Giovanni Battista Cocco



La tendenza alla spettacolarizzazione dell’architettura, registrata negli ultimi anni nei territori europei ed extra-europei, ha allontanato la forma architettonica dalle sue qualità tecniche a favore di una visione prevalentemente estetica che rilegge lo stile contemporaneo come uno ‘stile tardivo’1 capace di disseminare nel tessuto urbano brani di complessità crescente. Questo atteggiamento passivo dell’architettura, orientato alla costruzione di un involucro solista-urbano, fu argomento di discussione di diversi architetti anche nel secolo scorso.
Nelle lettere sulla forma architettonica indirizzare a Walter Riezler nel 1927 Mies van der Rohe si domandava se la forma fosse uno scopo o piuttosto il risultato di un processo di formazione: … Non è il processo l’essenziale? Un piccolo cambiamento delle sue condizioni non ha come conseguenza un risultato diverso? Un’altra forma?; ‘Io non mi oppongo alla forma, ma soltanto alla forma come fine. E lo faccio proprio sulla base di una serie di esperienze e di convinzioni che ne sono derivate. La forma come scopo sfocia sempre nel formalismo, infatti questo sforzo si rivolge non verso l’interno, bensì verso l’esterno. Ma solo un interno vivente ha un esterno vivente. Soltanto un’intensità di vita ha una intensità di forma. Ogni come è sostenuto da una cosa’.2

Cagliari. Zaha Hadid, Progetto vincitore al concorso
per il Museo d’Arte Nuragica e Contemporanea. Inserimento urbano

Il film Sketches of Frank Gehry, per esempio, ci descrive un architetto creatore di sogni che sembra stare bene nei panni dell’artista a cui piace vivere all’interno di una condizione esclusivamente estetica e meno etica. Questo atteggiamento alla costruzione di immagini, alla trasformazione di queste in icone – capaci di divenire in breve tempo ‘strumenti di mercato’, oggetti sorprendenti e fantastici che tutti vorrebbero comprare – riporta l’attenzione non solo ad un eccesso d’arte nell’architettura, ma anche al difficile rapporto tra architetto e artista; d’altronde quando Peter Eisenman invitò nel suo studio Michael Asher (artista concettuale tanto importante e conosciuto nell’arte quanto Eisenman nell’architettura) per realizzare un’installazione, l’artista lanciò un oggetto verso le finestre dell’atelier per fare entrare un po’ di urbanità. Un gesto poco gradito ad Eisenman che inviò ad Asher la fattura per la riparazione.
È possibile tuttavia osservare come i discorsi sulla sostenibilità che coinvolgono le nostre ‘discipline’, la tendenza all’eccesso di forma, siano prevalentemente rivolti al Progetto di Architettura, lasciando vaga la trattazione nel Progetto Urbano.

Parigi, Plaine Saint-Denis. Progetto di sintesi del gruppo Hyppodamos ’93

Parigi, Plaine Saint-Denis.
Elementi strutturanti il progetto urbano

Accettata l’oramai sostanziale differenza tra le due forme di progettazione – che pur utilizzando le stesse competenze sullo spazio sono soggette a differenti temporalità – l’ipotesi di partenza della nostra ricerca è quella che riconosce il Progetto Urbano come luogo dell’equilibrio tra permanenza e sostituzione, un luogo in cui questa coppia oppositiva assume pieno significato. D’altronde se questa ipotesi è verificata allora è sempre possibile associare alla forma del Progetto Urbano ‘gradienti di sostenibilità’ per la sua capacità ad essere sempre il risultato di un processo di formazione.
Allo Schéma Directeur d’Aménagement et d’Urbanisme de la Région Ile-de-France del 1965 – che prevedeva la decentralizzazione delle attività con la formazione di nuove polarità – succede lo SDAURIF del 1994 che introduce il concetto di policentralità attraverso il recupero di importanti aree industriali dismesse nella prima periferia
parigina, individuando come settori strategici di sviluppo i territori della Défanse, il sito di Boulogne-Billancourt, della Seine-Amont e la Plaine Saint-Denis.
Questa ultima – divenuta oramai nota per essere stata l’epicentro delle contestazioni degli abitanti della banlieue – dopo un trascorso di tipo industriale – incentivato non solo dalla presenza nel territorio della rete ferroviaria e fluviale, ma anche dall’assenza di morfologie complesse – non uscirà indenne dalla crisi degli anni Sessanta e Settanta del Novecento che porterà al trasferimento di grossi stabilimenti industriali verso territori più favorevoli alle mutate condizioni di produzione.

Parigi, Plaine Saint-Denis.
Veduta del giardino lineare sull’autostrada A1
Parigi, Plaine Saint-Denis. Veduta aerea del territorio della Plaine co
n Le Grand stade de France
Parigi, Plaine Saint-Denis. Riqualificazione del paesaggio lungo il canale Saint-Denis

Nel 1983 la legge sulla decentralizzazione amministrativa darà ai sindaci dei comuni di Saint-Denis, Aubervilliers e Saint-Ouen, la possibilità di proporre processi di riqualificazione urbana per questo territorio.
Nel 1991 il Sindacato intercomunale promuove il Progetto Urbano per la Plaine, assegnando il coordinamento all’architetto Pierre Riboulet. Il piano di sintesi – elaborato da Yves Lion sulla base di quattro proposte differenti – offre l’immagine di un progetto che lavora con l’esistente innescando processi virtuosi e valorizzando il territorio a partire dalle qualità che è in grado di esprimere in termini di paesaggi, agendo sull’infrastruttura e sulla qualità dello spazio aperto. Si domandava al progetto la presa in considerazione del tempo e la capacità di leggere attraverso il disegno i valori d’identità trascritti nel territorio. Questa ‘città del tempo libero’ si disegna a partire dalle direzioni longitudinali che l’attraversano da nord verso sud; queste vengono interrotte da una rete di percorsi trasversali: bracci di un sistema
complesso di raccolta e riciclaggio dell’acqua; allo spazio pubblico si assegna la capacità di divenire armatura del progetto: la copertura dell’autostrada A1 e il recupero del canale di Saint-Denis permetteranno la realizzazione di giardini lineari per le promenades en plain aire.
Per l’architetto paesaggista Michel Corajoud il Progetto Urbano della Plaine appare come una strategia che rifiuta l’apparato legislativo per focalizzare l’attenzione nella costruzione dello spazio pubblico e del paesaggio urbano: elementi che concorrono a costruire un’idea di città prescindendo dai programmi e dagli elementi tipologici.
Questa forma di urbanità futura, aperta ad accogliere l’architettura, è il risultato di un processo di concertazione e partecipazione tra diversi attori; in questo senso la trama vegetale che uniforma e regola lo spazio permette di ritrovare un’appartenenza comune, ma anche un primo gradiente di sostenibilità.

1. Relazione tenuta da Peter Eisenman alla conferenza EURAU 08 Paysage culturel, Madrid 2008
2. Mies van der Rohe, citato in Giovanni Leoni, Rafael Moneo: architettura come architettura, Area n. 67, marzo-aprile 2003

G.B.C. Dottore di ricerca, Università degli Studi di Cagliari

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Archeoclub d’Italia
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