I tessutiDal mosaico bizantino ai galloni

Dal mosaico bizantino ai galloni

Il ricamo evolve nel tempo fino a presentarsi in epoca rinascimentale come ricamo pittorico. È in questa epoca che maturano ricamatori i cui nomi sono ancora noti grazie alla perfezione delle loro opere. Quel che costituirà un grave pregiudizio per il ricamo, è l’introduzione di elementi che portano all’eccesso l’effetto decorativo, quali le pietre, i lustrini e i galloni ricamati.
Francesco Solivari

La storia del ricamo ripercorre molto da vicino gli stili dominanti nella pittura e in generale nell’ornamentazione delle varie epoche. La dalmatica di Carlo Magno del secolo XV ricorda molto da vicino lo stile dei mosaici bizantini. Il mantello per l’incoronazione dei re ungheresi, che reca l’indicazione dell’anno 1031, originariamente era una pianeta a campana (oggi si trova a Budapest) il cui ricamo sembra essere tedesco ma di chiare origini bizantine. Tipico della Sassonia è il ricamo a punto catenella decorato con scene della vita di Cristo. I ricami con fili dorati venivano eseguiti con la stessa tecnica di quelli con fili di seta a diversi colori; a volte, come nei tessuti, i fili dorati e quelli di seta erano mescolati. Così i ricami imitarono a volte i tessuti e si ebbero le cosiddette “stoffe rotate”, come il piviale di papa Bonifacio VIII, dove aquile, grifoni e altri uccelli sistemati in composizioni araldiche sono inscritti entro orbicoli. Sembra che nel secolo XIII il ricamo con fili dorati si sia diffuso in tutta Europa: lo testimoniano dalmatiche, sandali e le calze da pontificale degli arcivescovi. L’Opus Anglicanum era così pregiato che Tommaso Paleologo donò a Pio II un piviale eseguito con questa tecnica. Il ricamo a punto di pittura (punto sfumato) spesso con fili di seta e dorati su stoffa di lino molto grossa, raggiunse già nel XIII secolo una particolare perfezione, come si può constatare dell’antependio del Duomo di Mamberga. I ricami gotici, eseguiti con filo bianco su stoffe di lino bianco, mostrano tutta la perfezione raggiunta dall’arte del ricamo. I “veli della fame”, tovaglie che si usavano nelle chiese della Bassa Sassonia per ricoprire l’altare durante le funzioni, sono da considerarsi come espressione tipicamente popolare di questo genere di ricamo. Intorno al 1300 si cercò di raggiungere, nel ricamo, un raffinamento dei mezzi espressivi con scene iconografiche: è questo l’inizio di un ricco stile pittorico. Molto importanti e ricercati in tutta l’Europa sono i piviali eseguiti nel cosiddetto Opus Anglicanum databili tra la metà del XIII e la metà del XIV secolo.

Piviale “Opus Anglicanum” del secolo XIV. Museo di Londra. Piviale di Pio II, “Opus Anglicanum”, Museo di Pienza, sec. XIV. Ricamo a trapunta, Sicilia, sec. XVI. Museo di Londra.

