Diagnostica e prevenzione

Come affrontare l’umidità

Le prima difficoltà da superare nel progettare il restauro di un edificio storico sta nell’identificare il tipo di intervento più adatto, con l’uso di strumentazioni e l’osservazione sistematica del fenomeno, il rapporto causa effetto tra l’umidità eil degrado, visibile e non visibile. Ne parlano Irene Bufalino e Marco Brognoli.

L’indagine preventiva riveste un ruolo fondamentale, perché essendo cronologicamente anteriore al restauro si concentra sullo scopo e indirizza le scelte successive. L’obiettivo è quello di scegliere gli interventi più opportuni, bilanciando la relazione costi-benefici, sempre nel rispetto del rapporto causa-effetto. Solo dopo avere individuato le cause si può infatti prevedere un’azione significativa volta ad eliminare, o almeno contenere, le spiacevoli conseguenze. Non si pensi tuttavia che per trovare le cause sia necessario praticare numerose e costose indagini oppure progettare interventi massivi: a volte le soluzioni sono più semplici di quanto si possa supporre. Senza dubbio l’interpretazione dei dati raccolti, nonché la scelta delle indagini preventive più indicate per l’opera specifica, richiedono capacità ed esperienza professionale notevoli, per evitare innanzi tutto di praticare esami costosi e/o superflui per una corretta diagnosi, oppure di disporre di una grande quantità di dati, che però non stabiliscono tra loro relazioni significative. Tali interventi devono pertanto rispondere a criteri qualitativi più che quantitativi (non dimenticando l’inevitabile risvolto economico). E’ altrettanto vero che un investimento iniziale in fase diagnostica generalmente si traduce in un risparmio sulle spese di restauro e di consolidamento, che in questo modo risultano più finalizzate.

Nelle foto: Cripta del Sacello di San Vittore in Ciel d’Oro: analisi microclimatica a livello del pavimento.
Cripta del Sacello di San Vittore in CIel d’Oro nella Basilica di S. Ambrogio a Milano.Vista verso la scala.
Basilica di S. Ambrogio a Milano, Cripta del Sacello di San Vittore in Ciel d’Oro: l’altare.

Non è facile tuttavia effettuare la diagnosi dell’umidità nei muri di edifici di culto, siano essi antichi o moderni. Più tecnicamente, il degrado può essere dovuto ad una combinazione di diversi fattori. In generale, i fenomeni principali di umidità si possono distinguere in: 

– assorbimento di acqua dal sottosuolo (umidità ascendente o di risalita);
– condensazione di aria umida (umidità da condensazione);
– infiltrazioni da perdite locali o da pioggia di stravento (umidità da acque disperse).
Questi fenomeni provocano il degrado delle murature. Si manifestano con antiestetiche macchie di muffa diffuse sulle pareti (con proliferazione di muschi,funghi e licheni), con alcuni fenomeni di cristallizzazione dei sali solubili.

Ne consegue la formazione di efflorescenze biancastre sulle murature e la disgregazione e polverizzazione dell’intonaco superficiale. Tali situazioni sgradevoli, oltre a provocare danni permanenti alle strutture murarie ed alle superfici pittoriche (a volte anche di notevole valore artistico), possono anche irritare eventuali soggetti allergici o con disturbi alle vie respiratorie. Per una corretta diagnosi è dunque indispensabile raccogliere dati strumentali, che verifichino scientificamente i fenomeni sopra indicati. Attraverso l’impiego di speciali e moderne apparecchiature è possibile rilevare in tempo reale la distribuzione dei valori di umidità e delle temperature nelle pareti. Tali dati consentono una diagnosi iniziale corretta, sufficiente per escludere interventi errati, come ad esempio l’impiego di materiali non compatibili o di metodi eccessivamente invasivi. Il Prof. Pietro Segala, ex-direttore dell’Ufficio Studi della Scuola di Restauro di Botticino (BS) e Presidente di cooperativa per la salvaguardia del patrimonio storico “Cultura Imprenditiva” di Brescia commenta: «Nelle chiese è ancora più importante saper individuare le cause dei fattori di degrado per limitarne il più possibile gli effetti sui materiali di storia e d’arte. Le chiese sono spazi di vita quotidiana, nei quali le condizioni ambientali (temperatura, umidità, pressione, illuminazione) sono essenziali, sia per il patrimonio storico che per le persone che con quel patrimonio convivono per fede, o per amore dell’arte. Condizioni ambientali che devono essere mantenute sempre stabili, perché ogni variazione di temperatura, umidità e pressione provoca danni avvertibili nell’immediato, solo con specifiche analisi scientifiche». Le numerose esperienze maturate nel campo della conservazione e del restauro hanno dimostrato l’importanza della diagnostica come fase precedente al progetto di intervento. Soltanto attraverso un accurato studio dell’opera da restaurare è possibile fare una diagnosi corretta del suo stato di conservazione.

