Gabriele De Giorgi



È un’enunciazione dalla Commissione delle Nazioni Unite contenuta nel Rapporto Bruntrandt del 1987 a siglare la cifra e il programma forse più impegnativo della nostra civiltà postmoderna, problematicamente e criticamente impigliata negli interrogativi e nelle ricerche tra un passato di sperperi e un nuovo da rifondare.
La nozione di sostenibilità è stata per la prima volta coniata in quella sede come ‘sviluppo capace di soddisfare i bisogni del presente senza compromettere le capacità delle future generazioni di soddisfare i loro propri bisogni’.
Per il clima, nei 20 anni trascorsi da quella data, la principale causa frenante dell’attuazione di questo programma è stata soprattutto la politica delle potenze mondiali, solo recentemente interessate al problema.
Altre concause sono l’aumento demografico (nel giro di cento anni la popolazione della terra è triplicata), lo sviluppo tecnologico, l’uso di fonti di energia non rinnovabili e le città. Oggi nelle città risiede il 75% della popolazione mondiale. Nelle città si produce oltre il 50% delle emissioni di gas serra nell’atmosfera terrestre. Sono gli ambiti del globo in cui intervenire con più urgenza. Le città hanno bisogno di profonde trasformazioni.
Noi architetti siamo da tempo sensibilizzati al problema. Tuttavia per quanto concerne la qualità generale della progettazione ci sono alcune considerazioni da fare. Nei progetti di architettura sostenibile infatti c’è in agguato, per noi architetti, un nemico che avevamo pensato d’aver debellato una volta per tutte: il funzionalismo, un funzionalismo
di ritorno che qualcuno ha già definito Lo stile di Kyoto, senza glamour, restrittivo, castigato.

Quartiere eco-compatibile BedZed a Londra
Norman Foster, Hearst Tower
a New York

La sindrome si manifesta quando l’attenzione rivolta ai problemi della sostenibilità bioclimatica si tramuta a volte in un limite. Nel passaggio dal programma all’architettura, una morsa paralizzante riconduce il progetto all’applicazione di soli principi funzionali. Sui periodici o nelle città possiamo osservare edifici carichi di pareti ventilate, camini, impianti eolici, serre, pannelli fotovoltaici, vasche d’acqua per la fitodepurazione, ecc. Ben vengano, beninteso, ma non assumano
ruoli determinanti a danno della qualità dell’architettura.
In altri casi il funzionalismo è mascherato.
Nel celebrato progetto chiamato ‘BedZed’ a Londra ad esempio (che vuol dire Beddington Zero Energy Development) i dispositivi bioclimatici sono resi gradevoli dalle colorazioni, c’è il verde del giardino, ecc. Ma lo schema insediativo non convince nella sua povertà. Perché il tessuto è una griglia elementare a tipologie ripetitive.

Norman Foster, Hearst Tower a New York
interno dell’edificio Deco preesistente
Quartiere BedZed a Londra, sezione

Anche tra i tipi a torre, che per molti sostenitori sono i più adatti ad affrontare il processo di densificazione urbana contro gli insediamenti dispersivi della città diffusa, accade qualcosa di analogo. A New York il progetto pubblicatissimo dell’Hearst Tower di Norman Foster, costruita su un edificio Deco preesistente del 1928 che il fondatore della Hearst Company – grande casa editrice americana – avrebbe voluto continuare in altezza con un’altra torre mai realizzata per la crisi economica del ’29, è un edificio altamente ecologico, realizzato con il 75% di acciaio riciclato, attrezzato con dispositivi di climatizzazione naturale, vasche d’acqua, raccolta di acqua piovana, ecc. Benissimo.

Grattacielo con pale eoliche, Bahrain
Grattacielo con piani orientabili, Dubai

Ma qual’è stato il destino dell’edificio preesistente? È stato completamente svuotato, venendo meno ad una delle più interessanti operazioni sul costruito: quella delle testimonianze da preservare che la città storica offre all’architetto contemporaneo. La soluzione invece restituisce solo un’immagine epidermica. Il palazzo Deco è diventato un atrio
attraversato dalle nuove strutture portanti del grattacielo a uffici e da percorsi di attraversamento, un non-luogo qualunque senza identità.
Eppure ha riscosso grande successo, è stato fatto un grande battage pubblicitario. Questo progetto ci potrebbe far pensare ad un altro effetto collaterale: la sostenibilità come effetto pubblicitario da pagina patinata e motore di ricerca, o come immaginario collettivo ispirato al sensazionalismo.
Come le soluzioni alla ‘Dubai’, le bio-city, ecc.
Ritorniamo al problema, che fare allora? Quali sono le alterna
tive a questo funzionalismo di ritorno?
La città non è più quella del periodo industriale. L’ultima Biennale (dal tema Città. Architettura e società) e le analisi più recenti hanno confermato che a scala mondiale sono sempre più auspicabili progetti comprensivi di valenze interattive e polifunzionali, di rimodellazioni spaziali più adatte all’oggi.

