Dalle carbonaie alle stufe:


ANTICHE TRADIZIONI E NUOVE TECNOLOGIE

Cosa c’entrano le antiche carbonaie con le moderne stufe a legna?
Il nesso è nella tecnica di combustione e nel controllo dell’aria, con cui un tempo si otteneva
la carbonizzazione della legna e oggi si bruciano i gas ancora incombusti per ottenere
elevati rendimenti termici, bassi consumi di legna e fumi puliti

La tecnologia delle stufe del Nord Europa nasce dalla storia e dalla tradizione italiana nella produzione del carbone. Oggi, con il sistema Woodbox, questa azienda nordeuropea ha voluto ottenere il massimo dalla combustione della legna; perfezionando il principio di funzionamento della carbonaia (vedi pagina accanto) si ottiene la trasformazione
della legna in carbone e, nel contempo, il recupero di ulteriore calore attraverso la combustione dei gas di scarto.

Durante il funzionamento, un apparecchio con tecnologia Woodbox garantisce all’interno della sua camera di combustione un innalzamento di temperatura molto elevato (circa 700°C) con il totale controllo delle immissioni d’aria al fine di favorire la completa combustione delle parti gassose, prodotte dalla trasformazione della legna in carbone, attraverso la postcombustione (vedi box sotto).
Con i modelli Woodbox, per la prima volta in assoluto, stufe e inserti a legna vengono dotati di telecomando termostatico, che consente di impostare la temperatura ambiente desiderata. (Nestor Martin)

LA POSTCOMBUSTIONE

La combustione dei gas non ancora bruciati della legna, detta postcombustione, non solo garantisce un rendimento termico tra i più elevati ma permette di ridurre in maniera considerevole le emissioni di gas nocivi e, nello stesso tempo, è anche uno spettacolo che regala emozioni visive incomparabili, con le fiamme che danzano lentamente
sopra i ceppi apparentemente spenti.

La postcombustione consente di bruciare il monossido di carbonio (CO, gas velenoso) presente nei fumi della combustione primaria: la fiamma, lambendo la parte superiore della stufa, molto calda, e con l’ausilio di immissione di aria ricca di ossigeno (aria secondaria) dà luogo al fenomeno di "pirolisi", che brucia il monossido di carbonio, ottenendo così una bassa emissione di materiale inquinante, alta resa della legna e molto calore in più con bassissimi consumi ed elevata sicurezza.
La fase successiva di carbonizzazione brucia le ultime parti solide rimaste e assicura un riscaldamento in assenza di fiamma fino ad almeno dieci ore di autonomia.

UN’ANTICA TECNICA

LA CARBONAIA

Quella della carbonaia era una tecnica secolare usata in passato in gran parte del territorio alpino, subalpino e appenninico, per trasformare la legna, preferibilmente di faggio, ma anche di abete, larice, frassino, castagno, cerro, pino e pino mugo, in carbone. Con la sua forma di montagnola conica, formata da un camino centrale e altri cunicoli di sfogo laterali, usati per regolare il tiraggio dell’aria, la carbonaia creava la condizione utile a favorire la trasformazione della legna in carbone per mezzo della gassificazione del carbonio, ottenuta grazie all’alta temperatura raggiunta al suo interno e un perfetto controllo delle immissioni d’aria nei cunicoli costantemente controllati dal conduttore. La prima fase del lavoro consisteva nella preparazione della legna.

Ecco come si presenta una carbonaia in costruzione: si notano i vari strati di materiale fino al terriccio di copertura.
Una volta terminato il processo di combustione lenta, si raffredda il carbone con palate di terra e si spengono eventuali braci; infine si procede all’insaccamento.

I carbonai tagliavano gli alberi in una parte di bosco loro assegnato, rispettando alcune disposizioni di legge che prevedevano un diradamento delle piante e non un esbosco. Dopo la diramatura del legname, questo veniva portato a una lunghezza di circa un metro e, dopo 10-15 giorni di essiccazione, veniva trasportato nella piazza da carbone. Qui la legna veniva disposta in cerchio. Per favorire la carbonizzazione, il legname più grosso, al centro, doveva essere spezzato e la legna veniva ben stipata, per evitare interstizi aerati che potevano compromettere la riuscita della cottura. Si faceva poi la copertura: in basso si collocavano rami di abete rosso, in alto uno strato di 8-10 cm di foglie secche e, sopra, terriccio ripulito dai sassi, allo scopo di isolare la legna dall’aria. Quindi si procedeva alla cottura immettendo delle braci al centro e man mano alimentando la combustione con nuova legna, nel contempo regolando i fori di aerazione per un andamento lento, fino alla carbonizzazione totale: la legna diminuiva in volume del 40% e in peso dell’80%.

 

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