Uno dei più belli è il piviale proveniente dal convento di Syin presso Londra, la cui superficie è elegantemente suddivisa in quattro lobi; in ciascuno dei campi è rappresentata una scena della vita di Cristo e Maria , con tale ricchezza di colori da richiamare le vetrate gotiche. Il ricamo che era stato prevalentemente coltivato nei conventi e alle corti dei principi, nel secolo XIV ebbe nelle città le sue fiorenti corporazioni. Si conoscono i nomi di alcuni ricamatori: Seidlin di Pettau, che ricamò un piviale oggi custodito nel Duomo di Salisburgo; Jacopo Campi, che eseguì a Firenze nel 1336 un ricamo raffigurante l’Incoronazione di Maria tra Santi. Su un velo d’altare nella cattedrale di Manresa in Spagna, si legge l’iscrizione: “Gei Lapi rachamatore me fecin in Florentia”. Ma i più raffinati risultati ottenuti dal ricamo trattato secondo la tecnica pittorica sono quelli raggiunti nel ricamo borgognone, ossia trasparente, diffusosi parallelamente alla introduzione vaneychiana delle velature nella pittura a tempera: nel ricamo un effetto analogo si ottiene con la sovrapposizione di molti sottili strati di fili di seta, in modo che i singoli strati traspaiono gli uni sugli altri. I paramenti da messa borgognoni conservati nel museo di Vienna recano i più importanti ricami eseguiti con questa tecnica; i ricamatori usavano più di venti tonalità di sete. Il ricamo in rilievo, talora assai accentuato, è ottenuto mediante l’introduzione di stoffa, panno, pergamena o legno. L’arricchimento del ricamo con pietre e lustrini il cui scopo è di accrescere lo scintillio del tessuto, portò ben presto all’uso esagerato dei mezzi decorativi e a un gusto di sfarzo esuberante, fenomeno attribuito all’influenza bizantina. Nei galloni, tessuti oppure ricamati, i motivi erano molto semplici: piante in fiore, simboli tratti dalla tradizione popolare e cristiana; frequenti furono le raffigurazioni di santi. La produzione dei galloni ricamati e il gusto delle applicazioni, sempre più frequente nella pittura ad ago tardo gotica, portarono a una graduale decadenza del tipo di ricamo pittorico.
Francesco Solivari (IV – continua)

Gruppo Valerio Maioli – impianti, servizi, tecnologie
Quando un cuore digitale fa pregare la luce
“La tecnologia e i suoi ritrovati sempre più complessi vengono spesso intesi come qualcosa di estraneo alla sensibilità artistica, per non dire della Chiesa, coi suoi tempi lunghi, la sua tendenza contemplativa, la pacatezza della meditazione. Quando ho conosciuto Valerio Maioli ho capito che invece tecnologia e Chiesa potevano benissimo andare assieme. Che anche una strumentazione elettronica può essere progettata da chi ha cuore, per far pregare la luce”.
Arch. Giuseppe Maria Jonghi Lavarini Direttore, CHIESA OGGI architettura e comunicazione

Illuminare una chiesa, come anche un’opera d’arte o un monumento, non è un mero fatto tecnico: richiede sensibilità e intelligenza, la capacità di rispettare l’oggetto che si illumina. Così si potrebbe riassumere la lezione di Valerio Maioli, artefice di impianti di illuminazione in alcune delle più importanti basiliche italiane, quali S.Vitale, S. Apollinare in Classe a Ravenna, S. Gaudenzio a Novara, il Tempio Malatestiano di Rimini, il Duomo di Salerno, il Duomo di Amalfi, il Duomo di Ravello, e tante altre chiese per non parlare dei monumenti, delle aree urbane di rilevanza architettonica, di edifici storici…
Valerio Maioli, come mai si è dedicato all’illuminazione delle chiese?
È un interesse sorto nei primi anni Novanta. Già da una trentina di anni ci occupavamo di illuminare edifici pubblici e opere d’arte. L’occasione ci è stata offerta dalla Curia di Ravenna: da allora abbiamo creato l’illuminazione per diverse importanti chiese in tutta Italia.
È ben diverso illuminare edifici pubblici o illuminare opere d’arte o una chiesa…
Totalmente diverso. Troppo spesso in Italia si crea confusione. Sono pochi nel nostro paese gli impianti di illuminazione progettati e realizzati con la attenzione necessaria per una corretta valorizzazione dei beni artistici o monumentali, per non parlare della chiese. Spesso si trovano progettisti che presentano relazioni e rendering che sono il frutto di un atteggiamento superficiale; spesso il progettista vuole interpretare e riadattare il bene oggetto dell’intervento. Ma questo è un errore grossolano, figlio di improvvisazione e di una cultura del recupero e della conservazione arrogante. Il bene architettonico, e tanto più se è una chiesa, deve essere valorizzato dalla luce artificiale, non trasformato. Non modificato, cambiato o arricchito di forme che non sono presenti quando è illuminato dalla luce naturale. I beni di pregio artistico e architettonico o ambientale devono poter risplendere sotto l’effetto della luce naturale, così come sono stati concepiti. Bisogna, insomma seguire il percorso della luce naturale senza modificare l’immagine del bene illuminato.

