Giuseppe Arcidiacono




La catena appenninica, che attraversa la penisola italiana, ha determinato un carattere strutturale del nostro paesaggio, costituito dallo stretto rapporto tra la costa e l’entroterra montuoso.
La Calabria porge un’immagine emblematica di questo straordinario, ma difficile connubio morfologico, poiché si configura come un lunghissimo altopiano che si affaccia direttamente sul mare. L’immagine della Calabria si offre in questo modo come sfondo ideale della civiltà di quell’uomo ‘mediterraneo’ che Braudel ha efficacemente definito come un montanaro con i piedi nell’acqua. ‘La montagna è proprio questo: una fabbrica di uomini al servizio altrui; la sua vita’ – scrive Braudel – ‘nutre la storia tutta del mare. Forse, l’ha fatta essa stessa, tale storia, ai suoi inizi; perché la vita montanara sembra sia stata la prima vita del Mediterraneo (…). Le cause? Senza dubbio la varietà delle risorse montane; ma anche il primitivo dominio in pianura delle acque stagnanti e della malaria; oppure il vagare incerto in quelle zone delle acque dei fiumi’.1
Non è dunque casuale, in Calabria, il suddividersi dei centri abitati in due nuclei principali: uno a monte, e più antico, che costituisce ‘il centro’; l’altro sulla costa, e per così dire moderno, che ne costituisce ‘la marina’; ai quali può aggiungersi, se la distanza fra i nuclei cresce di alcuni chilometri, un terzo insediamento che è ‘lo scalo’, di servizio alla linea ferrata e (per storica conseguenza) di appoggio alle strade statali.2
Questa struttura dei centri calabresi, in nuclei di montagna e di costa, esprime attraverso l’architettura della città il carattere del paesaggio: segnato dai torrenti che si precipitano dal monte verso il mare; dei quali i nuclei abitativi costituiscono una metafora costruita di capisaldi o picchetti alle sorgenti ed alle foci. Ne discende che per secoli
si è sviluppata in Calabria una civiltà dell’abitare connessa alla presenza di tali torrenti: dato che le città, e le loro differenti parti, hanno imparato a convivere con questi tracciati d’acqua, ed hanno utilizzato i letti in secca come percorsi per organizzare il territorio.
Questo singolare rapporto di equilibrio e controllo reciproco tra le ragioni del luogo e quelle dell’insediamento umano – tra natura e cultura – è stato distorto dalla pressione della civiltà industriale: che ha imprigionato o ‘tombato’ i torrenti entro gabbie di acciaio e cemento, senza prevedere e rispettarne il naturale regime di secca e di piena; che ha inquinato e occluso i letti dei torrenti trasformandoli in discariche a cielo aperto. Il degradarsi del secolare rapporto che univa le strutture urbane ai corsi d’acqua risulta più evidente e grave nei centri maggiori, come Cosenza o Reggio Calabria; tuttavia la dimensione metropolitana può offrire anche maggiori opportunità per il recupero di ambienti naturali, riconosciuti come una preziosa risorsa soprattutto in quei luoghi dove ha prevalso il paesaggio artificiale e costruito.
All’interno della complessa dialettica fra città e campagna, dobbiamo sforzarci di ribaltare le logiche perverse dell’urbanistica contemporanea: la città con le sue disordinate periferie ha invaso il paesaggio come un Attila che ‘consuma’ i luoghi, e li ricopre al suo passaggio di spazzatura architettonica e moderne rovine. Da questa rovina dobbiamo partire; possiamo ribaltare l’espansione urbana in inclusione della campagna dentro la città: allo stesso modo che nei Fori e nelle ville romane del Settecento la natura si riappropriava del suo spazio tra i monumenti e le case. Questo esempio non vuole riproporre la poetica del pittoresco, né la Garden City; ma vuole sottolineare come intere
parti urbane ‘di margine’ (siano periferie o anche zone centrali) possono diventare luoghi rappresentativi della dialettica tra Artificio e Natura (si pensi ad es. al Freeway Park di Seattle) e offrire una riflessione sul paesaggio nella città contemporanea. Infatti, come ha sottolineato Laura Thermes – da tempo impegnata in studi e progetti volti al restauro
del paesaggio calabrese – il concetto di paesaggio quale ‘risorsa culturale’3 trasforma profondamente e delinea in una luce nuova il tema della fiumara in Calabria come ‘luogo culturale’, indipendentemente dal fatto che essa si trovi ancora immersa in un ambito naturalistico o risulti assorbita dentro contesti urbani.