Peter Eisenman, planimetria Ciudad de la cultura, Galizia
Peter Eisenman, diagramma del progetto Ciudad de la cultura, Galizia

È opportuno allora considerare che la sostenibilità (anche se ineludibile) non è il tema principale, ma solo una delle componenti della progettazione. A tale scopo è importante
che fin dall’inizio della fase progettuale si scartino quelle impostazioni improntate a razionalità parziali o a nostalgie del passato, che la crisi delle grandi narrazioni ha reso inattuali. Lo spazio urbano non potrà essere concepito secondo un ordine gerarchico o fondato su processi seriali o lineari. I tracciati dovranno accogliere le anomalie e le complessità.
I nuovi paradigmi avranno la prerogativa di individuare correlazioni e intrecci, di indagare la confusione, di accogliere le imprevedibilità e i mutamenti. I volumi dovranno esprimere lo spazio multiplo secondo configurazioni fluide e varie.
Peter Eisenman, nel progetto della Ciudad de la Cultura de Galizia, dà una risposta molto interessante al problema. Prende spunto dalle ricerche di John Frazer che nel 1990 presso l’Architectural Association di Londra sperimentò un programma ‘il costruttore universale’, in grado di predisporre tutti i dati necessari a un progetto e adattarli successivamente ad ogni contesto con opportune modifiche già previste nel programma. In tale programma il concetto di progetto include la topografia, i fattori ecologici, sociali, storici e altri requisiti. Fu tradotto da Frazer in un linguaggio codificato sottoponibile a crescita e mutazioni secondo varianti genetiche. Teoria e architettura, come propone
il filosofo francese Gilles Deleuze, devono presiedere al varo di ogni progetto. Eisenman sperimenta queste due linee di riferimento utilizzando l’informatica. Trova una soluzione che contiene il massimo di fattori tra cui prevalgono il contesto ambientale, le sinuosità del luogo, il riferimento alla storia della cittadina. Il tessuto urbano è simile a quello del centro storico con molte variabili.

Morphosis, College Diamond Ranch, Pomona, Los Angeles
Morphosis, progetto per Ground Zero a New York

Anche altri architetti hanno lavorato pensando a un progetto sostenibile inclusivo di molte componenti fin dal programma iniziale.
Vediamo un altro caso: il College Diamond Ranch a Pomona Los Angeles di Morphosis, di Tom Maine del 2000, è improntato a una relazione con l’ambiente risolta in chiave paesaggistica, ma non naturalistica.
La topografia suggerisce una grande frattura geologica che dà luogo ad uno spazio-canyon di connessione delle tre scuole, spazio privilegiato di incontro tra studenti, insegnanti, personale, visitatori del college. Spazio di valore urbano, di correlazione. Tramite il rapporto con la natura interpretato da geometrie complesse, da materiali riciclati, da messa in opera di accorgimenti bioclimatici il progetto evita ogni tentazione funzionalista.
Ancora nel World Trade Center a New York (Ground Zero), Morphosis propone una configurazione come rete continua di relazioni tra i differenti elementi del programma. Perché il tessuto nella storia della città ha sempre assicurato un alto potenziale di comunicazione mediante la moltiplicazione degli spazi, la varietà, la vitalità.
A questa linea di pensiero anche noi Metamorph abbiamo voluto dare un contributo con il progetto per la Ristrutturazione del Quartiere San Lorenzo e la ristrutturazione delle aree dello Scalo a Roma.

Metamorph, il verde del Quartiere S. Lorenzo nel sistema dei parchi di Roma
Metamorph, piano di riqualificazione del Quartiere S. Lorenzo, Roma

Il progetto propone la copertura dei fasci di binari e la costruzione di un paesaggio urbano che, oltre a edifici con giardini e vasche d’acqua, realizza ai vari piani intersezioni e spazi d’incontro tra le parti urbane come connessione di tessuti e di direzioni integrati, dotati tutti di accorgimenti bioclimatici, produzione di energia con pannelli termodinamici, fitodepurazione, ecc. Il comparto inoltre costituisce un’area che nell’insieme dei parchi di Roma può completare un anello di cintura verde, estesa intorno alle mura lungo tutto il perimetro del centro storico. Si può pensare alla possibilità di operazioni analoghe su tutte le stazioni di Roma, seguendo una logica di densificazione sull’anello come grande trasformazione urbana. Come ad esempio la cintura verde di Francoforte o come l’operazione in atto sulla linea ferroviaria Genova-Ventimiglia da Ospedaletti a San Lorenzo al Mare ove, con lo spostamento della linea ferroviaria a monte, si stanno liberando ben 24 chilometri di costa tra i più belli del litorale ligure, con il recupero delle aree dismesse delle Ferrovie dello Stat
o.

La cintura verde di Francoforte
Emergenza terra, l’arca
Emergenza terra. Le navi spaziali

Del resto in tutta Europa le aree ferroviarie si stanno tramutando in episodi eccellenti di trasformazione insediativa.
Per concludere possiamo dire che le trasformazioni insediative in chiave sostenibile non possono dimenticare le qualità correlanti delle città. Per noi europei e italiani in particolare, la ricchezza degli spazi, il fascino e l’emozione costituiscono un bisogno primario degli insediamenti urbani.

G.D.G. Studio Metamorph, Roma

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Archeoclub d’Italia
movimento di opinione pubblica
al servizio dei beni culturali e ambientali

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