QUANDO IL DESIGN VESTE IL RITO

La stretta sinergia tra liturgista, artista e architetto (Silvano Maggiani, Robert Morris e Paolo Bedogni) permette alla Cattedrale di Prato di incontrare un nuovo equilibrio tra rito postconciliare e antichi spazi. Così la tradizione evolve trovando continuità anche nei segni contemporanei.

Il progetto di adeguamento della Cattedrale di S. Stefano in Prato rappresenta il compimento di un lungo cammino di restauro, iniziato negli anni Novanta e concluso con la riapertura della cappella centrale, dove oggi si può ammirare il ciclo di Filippo Lippi nel suo pieno splendore.
Il delicato intervento di adeguamento va considerato secondo la visione unitaria voluta dal Vescovo, S.E. Mons. Gastone Simoni e dalla Commissione scientifica, composta da storici dell’arte, architetti e liturgisti locali. Questa ha incaricato l’artista minimalista americano Robert Morris, il liturgista fr. Silvano Maggiani o.s.m., il critico d’arte contemporanea Don Giuseppe Billi e il sottoscritto, per compiere l’opera di adeguamento dei luoghi celebrativi.
Le fasi dei lavori si sono susseguite nel corso di circa 15 anni, con approfonditi studi storici che hanno fatto emergere lo spirito del luogo in tutte le sue articolazioni spaziali. Tali studi hanno fornito i riferimenti per l’adeguamento, ispirando la stessa innovazione nelle singole opere d’arte. Il linguaggio contemporaneo, nella ritrovata spazialità dello spirito del luogo e nelle singole opere dell’arte liturgica, hanno contribuito a una efficace caratterizzazione dei poli liturgici (altare, ambone, cattedra vescovile, sede del presidente non vescovo) ai quali converge l’assemblea nelle diverse celebrazioni. Al risultato ottenuto ha portato un’attenta lettura dei documenti storici: per esempio, nella pianta antica si nota la disposizione dell’antico coro liturgico e questo ha consentito di individuare il luogo ove è stato collocato il nuovo altare composto da Robert Morris.L’ampio spazio circumstantes (come richiesto dal liturgista Maggiani) accoglie intorno all’altare l’assemblea tutta sui vari livelli storici della chiesa (lo spazio dell’altare è sopraelevato di tre gradini rispetto alla navata e quello della cattedra di altri sei gradini). Durante le grandi celebrazioni, tutto lo spazio ai vari livelli prende vita, in modo avvolgente: con la presenza di tutta l’assemblea nell’aula “articolata in modo tale che l’altare ne costituisca il punto principale di riferimento“ (art. 15, Nota Pastorale CEI, 1996). Perché lo spazio storicizzato della Cattedrale è stato pensato in modo tale da “vestire l’assemblea” nella sua gerarchica poliedricità di ministeri, nell’unico sacerdozio comune. Solo con la “chiesa” in azione si riesce a comunicare il servizio liturgico con immagini del celebrare nei diversi luoghi. Il dialogo tra artista, architetto, liturgista ha prodotto semplici opere dell’arte, interpretazione del dettato conciliare per una partecipazione attiva e dinamica. Il livello dell’antico coro elevato di tre gradini, oggi luogo dell’altare, è il centro gravitazionale.