1. Reggio Calabria 1844: il torrente Annunziata, a nord, e il Calopinace, a sud,
costituiscono gli elementi di misura della città

2. Reggio Calabria 1970: i torrenti strutturano l’espansione urbana, a nord con le sedi
universitarie sull’Annunziata, e a sud con l’asse amministrativo sul Calopinace

6. La maglia di corti
8. I gradoni

I torrenti e la misura della città
Recenti alluvioni hanno evidenziato il dissesto idrogeologico al nord come nel sud d’Italia: non si tratta – come scrivono i giornali – di ‘imprevedibili calamità’, ma della rottura di un secolare equilibrio che i tecnici, le amministrazioni, e le stesse popolazioni hanno trascurato per rincorrere una provinciale Modernità. Dobbiamo abbandonare questa pericolosa e ridicola amnesia della Tradizione, per riconquistare un paesaggio urbano segnato e vivificato dai tracciati d’acqua; ma
dobbiamo anche riconoscere che sarà possibile recuperare i valori perduti, solo introducendo nuovi significati funzionali e simbolici al ruolo dei torrenti nelle città. Per ristabilire un rapporto tra i centri calabresi ed i loro segni d’acqua non possiamo meccanicamente
riprodurre le funzioni, o peggio folcloristicamente le forme, di un ambiente rurale ormai scomparso; ma dobbiamo individuare per questi tracciati d’acqua ruoli adeguati alla vita contemporanea, che consentano loro di tornare ad essere elementi della forma e dello sviluppo della città.
L’esempio di Reggio Calabria è particolarmente interessante: dopo il terremoto del 1783, il Piano Mori, di ispirazione illuminista, utilizza i torrenti come elementi di misura della città. Il torrente Annunziata e il torrente Calopinace definiscono, rispettivamente a nord e a sud, i margini trasversali della nuova organizzazione urbana: che si sviluppa su
una scacchiera longitudinale, strutturata dal Corso e da percorsi paralleli alla costa (fig. 1).
Questo modello urbano viene confermato durante l’Ottocento: parallele al Corso, verso il mare si dispongono la via marina e la strada ferrata. Quest’ultima, in particolare, trova i suoi capisaldi, a sud, nella stazione e nel torrente Calopinace che delimita il recinto ferroviario; mentre, a nord, l’altro caposaldo è costituito dall’approdo per i ferry- boats, realizzato oltre il torrente Annunziata.
Dopo il terremoto del 1908, il Piano De Nava ripropone il modello ottocentesco, sottolineando la rotazione dei tessuti urbani di espansione lungo il porto e intorno al torrente Annunziata; ma sostanzialmente fino agli anni settanta la città si consolida e si struttura su assi longitudinali: la ferrovia, il lungomare-parco lineare, il Corso, la recente autostrada.
È con il Piano Regolatore del 1968/70, progettato da Ludovico Quaroni e Antonio Quistelli, che i torrenti assumono nell’organizzazione urbana di Reggio un nuovo ruolo: diventano gli assi trasversali della ristrutturazione e gli elementi misuratori dell’espansione urbana.
Al modello ottocentesco, basato su assi longitudinali paralleli alla costa, Quaroni e Quistelli contrappongono il modello delle fiumare, come sistemi trasversali lungo i quali raccogliere le nuove strutture della città contemporanea: sul torrente Calopinace si colloca l’asse amministrativo della città; più a sud, il torrente S. Agata struttura la zona industriale; mentre a nord lo ‘storico’ torrente Annunziata accoglie attrezzature culturali, poi universitarie (fig. 2).

3. Piano Particolareggiato 1989: il torrente Annunziata è l’asse attrezzato tra il Porto ed il Crescent universitario
4. Stato attuale del torrente/viale Annunziata a Reggio Calabria
5. La zona a monte del torrente/viale Annunziata: vista dal viadotto verso il porto