Nelle foto: L’immagine termografica della Cripta del Sacello di San Vittore in Ciel d’Oro mostra l’umidità da risalita capillare.
Immagine termografica di una parete all’interno del Santuario Madonna della Salute in San Rocchino a Brescia.

«La diagnos
tica non solo è importante ma è necessaria» spiega Don Secondo Moretti, ex-parroco della Chiesa della SS. Trinità e del Santuario della Madonna della Salute in Brescia, «perché una delle difficoltà maggiori negli edifici sacri è senz’altro l’umidità oltre alla situazione statica. La soluzione non viene se non da una esatta diagnostica. Quindi la diagnostica va accolta ed incoraggiata: credo che le indagini siano sempre da proporre». «Il concetto generale di avere a disposizione il maggior numero di dati possibile prima di progettare sta alla base delle stesse nuove opere» sottolinea l’arch. Fausto Simeoni, Presidente della Commissione dei Beni Culturali della Diocesi di Brescia. «A maggior ragione il criterio delle diagnosi deve fondare ogni ipotesi di lavoro sull’edilizia esistente ed in particolare sui cosiddetti Beni Culturali, in cui sono compresi quelli destinati al culto. Solo così si può procedere con maggiore precisione a progettare i restauri».

Nelle foto: Immagini termografiche di una parete all’interno della Chiesa di S.Agostino a Milano. E’ evidente il fenomeno dell’umidità da risalita capillare.

L’arch. Don Diego Tiraboschi, direttore dell’Ufficio Diocesano Arte Sacra e Beni Culturali Ecclesiastici della Curia di Bergamo, ribadisce che «la diagnostica è necessaria perché il progettista possa programmare l’opportunità di determinati interventi, e di questi progettare metodologie e materiali adeguati alla necessità reale e compatibili con l’esistente. Tra l’altro una diagnosi corretta eviterebbe di fare interventi inutili, a volte dannosi». «Ogni intervento è diverso da ogni altro» dice il Prof. Segala, spiegando che le differenze qualitative si evidenziano soltanto con pertinenti ed esaustive (ma non necessariamente numerosissime) analisi preventive, «analisi che, oltre a documentare l’entità e la diffusione del degradopresente, anzitutto individuino le cause del degrado consolidato o in atto.

Diversamente, se le cause saranno ignorate e non rimosse, ogni intervento potrà produrre più danni (quasi sempre diversi) da quelli riparati». Volendo dunque definire il campo di azione della diagnostica si può dire che essa si rivolge alle caratteristiche meccaniche e fisico-chimiche dei materiali presenti nel complesso architettonico; verifica le condizioni di degrado, le eventuali manomissioni, dissesti, danni non riparati, cedimenti strutturali. E’ chiaro che alla fase della diagnosi deve seguire immediatamente quella in cui si individuano le soluzioni progettuali, senza le quali l’azione perde efficacia. L’accertamento diagnostico deve infatti prevedere e giustificare gli interventi statici-architettonici, fornendo la dimostrazione, su base scientifica, della necessità, possibilità ed efficacia della proposta, secondo il criterio dell’intervento minimo ed appropriato. L’arch. Simeoni conferma che «l’umidità è l’elemento primo da combattere per la salvaguardia di ogni struttura. Senza aver vinto o, almeno, ridotto di molto le deleterie conseguenze dell’umidità nei muri è inutile – o alquanto sterile – procedere con i restauri veri e propri». Don Secondo Moretti, in merito ai metodi utilizzati per diagnosticare il problema dell’umidità, commenta: «Non sono solo efficaci, ma sorprendenti. I risultati delle indagini possono essere letti anche da una persona che non è architetto o ingegnere:possono essere chiari a tutti».

Metodologie di indagine per l’individuazione dei fenomeni di umidità

La termografia all’infrarosso ha un ruolo fondamentale tra le metodologie di indagine non distruttive impiegate, a partire dall’analisi diagnostica del manufatto fino alla verifica della qualità degli interventi effettuati. Il metodo, trattato dalla norma UNI 9252:88 e dalla norma ISO 6781:83, è particolarmente vantaggioso, poiché è in grado di rilevare la morfologia di murature intonacate o affrescate, là dove non sia possibile utilizzare tecniche che prevedano il contatto superficiale o il prelievo di campioni e consente quindi un’analisi qualitativa non invasiva. In abbinamento alle indagini termografiche vengono effettuate analisi microclimatiche e prove gravimetriche: si tratta di prove in situ non distruttive, che forniscono valori quantitativi sulla distribuzione dell’umidità nell’ambiente e nelle strutture murarie. Le prime permettono di ottenere un quadro delle caratteristiche termoigrometriche della muratura attraverso la misura dei valori di umidità relativa e temperatura, identificando in tal modo le discontinuità per individuare le cause di degrado. Le seconde, la cui procedura è definita dalle Raccomandazioni NorMaL (Normative Manufatti Lapidei curate dall’ÌI.C.R. con il patrocinio dei Centri C.N.R.), consentono di ricavare la percentuale di umidità presente nella muratura e le sue caratteristiche di imbibizione, determinando i valori ponderali di acqua contenuta. Il Prof. Segala a questo proposito sottolinea il fattore da accertare con maggiore attenzione: il rapporto tra temperatura e umidità. «Come è noto, ogni variazione di temperatura ingenera sempre anche diversi comportamenti dell’umidità presente nell’ambiente e nei materiali sui quali si debba operare. Per questo il controllo dell’una dovrebbe essere sempre condotto in concomitanza con il controllo dell’altra». Il Professore continua commentando che: «a fronte della varietà e complessità dei problemi e delle strategie possibili, è determinante l’apporto di organismi di ricerca e di analisi altamente qualificati, anche per l’accertata versatilità delle competenze e delle applicazioni. Almeno in riferimento alle mie personali conoscenze, le metodologie di indagine e le competenze diagnostiche della ditta IDES (Indagini Diagnostiche Edifici Storici, di Brescia) appaiono tra le più qualificate».

