Giovanni Battista Cocco


L’avenir de l’Art n’est pas artistique, mais urbain.
Henri Lefevre, Le droit à la ville, 1968

Se si assume l’identità come problema della città contemporanea, è possibile sostenere che il rapporto tra Arte e Architettura sia la risposta urbana ad un’apparente assenza d’identità?
Come sostiene François Chaslin,1 nel panorama architettonico euopeo degli ultimi decenni gli scenari ricchi d’immagini e atteggiamenti artistici hanno reso vago il confine tra queste due forme di linguaggio. Non molti anni fa in Francia il processo di umanizzazione dello spazio ha liberato la città e l’architettura dal raggelante senso di tecnicismo, rendendo più sensualisti ed espressivi diversi interventi di trasformazione nelle Villes Nouvelles. Queste città, nate come risposta
alla decentralizzazione delle attività e della residenzialità della metropoli, grazie all’estensione alla scala urbana della legge dell’1%, iniziano ad accogliere diversi interventi di natura artistica che permetteranno, attraverso l’apporto del bello, di allontanare l’avvilente senso di periferico. Nel 1980 l’urbanista Michel Jaouen chiama Dani Karavan a Cergy-Pontoise, prima ville nouvelle di Parigi. L’artista immagina per Cergy un lungo asse di 3 km: un gesto geografico dal sapore fondativo che dalla ‘piazza delle colonne’, progettata da Ricardo Boffil, raggiunge l’isola artificiale (futura sede di un osservatorio astronomico), negando l’esistenza di un confine tra paesaggio e arte.
Negli stessi anni a Lione il recupero urbano del quartiere Etats-Unis di Tony Garnier, unica realizzazione del grande piano Projet de tracé de l’avenue entre Guillotière et Vénissieux (simbolo della modernità urbana degli anni Venti del Novecento), travalica il valore artistico delle sedici pitture che ingentiliscono le facciate cieche delle barre, trasformando
il quartiere in un museo en plain aire, capace di rimandare ad un’esperienza estetica obbligatoria creata per un pubblico istantaneo, dinamico e distratto.
In entrambi i progetti l’Arte interviene nella città come gesto ‘a rimedio’ di una condizione data, attribuendo una più o meno marcata connotazione di tipo estetico allo spazio urbano, capace di far evolvere i caratteri identitari preesistenti.
D’altronde questo grande puzzle difettoso, che chiamiamo identità, c’è sempre in ogni cosa, come in ognuno di noi.

Arte e spazio pubblico.
Da sinistra verso destra: Les deux plateaux(Parigi); Place des terreaux(Lione);
Place du Centre Pompidou(Parigi); La Défense(Parigi)

Quattro domande al professor Alain Charre2
L’Arte può essere considerata in alcuni casi un linguaggio a servizio dell’Architettura?
L’arte è un linguaggio autonomo e in quanto tale non è a servizio di nulla; il suo valore è quello di essere a servizio di se stessa o forse a servizio dell’artista.
L’arte, che per sua natura è rivoluzionaria, non è architettura e l’architettura, che per sua natura è conservatrice, non è arte: d’altronde l’arte non è in grado di produrre un progetto urbano, ma può partecipare alla sua creazione.
Penso che l’artista e l’architetto non abbiano molte cosa da dirsi, anche se partecipano entrambi alla cultura urbanache, come elemento comune all’urbanistica, all’arte e all’architettura, deve riflettersi negli scenari politici e sociali della città.

L’arte quindi ha partecipato alla creazione della città di Cergy-Pontoise? Che significato possiamo assegnare all’opera di Dani Karavan?
Gli urbanisti di Cergy-Pontoise hanno ricercato un elemento monumentale che permettesse alla città di esistere in rapporto a ciò che le stava intorno. Questo ha dato agli abitanti la possibilità di sentirsi depositari di un nuovo evento e alla città una maggiore visibilità esterna. Ma l’arte ha la capacità di creare questi simboli, mentre non è in grado di inventare l’architettura. I problemi sociali infatti permangono: la maggior parte degli abitanti sono economicamente impossibilitati a partire da Cergy-Pontoise e di conseguenza la città è per loro il luogo del quotidiano e della festa.