Uno degli elementi del sistema integrato Digilux VM 3000 elaborato da Valerio Maioli. Il sistema consente di controllare e gestire tutte le fonti di luce come anche sistemi di allarme e di amplificazione sonora. Amalfi, il Duomo. Vista verso l’abside.

È quello che avete fatto per la basilica di San Vitale a Ravenna…
Effettivamente. Abbiamo sviluppato un sistema integrato, chiamato Digilux VM 3000, che consente di illuminare l’interno della basilica seguendo lo stesso percorso del sole.Vi è inoltre una scelta di illuminazioni adatte alle celebrazioni o alla visita artistica.
Un sistema di illuminazione coerente con lo svolgimento della liturgia?
Esatto. Un sistema integrato che controlla così l’accensione e l’intensità dell’illuminazione artificiale come l’apertura e la chiusura delle finestre.
Un sistema automatico?
Può essere sia automatico sia manuale. In questo modo lo svolgimento della liturgia viene sottolineato, discretamente ma efficacemente dalla luce. La discrezione è fondamentale perché la luce deve permettere di mostrare, di esporre in evidenza, ma non deve soverchiare, non deve snaturare, non deve irrompere nella funzione liturgica. Vengono sottolineati i momenti culmine: lettura del vangelo, elevazione del calice…
Il risultato?
Cito il Parroco di Amalfi che, trovando importante l’uso di queste strumentazioni, ha deciso di iniziare diverse celebrazioni serali con la liturgia della luce: prima si accendono le candele, poi la luce sul crocifisso, poi l’altare, quindi tutta l’abside e pian piano tutto il resto. La luce è come la musica, va usata con dolcezza.
Questo vale anche per il colore…
Ovviamente. Si devono rendere al meglio i colori naturali. La naturalezza dei colori è indispensabile per una corretta lettura dei beni architettonici e dei loro spazi. Si possono utilizzare le lampade CDM, che hanno un ottimo indice di resa cromatica, un buon rendimento, oltreché una temperatura di colore di 3000°K, particolarmente adatta alle nostre condizioni e ai materiali lapidei dei nostri beni. Ci sono anche le lampade a incandescenza, che sono le migliori per l’illuminazione di beni dal valore artistico. Non ha senso il risparmio energetico nell’illuminare i beni di carattere artistico. Le lampade a vapori di sodio con la loro luce gialla appiattiscono tutto, facendo virare i colori al punto che il verde di un prato sembra color bronzo scuro. Lo stesso dicasi per le lampade agli ioduri metallici, che hanno un basso indice di resa cromatica ed emettono luce bianca con tonalità diverse. I risparmi alla fine sono minimi, sui 500 euro all’anno per un monumento significativo. In cambio però l’immagine di quell’oggetto è totalmente falsata. Direi che si finisce per perdere qualcosa di prezioso. Ci vuole grande sensibilità. Soprattutto per illuminare un bene di valore fondamentale per la comunità, come la chiesa.

