che hanno un effetto di lunga durata, con la conseguente perdita delle capacità di resistenza dei materiali. Per questo può avvenire, come a Noto, che si verifichino crolli anche a distanza di anni.

Può riassumere quali elementi entrano in gioco determinando i danni nelle strutture storiche?
L’intensità del sisma, il tipo di movimenti che questo imprime al terreno (sussultorio o ondulatorio), la distanza
dell’organismo murario dall’epicentro, la qualità costruttiva della fabbrica e del sedime su cui essa poggia.
Tutto questo assieme interagisce con la struttura, provocando conseguenze che variano a seconda della tipologia e della consistenza della stessa.
Un edificio in cemento armato ha un comportamento diverso da quello di una struttura storica in muratura.
Ogni tipologia costruttiva risponde in modo differenziato agli eventi sismici: ma, in ogni caso, è di fondamentale
importanza la qualità costruttiva e materica del manufatto, a prescindere dalla sua anzianità. Non è detto che una chiesa quattrocentesca in pietra o in muratura non possa resistere ad eventi sismici che causano forti danni in strutture più recenti. Gli edifici in muratura sono caratterizzati da un insieme di giunti che si configurano come micro cerniere.
Per meglio dire: ogni singolo concio di colonna, pilastro, contrafforte, muro portante può subire un determinato
spostamento a causa dell’energia sismica.
Tutti questi movimenti infinitesimi frazionano e assorbono progressivamente l’energia sismica. Il crollo avviene là dove la somma di questi spostamenti provoca la rottura di un importante elemento strutturale: per esempio, là dove un arco si apre.

Arch. Rosanna La Rosa,
Arch. Salvatore Tringali
La Cattedrale di Noto dopo il crollo del 1996: tutta la navata destra è stata abbattuta e la cupola è rimasta gravemente danneggiata. Pagina a lato, dall’alto: la copertura della Cattedrale dopo la ricostruzione; un momento del rifacimento delle volte.

Da secoli si usano sistemi preventivi, quali le catene….
Infatti. Nella ricostruzione della Cattedrale di Noto siamo ricorsi a questi presidi ormai storicizzati. Per evitare di introdurre elementi incoerenti con le parti restanti dell’edificio (circa il 30%: il crollo ha infatti interessato quasi il 70% della struttura), abbiamo studiato con attenzione i materiali e le tecniche costruttive dell’epoca e recuperato sia gli uni, sia le altre, coniugandoli con le più avanzate tecnologie nel campo del restauro, del recupero e del miglioramento sismico. Abbiamo fatto riaprire le cave da cui provenivano le pietre, così da ricostruire le parti crollate della fabbrica, un volume di 25.000 mc., con il materiale originario e abbiamo utilizzato catene e cordoli in muratura armata alla Giuffrè
per rendere più sicure le strutture in caso di sisma.

Avete usato elementi di recupero?
Solo per le parti decorative, non per quelle strutturali: infatti i conci dei pilastri risultavano fortemente danneggiati dal crollo ed è stato preferibile sostituirli con pietre integre appositamente cavate. Abbiamo anche studiato in laboratorio e realizzato la malta di calce più idonea al tipo di materiale impiegato.
Essa costituisce infatti un elemento fondamentale nella costruzione: il legante tra gli elementi murari.
Questa è stata analizzata con il supporto dei laboratori del Politecnico di Milano e le prescrizioni per riprodurla con le medesime caratteristiche sono state non solo seguite scrupolosamente, ma sottoposte a continua sorveglianza e controllo in cantiere, così da garantire che nel corso delle varie fasi della ricostruzione la qualità del materiale non cambiasse. Lo stesso è stato fatto con ogni altro elemento, quali le pietre.
Solo continui controlli possono infatti garantire che non si verifichino variazioni nella composizione, e quindi nelle prestazioni dei materiali.< /p>

Lo stesso vale per le tecniche costruttive?
Abbiamo recuperato le tecniche antiche sui manuali dell’epoca reperiti in archivio (nel ‘700 ogni zona aveva tipologia costruttiva e manuali propri) e le abbiamo applicate anche attraverso momenti di formazione in cantiere per insegnare alle maestranze come erigere muri ed edificare volte seguendo le metodiche originarie e mettendo a punto un vero e
proprio protocollo procedurale. Inoltre abbiamo sottoposto a continui controlli le fasi ricostruttive, acquisendo sul campo un know-how che mettiamo a disposizione per eventuali altri interventi. Ma non è stata semplicemente una riproposizione dell’antico: come ha sancito il compianto direttore dell’Istituto Centrale di Restauro, Prof. Michele Cordaro, si è trattato di una “ricostruzione migliorativa”.

Che cosa vuol dire?
Si è superato il concetto di pura conservazione; partendo dall’analisi critica di ciò che non era crollato, sono state individuate quelle qualità che potessero consentire alla Chiesa di resistere a terremoti di notevole entità esi sono apportate le necessarie correzioni ai difetti riscontrati.
È stato compiuto quindi un percorso a ritroso verso la riappropriazione di tecniche e materiali, che nel ‘700 erano parte del sapere di ogni architetto e di ogni capomastro, ma che oggi sono andate in parte perdute o dimenticate.
La ricostruzione della Cattedrale di Noto ha segnato la riapertura di un cantiere settecentesco nel quale materiali millenari, come la pietra calcarea, si sono coniugati con altri più moderni e innovativi, quali le fibre di carbonio, e dove le antiche tecniche sono state supportate dalle tecnologie più avanzate, come quella utilizzata per sostituire, nella navata sinistra, i pilastri non crollati.
La sommatoria di tali principi costituisce il nuovo concetto di “restauro migliorativo” applicato per la prima volta nella ricostruzione della Cattedrale di Noto, che oggi costituisce un esempio unico di ricostruzione di un monumento interamente in muratura in zona sismica.
Per esempio nel ricostruire i pilastri abbiamo realizzato la struttura esterna di questi con pietre squadrate, perfettamente ammorsate con dei ricorsi, cioè con elementi trasversali che collegano le pareti esterne degli stessi, e riempito i vuoti interni con materiale informe della stessa natura, perfettamente costipato ed ingranato.
Abbiamo posto catene tra gli archi e le pareti opposte, cordoli di muratura armata a coronamento delle murature e cerchiature alla base e a due terzi dell’altezza della cupola, sono questi infatti i punti critici per la solidità strutturale. Per cerchiare archi, cupolini, cupola, e lanterna, abbiamo utilizzato le fibre di carbonio, ausilii tecnologicamente avanzati, leggeri e sottili ma al tempo stesso altamente resistenti, non soggetti ad alterazione nel tempo, che si
celano facilmente sotto gli intonaci, assicurando una resistenza strutturale notevole in caso di sisma.

(L.S.)

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