Il progetto per la disposizione delle panche “circumstantes” (si nota che il centro del circolo è costituito dallo “onphalon”, lo spazio libero antistante l’altare; attualmente le panche realizzate secondo tale progetto sono collocate sulla pedana sopraelevata mentre nella navata restano ancora le vecchie panche); il segno ispiratore dei percorsi rituali per una celebrazione dinamica, non statica; la processione conclusiva di una celebrazione solenne evidenzia la potenzialità dello spazio liturgico; la nuova cattedra con due sedute laterali, realizzata su disegno.È questo lo spazio che attira, non solo appena si varca la soglia nei momenti di riposo, ma anche durante le celebrazioni. La dinamica dello spazio prevede che, compiuta la proclamazione della Parola, il vescovo dalla cattedra (o il presidente non vescovo dalla sua sede), i presbiteri e i diaconi si incamminino verso l’altare. Questo movimento segna il passaggio da un tempo della celebrazione a un altro: crea sospensione, attesa e rende la celebrazione viva donandole nuovo respiro; nello stesso tempo definisce luoghi differenti per ogni celebrazione (cattedra, sede, ambone, altare). Tutto questo nel rispetto di una chiesa documentata dal X secolo ma resa cattedrale solo nel 1653, di modeste dimensioni, con navata stretta intervallata da grandi pilastrate: l’edificio infatti sorse nel Medioevo come piccola Pieve pensata per la devozione del Sacro Cingolo. In tale contesto, l’ipotesi di collocare la cattedra in una posizione più a contatto con l’assemblea e prossima alla Parola, in linea teorica condivisibile, non ha trovato soluzioni soddisfacenti e tali da rispettare gli spazi fisici a disposizione.
Diverse sono state le proposte per l’utilizzo del pulpito di Mino da Fiesole, sia con accesso elicoidale con grande portacero centrale, sia con soluzioni in collegamento al presbiterio. La Commissione scientifica non ha ritenuto praticabili tali proposte, nonostante l’analogia con il pergamo esterno di Donatello, attorno al quale, ancora oggi, la gente è abituata a radunarsi, con lo sguardo rivolto verso l’alto. La dinamicità liturgica è affidata allo spazio, nella valorizzazione dello spirito del luogo, nel rispetto dei vari livelli, con forme, materiali e disposizioni pensate perché il tutto concorra al servizio liturgico. L’assemblea, in base a questa arte, identifica nel Vescovo (grandi celebrazioni) e nel Presidente non vescovo (celebrazioni quotidiane) il primo e l’ultimo sacerdote della stessa assemblea celebrante. Questo percorso creativo, tradotto in un linguaggio contemporaneo dall’artista, dall’architetto e dal liturgista, non è rappresentabile negli spazi vuoti, ma nella dinamica della celebrazione, in cui si coglie la presenza del Vescovo con il suo magistero e dell’ assemblea, intesa quale “popolo di sacerdoti” partecipe all’azione. Lo studio dei singoli luoghi e dei particolari tecnici e materici appartenenti all’arte per la liturgia rimanda a un silenzioso messaggio impalpabile. Sembra quasi che la Cattedrale non abbia subito alcun intervento: come dire, niente in tutto!
L’orientamento minimalista dettato dall’artista Robert Morris, padre di questa nuova corrente internazionale, ha corrisposto a un intervento altrettanto minimale tra la salvaguardia dei monumenti, la valorizzazione e l’innovazione. Si auspica che la dinamica dei luoghi liturgici definisca, come dice fr. Maggiani, un vero e proprio “spazio felice”.

APPROFONDIMENTO
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Progettista e d.l.: Arch. Paolo Bedogni
Consulente liturgico: Prof. fr. Silvano Maggiani, O.S.M.
Artista: Robert Morris
Foto: Paolo Bedogni

 

L’adeguamento dell’area dell’altare della Cattedrale di Santo Stefano è stato guidato dall’ecclesiologia di comunione (Lumen Gentium, 1-17) al fine di orientare l’assemblea, gerarchicamente ordinata, circumstantes, al fuoco eminenziale dell’altare, al luogo-monumento dell’ambone, già frutto di un primo adeguamento, coinvolgendo la cattedra del Vescovo. Non è facile, in un’architettura maturata con altri principi e orientamenti ecclesiologici, articolare i luoghi della celebrazione secondo l’ecclesiologia e la liturgia del Vaticano II. Deve essere prestata molta cura all’esistente ma ci vuole coraggio inventivo per rispettare i temi autentici che devono orientare i modelli. La dinamica di un’assemblea circumstantes, è stata messa in opera valorizzando gli spazi dell’area presbiterale e adeguandoli, avendo chiaro che tale dinamica era ben lontana dal voler situare il vescovo, “principale dispensatore dei doni di Dio” (Christus Dominus, 15), i ministri, i canonici, i fedeli attorno all’altare come se fossero intruppati in una cavea teatrale. Ministri e fedeli sono situati nella loro specificità in opposizione polare, comunità-individuo, come direbbe R. Guardini, ed è valorizzata un’effettiva e reciproca relazione con le eminenzialità simboliche, non soltanto in senso spaziale: la relazione è facilitata da percorsi rituali in vista delle peculiari azioni liturgiche. La preoccupazione primaria è di agire e “vedere” i misteri che si celebrano e non di vedersi o essere visti. L’armonicità tra la disposizione dei componenti l’assemblea e l’azione propria di ogni processo rituale, vissuta in relazione ai luoghi, qualifica di “felice” l’aula cattedrale perché favorisce l’accoglienza del dono donato in Spirito Santo e serve il celebrare, con arte, la glorificazione di Dio (Sacrosanctum Concilium, 7).
Rev. Prof. Silvano Maggiani O.S.M.Mosaici e vetrate d’arte – restauri
http://pro.dibaio.com/peresson-vetrate-artistiche

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