Ravenna, navata della Basilica di S. Apollinare Ravenna, la cupola di San Vitale

CBM
Il restauro del Coro ligneo della Chiesa di Santa Maria del Porto a Ravenna
Il coro ligneo del XVI secolo, ospitato nella grande abside della chiesa, è un capolavoro dell’intagliatore francese Mastro Marino. Si tratta di un complesso di 75 stalli, diviso in due piani. L’ordine superiore è più ricco: ogni stallo poggia su un piano con due zampe di leone le quali formano, ornate di intagli di acanto, le mensole del sedile. Gli stalli dell’ordine superiore presentano una decorazione sui braccioli a foglia di acanto con impresso un mascheroncino, mentre nel postergale sono incise le prospettive di tempietti nei quali si apre una nicchia che ospitava una statuetta. Ai lati vi sono delle cariatidi, dove si alternano erme femminili ed erme maschili. Al di sopra dei finti tempietti, una zona d’intaglio a meandri e a girali, con teste di leoni al centro, sormontata da una cornice a trabeazione classica e, su questa, cuspidi, foglie, maschere. Bellissimo lo stallo di centro del coro, destinato al
l’Abate che raffigura in basso un interno in cui avviene il bacio di Giuda al momento della cattura di Gesù. La scena è popolata a sinistra da tre Apostoli mentre a destra troviamo un popolano rappresentato di schiena in mezzo a due soldati romani. Il postergale ha lo spazio diviso in due scene: la superiore presenta due profeti in atteggiamento estatico, individuabili forse in Mosè e Davide e sotto il sepolcro scoperchiato con due soldati armati e addormentati.All’Abate e ai Padri più anziani sono riservati i “sedili della misericordia” che consistono in una piccola mensola collocata sul retro dei sedili mobili che potevano essere utilizzati durante la recita dei salmi, i quali vanno solitamente recitati in piedi o, per chi poteva usufruire di questo vantaggio, parzialmente seduti.
Operazioni di restauro eseguite in loco:
– Pulitura delle superfici mediante appositi materiali ecologici.
– Sverniciatura mediante l’uso di decapant steso a pennello e rimosso in tempi operativi di volta in volta valutati in rapporto alla consistenza della vernice.
– Verifica e consolidamento strutturale con ricomposizione e assemblaggio delle parti distaccate; inserimento ove necessario di tasselli della medesima essenza legnosa.
– Rifacimento di cornici, fregi e lavori d’intaglio ove necessari.
– Revisione dei sistemi d’incastro e fissaggio.
– Trattamento antitarlo e antiparassitario mediante impregnazioni con prodotto specifico non tossico.
– Stuccatura delle piccole mancanze.
– Riequilibrio cromatico delle superfici.
– Trattamento con gommalacca e rifinitura con prodotto a base di cera d’api.
CBM Snc, Asolo (TV) Tel./Fax 0423 950297

Coro ligneo di S. Maria del Porto:
particolare

Coro ligneo di S. Maria del Porto:
vista complessiva

TECE Italia
Il sistema ideale per riscaldare le chiese

Gli impianti di riscaldamento che sfruttano l’irraggiamento come propagazione del calore sono ormai utilizzati nelle più svariate applicazioni, che vanno dalla semplice abitazione alle chiese, agli impianti sportivi. I vantaggi che offrono questi impianti vanno dal benessere termico alla migliore qualità dell’aria, ai bassi costi di gestione e al notevole risparmio energetico.
I bassi costi di gestione sono dovuti al fatto che non si ha alcun bisogno di manutenzione se non quella prevista dalla normativa vigente sulla pulizia della caldaia e sul controllo dei fumi. Il risparmio energetico, che può arrivare anche al 30%, è dovuto al fatto che con un impianto di riscaldamento a pavimento non si disperde il calore in tutto il volume dell’ambiente, ma si riscalda principalmente fino a un’altezza di 2,50 m, ovvero l’area dove sostano le persone. Questo è un vantaggio molto importante quando si tratta di riscaldare locali alti come le chiese. Se la produzione di calore è affidata a una caldaia a condensazione il risparmio energetico può arrivare al 40-50%.
Un aspetto che merita molta attenzione è la qualità dei materiali utilizzati per questi impianti. La TECE Italia, con il sistema TC 2000, utilizza come pannello isolante un polistrene ad alta densità (35 Kg/mc), che garantisce una durata sicuramente maggiore rispetto ai pannelli che hanno densità di 25-30 Kg/mc. Il tubo che viene utilizzato per trasportare il fluido termovettore è un Politilene Reticolato elettronicamente (PEX-c) che garantisce la sua durata oltre 50 anni senza che la sua consistenza molecolare perda le caratteristiche di resistenza a temperature che possono raggiungere i 95° C. Il collettore di distribuzione, completo di misuratori di portata, valvole termostatizzabili, valvole di sfiato e riempimento, è addirittura in acciaio inox, corredato di armadietto metallico per il contenimento.

Chiesa di San Giuliano a Cologno Monzese (MI).
In tutta Italia si trovano chiese con impianti TECE.

 

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