Giovanni XXIII e l’arte

 

 

Mons. Loris Capovilla ricorda il papa bergamasco

“M ons. Roncalli non apprezzava l’arte e neppure l’architettura moderna… ma era delicato, attento, possibilista, ed era convinto che l’umanità non si fermasse. Nel periodo in cui fu patriarca a Venezia dovette inaugurare due o tre chiese nuove in Mestre. Certamente non erano architetture eccelse, ma egli mantenne un atteggiamento benevolo verso quelle chiese. Non amava le chiese spoglie. Essendo di formazione ottocentesca, amava le pareti decorate. Tuttavia per carattere non avrebbe mai espresso condanne, non avrebbe mai detto: ‘Che brutture!’.”
Chi parla è S.E.R. Mons. Loris Capovilla, arcivescovo di Mesembria, che fu fedele segretario di mons. Roncalli, poi Giovanni XXIII: il papa il cui nome è legato all’avvio della grande opera di rin-novamento conciliare. Mons. Capovilla cita il libro di Davide Cugini “Papa Giovanni e l’arte del suo tempo” (Edizioni il Conventino, Bergamo) che raccoglie e analizza le testimonianze lasciate da Papa Roncalli sull’arte: ne emerge l’immagine di una persona estremamente attenta e appassio-nata, profondamente convinta dell’importanza catechetica dell’arte cristiana e della necessità di conservare con amore e con cura le testimonianze artistiche e architettoniche del passato, una persona aperta all’arte contemporanea ma perplessa e distante da molte sue manifestazioni. “Giovanni XXIII non si atteggiò a esperto d’arte, né volle apparire aggiornato in materia…..Il «Giornale dell’Anima» e le copiose raccolte di scritti e discorsi rivelano il rigoroso e sereno maestro di spirito, il conservatore della liturgia e della pietà religiosa nel significato più bello e genuino: il prete convinto che l’arte dovesse dare dignità e bellezza a tutte le manifestazioni del culto, con l’avvertenza di non imporne sconsideratamente l’involucro nelle aule della Preghiera, timoroso di suscitare, nei semplici, reazioni negative.
L’arte prediletta da Giovanni XXIII si compendiava nelle pagine più significative che la Biblia Pauperum, composta da sommi e minori artisti, i quali istruirono, educarono, edificarono il nostro popolo con le mirabili composizioni chiamate affreschi, pitture, mosaici, arazzi, cesellature. A lui, come alla maggior parte di noi, non venne consegnata la chiave per capire le innovazioni e le rivoluzioni artistiche del nostro tempo. D’altronde egli si ritenne libero ed in dovere di avanzare le sue riserve, indisponibile a qualsiasi avventura ad evitare il rischio di guastare tutto: perdere i contatti con la tradizione dei secoli e non capire il linguaggio dei contemporanei.
Se penso ai miei anni di liceo e teologia, alle ore pur affascinanti di storia dell’arte, rivivo la sensazione del sentirmi intimidito ed arrestato sugli inizi del secolo decimonono. Procedere oltre pareva improbabile, mentre l’aspirazione alle novità bloccava il colloquio, come dinanzi a un mistero. Dopo tutto, l’arte moderna ha fatto il suo primo ingresso nelle Gallerie Vaticane con Pio XII negli anni cinquanta e solo (…) con Paolo VI ha trovato degna collocazione nel sontuoso appartamento Borgia del Palazzo Apostolico. Di mezzo, tra i due papi, ci sta Giovanni XXIII che ha legato il suo nome alla Porta della Morte della Basilica di S. Pietro, capitolo nuovo e tutto ad onore del bergamasco Giacomo Manzù e di chi, accordandogli fiducia sul formidabile tema della Morte, s’è acquistato il diritto a una perenne riconoscenza.
Lo si afferma non tanto per fare di Giovanni XXIII un pioniere nel campo dell’arte, quanto per riconoscere che, nonostante tutto, anche lui, aperto all’amore universale e alla simpatia per gli artisti, ha raggiunto, sia pur con fatica, un certo traguardo; in questo campo, non meno che negli altri, la visione e le preoccupazioni di Giovanni XXIII, sono state eminentemente pastorali: il più delle volte egli giudicava in veste di catechista, non di esteta; di liturgo, non di facile sperimentatore. Il suo conservatorismo, se per alcuni poté sembrare un limite, magari lo fu per altri, per gli attenti osservatori significò un abito di prudenza, la quale, sia detto non per inciso ma deliberatamente, sulle soglie o all’interno del tempio non è mai fuori posto.”
Il giovane don Angelo Roncalli, nei primi anni del XX secolo collaborava alla rivista Vita Diocesana. In veste di giornalista si espresse in varie occasioni su soggetti artistici e architettonici. Il citato volume di Davide Cugini riprende alcuni di quegli articoli. Con entusiasmo nel 1910 Roncalli presentava il restauro del tempietto di San Tomé, presso Bergamo, che descriveva con precisione: “…. è una vera rotonda all’esterno e si divide in due zone l’una sovrapposta all’altra ed ambedue ad archi sorretti da colonne e poggianti sugli alti abachi dei capitelli. Gli archi non costituiscono un ottagono, ma girano in circolo, per cui sopra di essi si eleva il tamburo circolarmente, coperto da una volta a tazza esattamente emisferica. Di fronte alla porta, e verso l’oriente, si apre ad arco il presbiterio rettangolare, terminato con abside semicircolare coperta con volta a botte nella prima parte e a mezza calotta nella seconda. La luce assai tenue vi penetra attraverso tre piccole e lunghe finestre nell’abside….”
Un’attenta descrizione: qui basti considerare come interesse del giovane Roncalli non fosse quello di esibirsi in giudizi dotti, bensì di illustrare l’oggetto, così che il lettore possa ricostruirlo nella propria mente. E’ così che ha senso avvicinarsi all’ar te: anzitutto conoscendola e apprezzandola per quel che essa è, senza frapporre barriere critiche.
Mons. Roncalli d’altro canto decisamente avversava quel che gli pareva degenerazione. In una lettera del 1946, parla a un amico di Istanbul, di una mostra artistica organizzata in Bergamo: “I bergamaschi non intiepidiscono il loro fer vore artistico. Nel 1946 montarono ai Tre Passi una prima Esposizione di Arte Sacra. L’andai a vedere: rimasi deluso; meno però che di una esposizione fatta a Parigi l’anno scorso presso la Nunziatura. Quest’anno, ancora ai Tre Passi, altra esposizione. Mi pregarono che la volessi visitare. Non me ne diedi la pena.Tu sai che io non avverso il moderno; ma il surrealismo non mi va. Mi pare il segno di una generazione che ha perduto il buon senso artistico, impazzisce e si corrompe. Perciò conservo in tutta la mia stima lo scultore del Cristo Morto e del nuovo Sant’Antonio della Basilica di Beyoglu, e reputo che la sua sia la miglioreforma di far del moderno senza provocare la pietà dei posteri…”
“Non vedo le colonne, né l’arco!” è un’esclamazione che ricorreva in Angelo Roncalli – lo ricorda Loris Capovilla – quando osservava opere di arte o architettura moderne. Tuttavia credeva nella capacità dell’arte dell’architettura, di trasmettere un messaggio evangelico, motivo per cui si inte-ressò molto alla conservazione delle opere antiche:
“Come gli angeli sono messaggeri di Dio e presentano a lui le nostre preghiere, così l’arte cristiana si solleva oltre il velo del sensibile per congiungere con Dio, accompagnare le sue sante ispirazioni, facilitare e orientare i nostri rapporti con Lui.” (L.Servadio)

 

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