Lione. Quartier des Etats-Unis. Museo Tony Garnier,
primo dipinto
Parigi extra-muros. Asse Maggiore della ville nouvelle di
Cergy-Pontoise
Lione. Quartier des Etats-Unis.MuseoTony Garnier

Quando tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta del Novecento si è passati da un’urbanistica tecnocratica ad un’urbanistica della cultura e dell’intelligenza attraverso la costituzione della Maîtrise d’oeuvre urbaine, si è ritenuto che l’arte nella città dovesse intervenire per significare, mentre l’urbanista, rivendicando la capacità di creazione e di
autonomia urbana rispetto all’architetto, spostava l’attenzione verso l’ opera urbana: un concorso di creatività, di intelligenza plastica destinata a durare nel tempo.
L’opera di Karavan per Cergy-Pontoise mostra la stessa apertura del Salk Institutedi Louis Kahn. Il percorso, in modo simbolico-figurativo, rimanda al cammino di un popolo verso il proprio destino: una dimensione artistica e spirituale che è trascritta nell’opera stessa e nel suo senso di infinito. È questa la principale differenza che distingue l’opera di Karavan da quella degli artisti della Land Art.

Negli stessi anni a Lione sedici pitture murali trasformano la percezione dello spazio urbano nel quartiere di Tony Garnier. Che giudizio dà a questo intervento?
Non mi sento di apprezzare questo intervento perché gli si è dato nel tempo uno statuto surrealista. Gli autori sono stati miei allievi quando insegnavo all’ Ecole des Beaux Arts di Lione: li giudico degli studenti dissidenti che hanno avuto la capacità di convincere la popolazione, il sindaco e il prefetto alla realizzazione di queste pitture, in un’epoca in cui questo genere di opere avevano assunto un’importanza notevole. Ma non siamo tanto nell’arte quanto nella decorazione.

Parigi extra-muros. Piazza delle colonne di Ricardo
Boffil e Dani Karavan da cui ha inizio
l’Asse Maggiore di Cergy-Pontoise
Parigi extra-muros. Asse Maggiore di Cergy-Pontoise: passaggio sull’isola artificiale

Bisogna essere molto modesti nei confronti di questa operazione perché si è arrivati a far credere che le pitture abbiano colto l’opera di Tony Garnier; ma quello di cui parliamo non è un museo pensato da Tony Garnier, ma piuttosto un museo urbano nel quartiere di Tony Garnier: un’opera postuma che, secondo me, non sarebbe mai stata realizzata dal suo autore. Ciò che rende interessante questo quartiere non sono le pitture ma l’architettura urbana, lo spazio pubblico tra
gli edifici, la ripetizione del modulo edilizio …
Vede, l’arte, perché sia tale, non deve essere mai consensuale: gli abitanti di Cergy-Pontoise si domandano ancora che cosa sia questo grande asse e perché sia lì.

Quale è il futuro del rapporto tra Arte e Architettura?
Le rispondo con un’altra domanda: siamo nell’arte o nell’architettura?
Perché del rapporto tra ‘Arte e Architettura’ se ne parla da più di 25 anni e se ci fosse stata una soluzione l’avremmo conosciuta. Io ritengo che oggi l’arte sia il divenire dell’architettura e l’architettura il divenire dell’arte.

Grazie professore

1. François Chaslin, L’arte Architettata, in Casabella n. 594, 1992.
2. Questa breve intervista è una sintesi del lungo colloquio che lo scrivente ha avuto a
Parigi con il prof. Alain Charre, historien de l’Art e de l’Urbanisme, in occasione dell’approfondimento
del tema di studio del XV Seminario di Architettura e Cultura Urbana di
Camerino.

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www.archeoclubitalia.it
Archeoclub d’Italia
movimento di opinione pubblica
al servizio dei beni culturali e ambientali

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