Il torrente come ‘asse attrezzato’
Nel 1989 è pubblicato il Piano Particolareggiato, redatto da Balbo- Busca-Cervellini-Vendittelli, per la trasformazione del torrente Annunziata in un ‘asse attrezzato’ (fig. 3), volto a collegare da ovest il mare e l’area portuale con le colline Pentimele e Feo di Vito ad est, dove va a collocarsi l’acropoli universitaria.4
Il torrente Annunziata potrebbe diventare occasione per una riflessione sul ruolo della morfologia urbana nel progetto della città; e la soluzione delle sponde servirebbe finalmente a risolvere la connessione tra i differenti tessuti urbani che vi si affacciano. Invece, la prima cosa che sparisce è il torrente: ‘intubato’ in una bara di cemento; al suo posto sorge un vialone a sei corsie che separa anziché unire i quartieri. In questo modo il progetto del torrente Annunziata, che
avrebbe potuto realizzare una rambla di un chilometro pulsante di funzioni, si traduce in un vuoto urbano ‘di risulta’, inospitale da percorrere e difficile da attraversare, dove sembrano egualmente parcheggiate le automobili e poche sparute aiuole (fig. 4).
L’attuale cancellazione del torrente Annunziata non è soltanto una occasione mancata per la città di Reggio; ma rischia di diventare un pessimo modello da applicare alle altre fiumare (Calopinace e S. Agata) che governavano il Piano di Quaroni e Quistelli. Occorre dunque esprimere il dissenso culturale verso la soluzione adottata; e proporre strategie di ‘restauro urbano’: sia per la parte ormai colmata dal viale, che ha ‘intubato’ il torrente; sia per la zona est dove il torrente Annunziata si trova ancora a cielo aperto, ma rischia di sparire dentro il prolungamento della bara di cemento che la Pubblica Amministrazione propone.

Il torrente Annunziata e la porta della città di Reggio: dal crescent al progetto di forum
Le riflessioni che seguono hanno trovato un primo momento di elaborazione nell’ambito della ricerca Pop, diretta da L. Thermes e condotta dal Dastec per la Regione Calabria, sulla ‘Riqualificazione degli insediamenti urbani’: in tale occasione sono stato responsabile degli studi sulla zona a monte del torrente Annunziata; studi proseguiti col mio gruppo di ricerca – composto da Maria A. Caminiti, Giovanni Fiamingo, Antonella Romagnolo, Giuseppe Smeriglio – nell’ambito di una ricerca Prit e di successivi progetti didattici.5 Assumiamo dunque come caso-studio la zona a monte del torrente Annunziata, dove il viale urbano (realizzato con la copertura del letto) improvvisamente si interrompe; e torna allo scoperto il tracciato d’acqua: il luogo si porge come porta della città, sia per la presenza del viadotto tra le colline Pentimele e Feo di Vito, sia per lo scenario del mare che si apre ad ovest quando dalla periferia si entra in città (fig. 5).

Sull’alveo del torrente il Piano Particolareggiato prevedeva un parco per lo sport: delimitato da un crescent (che doveva ospitare la casa dello studente) e dalla Città Universitaria, a raggiera sul colle Feo di Vito. Questa previsione è stata realizzata parzialmente: con la costruzione delle facoltà universitarie; mentre al posto del crescent, l’attuale casa dello studente – in costruzione dal ’99 – ha occupato metà dell’esedra sul torrente, ed ha lasciato l’altra metà alla previsione di un centro sportivo.6
I temi progettuali individuati dal Piano Particolareggiato meritavano d’essere recepiti e interpretati; e lo meritano ancora, pur nelle mutate condizioni. Sul torrente Annunziata è possibile coniugare il tema della porta urbana con quello di un fo
rum destinato allo sport e al tempo libero, perché è possibile guadagnare alla città contemporanea la
complessità di funzioni che caratterizzava i fori, i ginnasi, le terme, nella tradizione classica e mediterranea.
Il luogo si presta a una ibridazione di natura e architettura, sport e cultura, per la presenza contemporanea di più elementi che passeremo ad esaminare nei rispettivi caratteri paesaggistici e architettonici, cercando alcune compatibili strategie d’intervento.

