Eco-logìa della Modernità

L’autonomia intrinseca al fatto architettonico costituisce certamente la base conflittuale del complesso rapporto fra architettura e contesto, fra pensiero e natura: al progetto spetta l’arduo compito di misurare la distanza più o meno positiva, più o meno conflittuale, che l’evento costruttivo instaura con i luoghi che lo ospitano, nella ricerca e definizione di una ‘ecologia’ dell’ambiente costruito e dell’Abitare in generale.
Se per definizione l’Architettura da un lato sottrae spazio alla Natura, fosse solo perché semplicemente lo occupa o se ne appropria, a sua volta la Natura attiva spontaneamente processi erosivi, demolitivi e disgregativi, che le permettono a tutti i livelli di riappropriarsi del dominio temporaneamente perduto. Inevitabilmente e in varie forme, essa potrà riaffiorare nel profondo concettuale del fatto costruttivo o nelle sue estese conurbazioni reali, fosse solo come apparente libertà compositiva e caotico ‘paesaggio’ urbano: rispecchiandosi e inverandosi nella brutalità edilizia dei tanti processi costruttivo/speculativi che si affastellano nelle odierne periferie.
Ne consegue che c’è motivo di ritenere, come logica conclusione di quanto premesso, che la principale urgenza ecologica degli ultimi tempi appare quella di recuperare la stessa architettura e le sue logiche costruttivo/compositive, i suoi modi profondi e significanti di occupare lo spazio ‘della’ natura, ‘dentro’ la natura.
L’Ecologico in architettura, dunque, non può riduttivamente essere sinonimo di risparmio, di economia, di sobrietà di materiali naturali distinti da improbabili materiali artificiali, di piantumazioni arboree e tutto quanto rientri in veri e propri standard formali destinati alla riconoscibilità di un prodotto, da lanciare su un mercato cosiddetto ‘ecologico’.
Il progetto presentato si colloca sulla complessa linea di tensione fra scavo e costruzione, fra Architettura e Natura, cercando di invertirne dialetticamente alcuni paradigmi operativi: un progetto di scavo, ma sarebbe meglio dire di una cava/architettura, i cui materiali di risulta si rendono disponibili per nuove costruzioni. Un progetto di volume ‘negativo’ che permette di costruire il suo ‘doppio’ a parità di consumo di risorse: una interpretazione limite, per certi versi, di uno dei principali paradigmi del pensiero sostenibile. Un progetto, elaborato nel 2004 per la competizione ‘I sagrati d’Italia’,1 che propone la strategia di un’apparente rinuncia alla ‘forma’, per adeguarsi al circostante e per moltiplicarne le possibilità estetiche.

Dalla relazione di progetto
Storicamente, è sempre la Natura a risultare impressa sulle linee architettoniche degli edifici (mimesis), pur nelle trascrizioni sempre più astratte che le varie epoche hanno prodotto (ordine architettonico, prospettiva rinascimentale, astrazione moderna).
Quello che noi proponiamo è un rovesciamento di questa consuetudine, imprimendo e ricavando la spazialità ricercata nel vivo spessore della terra e dei basalti lavici del territorio etneo, a partire da un oggetto già ‘dato’.Piuttosto che costruire un edificio poggiato o emergente dal suolo, intendiamo progettare un organismo ‘generato’ dalla ideale intersezione delle forze telluriche della terra con quelle provenienti dalla tradizione estrattiva-costruttiva della cultura lavica.
Il nostro obiettivo è quello di avvicinare le ‘ombre dell’origine’ all’oggetto architettonico.

Il contesto di riferimento
All’architettura recente, viene spesso rimproverato di sconfinare nello specifico scultoreo. In proposito, un imbarazzato silenzio disciplinare sembra sancire ed avallare la distinzione in arte dell’‘aggiungere’ e dell’assemblare per l’una; del ‘sottrarre’ e dello scavare per l’altra. Tuttavia, occorre considerare che la condizione contemporanea dell’architettura, ben lontana dalle rassicuranti certezze del passato, sembra appunto riassumibile nella metafora del ‘negativo’ e del vuoto, come contrapposto al ‘positivo’ e al pieno dell’oggetto architettonico.
Senza intenti provocatori, da qui partiremo: da questa ineludibile moderna condizione che, tuttavia, sembra capace di riproporre l’antico sodalizio fra l’arte dell’architettura e quella della scultura, posto in relazione con un inevitabile contesto: nel nostro caso, con tre linee di paesaggio.
L’esistente con cui ci confrontiamo, infatti, non è costituito solo dal luogo fisico individuato dall’ingresso alla chiesa madre di Mascali, ma anche da quello storico delle determinazioni formali più significative assunte nella storia dal sagrato, oltre che dalle radici culturali del contesto in cui ci troviamo ad operare, della cosiddetta civiltà etnea.

Il progetto
Il progetto si propone di interpretare il sagrato come luogo del limite; come filtro e luogo di relazione fra l’interno sacro e il continuum urbano.
Esso viene potenziato nelle sue ‘funzioni’, prolungato ed esteso, fino a produrre una vera e propria rimodellazione urbana e paesaggistica degli spazi esterni. Tale prolungamento, condotto sulla linea diagonale dello stacco da terra che connota il sagrato, finisce per incidere il suolo, proiettandone lo spazio verso l’antistante piazza. Simbolicamente, si propone la proiezione non solo della facciata, ma dell’intero spazio sacro della chiesa, fino a produrne il volume negativo.
Si definisce, così, un’operazione di ‘rovesciamento’ che mira a svelare le tracce originarie del processo di costruzione dell’architettura, producendo il luogo simbolico della cava da cui sono stati estratti i frammenti architettonici della costruzione. Nello scavare, le tracce
dell’esterno della chiesa diventano ‘interne’, restituendo l’immagine del recinto cultuale.
In questo modo, si realizza un luogo spazialmente in ‘bilico’ fra le due polarità dell’interno sacro e dell’esterno laico, in una unitaria e paradigmatica interazione. Nella cavità prodotta dal rovesciamento architettonico del sagrato e della chiesa esistenti possono, volendo, essere proiettate le stesse funzioni religiose. Ma soprattutto essa potrà ospitare spettacoli, incontri, proiezioni ed esposizioni.
Le tracce volumetrico-architettoniche originate dall’operazione di sottrazione, impresse nella viva roccia, organizzano la spazialità ipogea e spiralica di un nuovo Museo della lava, oltre che di un parcheggio pluripiano. La colata lavica che distrusse e rase al suolo l’antica cittadina di Mascali si trasforma così in evento positivo e costruttivo, restituendo nelle sue cavità modellate ulteriori possibilità dell’Abitare.
In ultima analisi, questa riorganizzazione urbana e paesaggistica caratterizzata dalle forti ombre del negativo della chiesa, contrapposte alla sua massa volumetrica fuori terra, dovrebbe ricondurre alle primigenie esperienze spaziali delle basiliche riutilizzate dai cristiani, al cui interno longitudinale e ‘simmetrico’ si accedeva da un fianco.

Note
1. Questo progetto non avrebbe mai visto la luce, ma dovrei dire il buio, senza il prezioso
contributo di: Luigi Bonanno, Antonio Coco, Lucia La Giusa, Francesco Miroddi.

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