Tecniche per interrompere l’umidità di risalita nei muri

Per eliminare la risalita dell’umidità all’interno dei muri occorre intervenire sulle cause che la determinano. I fattori che provocano l’insorgere dell’umidità ascende
nte sono riconducibili essenzialmente alla presenza di acqua nel sottosuolo (acqua di falda o acqua dispersa) ed all’assenza di isolamento nelle fondazioni. Nel primo caso l’umidità si può eliminare con sistemi che impediscano il contatto dell’acqua con le murature (mediante intercapedini o vespai).Tali intercapedini risultano di buona efficacia per l’acqua dispersa ma non per l’acqua di falda perché non possono evitare la risalita capillare tramite le fondazioni. Nel secondo caso, per creare uno sbarramento impermeabile all’interno del muro, sono attualmente presenti sul mercato numerose ditte, che propongono metodi per la deumidificazione dei locali interessati da umidità di risalita capillare. Come evidenzia Don Moretti, i parroci ricevono molta pubblicità in merito, ma «su nessuna di queste possono dare una valutazione oggettiva. C’è molto scetticismo di fronte a tutte queste proposte. Se le proposte sono cinquanta e tra queste ci sono cinque proposte serie come faccio a sapere quali sono?divento scettico su tutto».
Circa i metodi di deumidificazione attualmente impiegati, senza entrare nel merito dell’efficacia e della compatibilità con l’esigenza di tutela e di conservazione del bene culturale, si segnalano:
– metodi chimici: sistemi di deumidificazione che ricorrono all’immissione all’interno delle murature di formulati chimici liquidi; servono per creare una barriera idrorepellente capace di opporsi al potere di assorbimento dei muri (es. Tecnored; Peter Cox; S. Paolo);
– metodi a compensazione di carica: sfruttano il principio del campo elettrico naturale, ossia il fatto che tra la muratura umida (al piede) e la muratura asciutta (in alto) si crea una differenza di potenziale spontanea dovuta al moto ascensionale capillare dell’acqua. Il sistema consiste nell’inserimento nella muratura di barre di acciaio.
Queste subiscono induzione elettrostatica e generano un proprio campo elettrico spingendo l’acqua della muratura in direzione del terreno (es. D.L.K.);
– metodi elettro-osmotici: consistono nell’invertire la differenza di potenziale (che si crea spontaneamente nella muratura) mediante l’applicazione di un flusso costante di corrente continua a basso voltaggio, in modo da attrarre l’acqua ed i sali nel sottosuolo, impedendo la risalita dell’acqua nella muratura;
– metodi elettro-fisici: vengono utilizzate apparecchiature elettroniche non invasive opportunamente tarate, le quali tramite l’emissione di un debole campo elettromagnetico, che si propaga all’interno delle murature, intercettano i dipoli dell’acqua, presenti per il fenomeno della capillarità. L’interazione tra il campo elettromagnetico indotto dalle apparecchiature e quello prodotto dai dipoli  ll’acqua, provoca una forza di repulsione nelle molecole d’acqua tale da farla ritornare, attraverso i capillari dei materiali da costruzione, nel terreno da dove proviene (es. S.K.M. Soluzioni Kalibrate per Murature). «I metodi efficaci e duraturi per la deumidificazione non sono molti» spiega l’arch. Simeoni, «a volte occorre applicare simultaneamente più di un metodo. Ma occorre tener presente che dall’acqua nei muri ci si difende soltanto allontanandola o sbarrandole la strada il più lontano possibile dagli edifici. Quindi, se si individua l’origine dell’umidità in canali o in vene di ruscellamento sotterraneo o simili, bisogna prima di tutto deviare il flusso portatore o, comunque, frapporre fra questo e gli edifici una vera e propria “barriera”. Ritengo fra i più idonei metodi di difesa dall’umidità capillare di risalita quello elettro-fisico».

Arch. Irene Bufalino, Ing. Marco Brognoli IDES – Indagini Diagnostiche Edifici Storici www.idesweb.it

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