Caratteri paesaggistici

 L’alveo
Nell’area si incontrano una condizione di Natura e una condizione di artificio: da una parte, l’alveo della fiumara, priva di argini, che si snoda tra le colline; dall’altra, l’imboccatura della ‘intubata’, che ricopre di un suolo artificiale il letto.
La ‘testata’ dell’Annunziata si propone come un luogo che raccoglie forti tensioni: la cui soluzione non può essere demandata all’occupazione casuale dei luoghi; ma al rispetto di questa occasione offerta alla città di ospitare un vuoto naturale e di dialogare con una sezione del paesaggio che si presenta improvvisa e imprevista nel contesto urbano.
 Le colline
Un ruolo importante nella dialettica tra la condizione naturale del sito e la struttura urbana che l’assedia è svolto dalle colline: Pentimele e Feo di Vito; grandi emergenze per profilo altimetrico, e naturale baluardo all’onnivora espansione della città. Le colline offrono l’occasione per un ripensamento dei rapporti tra suolo e costruzione: Pentimele suggerisce un ‘basamento’ attrezzato per la risalita a un parco in cima al colle; Feo di Vito, al contrario, ha visto consolidarsi l’insediamento acropolico universitario, che aspetta di essere ricollegato verso il basso al letto del torrente ed alla campagna sottostante.
 Il verde naturale e agricolo
La sopravvivenza della macchia mediterranea è ciò che possiamo definire verde ‘naturale’: povero di qualità scenografiche, ma di sicuro interesse per la conservazione della flora locale. Può essere utile riconoscere la qualità estetica del verde agricolo che caratterizza le zone coltivate del torrente: qui predominano i frutteti e gli agrumeti,
intercalati da alcune vistose emergenze come le palme, e da alcune preziose antiche querce sopravvissute. Il torrente, come luogo di una natura ‘ritrovata’ dentro la città, dovrà favorire il processo este ti co/co no scitivo che trasforma le colture in cultura.

7. I servizi sportivi nella maglia di corti (L. Bonanno)
9. Sezioni e vedute dei gradoni (G. Allegra)

Caratteri architettonici

 Viadotto, ponti, e percorsi
I percorsi stradali presentano alla quota del suolo un impatto non rilevante, perché fino all’inizio del Novecento questo ruolo era tenuto proprio dal torrente: il quale, in secca per gran parte dell’anno, si proponeva come la più larga e comoda via di comunicazione tra la città e l’entroterra.
La situazione cambia quando si consideri l’attacco a cielo: il monumentale viadotto autostradale, si profila in aria come una ‘porta’ della città dove la dimensione architettonica e quella territoriale entrano in cortocircuito. A confronto con l’immanenza del viadotto autostradale, ogni altro ponte per attraversare il torrente appare insignificante; e tuttavia una qualità estetica può scaturire proprio dal ‘salto di scala’, quando i ponticelli sulla fiumara entrano in relazione con quel colossale skyline.
 Edifici acropolici
Le Facoltà di Architettura, Ingegneria, e Agraria, disegnano una acropoli degli studi. Questi manufatti non hanno un efficace collegamento tra loro, né con la città, per la mancata realizzazione del Crescent, che avrebbe dovuto unificarli alle quote più basse; in questo modo sono rimasti come grandi ‘frammenti’ disposti nel paesaggio.
 Edifici sparsi
In opposizione con gli edifici acropolici delle Facoltà si pongono minuscoli edifici sparsi sulle colline, che in taluni casi scendono alle quote più basse della fiumara: per questi ultimi – che sono a forte rischio di inondazione – occorrono opere di messa in sicurezza, certamente più costose di quanto non sarebbe la loro auspicabile demolizione.
 Sistemi di edifici
Sistemi lineari di edifici si dispongono sulla collina di Pentimele: convertiti ad un uso pubblico potrebbero ospitare strutture utili alla fruizione del futuro Parco. Sul versante opposto di Feo di Vito, in continuità con i tessuti compatti della città, è in corso di costruzione il sistema a pettine della Casa dello Studente.

Strategie d’intervento
Le strategie per i servizi culturali/sportivi sulla testata del torrente mirano a identificare temi tipologici, utili a prefigurare modi di rapportarsi al contesto. Sono temi facilmente individuabili, quali la maglia di corti, i gradoni, il recinto, la torre; ma suscettibili di acquistare la necessaria complessità attraverso l’intreccio delle funzioni (culturasport- commercio-tempo libero) ed il confronto con gli elementi del paesaggio naturale/urbano.
 La maglia di corti
Una maglia di corti aperta verso la fiumara si dispone in prosecuzione della Casa dello Studente, proponendone un ribaltamento dei valori di pieno-vuoto e una rotazione in funzione del torrente.
La maglia ospita attrezzature per lo sport. Una piazza ed una scalinata, disponibili come spazi teatrali, filtrano il rapporto paesaggistico tra le corti ed il torrente. Uno dei bracci si prolunga a formare un edificio-ponte che collega le sponde (figg. 6-7 sopra).
 I gradoni
I servizi si dispongono a gradoni sulla collina. L’intervento si propone come un succedersi di belvedere, e viene distribuito dalla strada che sale da viale Annunziata verso Ingegneria. Le attrezzature culturali si raccordano agli impianti sportivi attraverso una scalinata attrezzata per manifestazioni teatrali e musicali, che trova in basso
una piazza-palcoscenico, e un portico-ponte sul torrente. Gli edifici sono parallelepipedi di varia grandezza, intercalati da vuoti che, con effetti suggestivi, portano aria e luce alle parti interrate. L’intervento
sposa il tema del ‘frammento’ che dialog
a con gli altri frammenti – il viadotto, le Facoltà – sparsi tra le colline (figg. 8-9).

10. Il recinto
11. Pianta e profilo del recinto (M. Sapone)
12. La torre
13. Sezione sul percorso/ponte interno alla torre (S. Calarco)

 Il recinto
I servizi culturali e sportivi si dispongono all’interno di un recinto; o diventano essi stessi un recinto: definito dal torrente, dall’asse che risale la collina verso Ingegneria, e dal muro pedonale che disegna una geometrica e artificiale curva di livello. La connessione col tessuto urbano è assicurata da una piazza che agisce come cerniera delle percorrenze. L’acqua si insinua dentro il recinto e mette gli edifici sportivi in rapporto col torrente, attraverso portici o vetrate.
La successione degli elementi predispone spazi culturali per spettacoli, o attività ludiche all’aperto; e parcheggi opportuni per un grande afflusso, ma attenti alla scala dell’intervento (figg. 10-11).
 La torre
La torre si porge come solido geometrico capace di dialogare a scala paesaggistica con i complessi architettonici che caratterizzano le colline (il viadotto e le facoltà di Agraria, Ingegneria, Architettura); a codesti frammenti acropolici con prevalente andamento orizzontale, si contrappone la verticale della torre. La torre contiene servizi sportivi e commerciali; essa è attraversata dal percorso-ponte che mette in connessione le due colline, e si conclude con un punto panoramico di ristoro sul tetto giardino. Il basamento della torre risolve il rapporto con gli edifici già costruiti sul bordo d’acqua (Casa dello Studente) proponendosi come prolungamento di essi. Il basamento ospita i parcheggi e i servizi per lo sport (figg. 12-13).
Queste riflessioni ed i progetti che ne sono scaturiti (di Luigi Bonanno, Giuseppe Allegra, Mariastella Sapone, Stefania Calarco; tutor Giovanni Fiamingo) vogliono offrire un ventaglio di occasioni per il confronto che la Pubblica Amministrazione di Reggio C. deve proporsi con i problemi della periferia di Feo di Vito: una periferia che possiede
strutture e servizi collettivi (le Facoltà, la Casa dello Studente) capaci di organizzare una nuova parte di città, ma resta ancora priva di un progetto politico attento al patrimonio naturalistico e architettonico che possiede.

GA

Università ‘Mediterranea’ di Reggio Calabria

1. Fernand Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Colin, Paris 1949. Edizione italiana P. B. Einaudi, Torino 1988, p. 37.
2. Gianni Accasto, Giuseppe Arcidiacono, Antonio Quistelli, et al., Studi per la Sibaritide, Iusa, Reggio C., 1982.
3. Laura Thermes, Il vero paesaggio, in Paolo Portoghesi, Rolando Scarano (a cura di), Il progetto di Architettura, Roma, Newton & Compton, 1999, pp. 245-250.
4. Franco Cervellini, Progetto di Ateneo, progetto di Città, in ‘Controspazio’, 5, 1989, pp. 26-28.
5. Giuseppe Arcidiacono, Composizione architettonica e urbana. Per un quadro della ricerca a Reggio Calabria, in Alberto De Capua, Marco Mannino, Ettore Rocca (a cura di), Arte Scienza Tecnica del Costruire, Roma, Gangemi, 2008, pp. 155-169.
6. Giuseppe Arcidiacono, Il Crescent dimenticato. Utopia del piano e realtà dell’architettura a Reggio Calabria, in ‘Controspazio’, 6, 1999, pp. 14-29.

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Archeoclub d’Italia
movimento di opinione pubblica
al servizio dei beni culturali e ambientali
Consiglio Nazionale degli architetti, pianificatori paesaggisti  e conservatori
Consiglio Nazionale
degli Architetti, Pianificatori
Paesaggisti e Conservatori

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