Dal settecento a oggi una dimora ideale per le vacanze


Nella campagna attorno a Cuneo

Risale alla fine del Settecento questa rustica dimora immersa nel dolce paesaggio collinare, articolata su tre piani e conservatasi nel tempo come casa di vacanza: una razionale operazione di risanamento ha rimesso in luce le caratteristiche originarie ed ha aggiornato la dotazione impiantistica e tecnologica per la vita odierna

Costruita alla fine del Settecento, come dimora per una nobile famiglia piemontese che si staccava dalla città per trascorrervi le vacanze, questa casa si sviluppa su ben tre piani e quindi non presenta certo carenza di spazi: l’intervento attuale di risanamento conservativo ha quindi mantenuto il complessivo impianto spaziale dell’edificio,
nello stesso tempo valorizzando le sue caratteristiche architettoniche più rilevanti.
Vale a dire i soffitti a volta (a botte o a vela) o scanditi dalle massicce travi di legno di castagno, il pavimento di cotto nel salone al primo piano e in alcune camere in mansarda, i caminetti di mattoni o di marmo, i mobili antichi, sia
rustici che eleganti.

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Naturalmente tutto è stato sottoposto a un’attenta opera di ripulitura e di ripristino dell’aspetto originario: le volte sono state scrostate dai vecchi intonaci, reintonacate e ridipinte, le travi sono state sabbiate e quindi trattate con impregnante che ne ha intensificato il naturale colore, il cotto pulito con acido molto diluito e, dopo la perfetta asciugatura, trattato con cere naturali, i caminetti sabbiati nelle parti di legno, mattoni e marmo, ripristinati nelle parti mancanti di refrattari e trattati con un protettivo specifico per ogni materiale, i mobili ripuliti delle vecchie patine, trattati contro i tarli e rifiniti con cere d’api. È stato solo necessario sostituire alcuni pavimenti non più recuperabili con quarzite al piano terreno e cotto ai piani superiori, rifare i serramenti in legno laccato bianco e,
ovviamente, aggiornare gli impianti tecnologici.

In questa pagina: la cucina con soffitti a volta è stata completamente rinnovata inserendo tutti gli apparecchi in una struttura muraria rivestita di piastrelle di un caldo colore solare e decorando gli archi con stencil nella stessa tonalità. Pagina accanto: il soggiorno al piano terreno è arredato con mobili rustici d’epoca della Val Varaita, camino di mattoni
e trave in legno, imbottiti tradizionali, foto familiari e stampe d’epoca.

Il grande salone al primo piano ha ancora l’originale pavimento in cotto e la struttura di travi a soffitto: la grande luminosità dell’ambiente ha favorito l’inserimento di piante verdi, sui tavoli o nella culla rustica, che ben si armonizzano al tessuto fiorato che riveste gli imbottiti di linea classica; al centro della zona conversazione un
tavolino ottocentesco d’arte povera, come anche il tavolo da pranzo, e sulla parete un decorativo arazzo; il camino
di marmo è coevo della casa (ma la struttura di refrattari è stata ricostruita) e ospita sulla mensola una preziosa collezione di piatti antichi di porcellana inglese in decoro blu.

Nella foto grande: la camera matrimoniale è situata sotto lo spiovente del tetto, completamente rivestito di legno di abete tinto dello stesso colore delle travi di castagno, il pavimento è di cotto fatto a mano e il letto, tra i due comodini rustici, è di linea classicamente moderna.
Nella pagina accanto dall’alto: una camera è dotata di un angolo studio con un tavolo fratino seicentesco e un secrétaire inglese dell’Ottocento, oltre al letto della tradizione cuneese della stessa epoca; un’altra camera è arredata con un letto in ferro battuto tradizionale, un armadio rustico, una stufa di ghisa sul modello delle Godin
ottocentesche e (ultima foto) da un trespolo di ferro battuto laccato di bianco (per meglio stagliarsi sul pavimento di
cotto antico), alzata e piano di marmo venato che incassa il catino di ferro zincato, specchio d’ottone: una volta questo era tutto quello che avevano per provvedere alla toeletta mattutina.

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Di fronte a
lla casa, verso il paesaggio che digrada lentamente sulle colline delle Langhe che si scorgono all’orizzonte,
questa vecchia costruzione lasciata intatta nelle sue linee e nei suoi materiali (pareti di pietra intonacata e pilastri di mattoni, tetto di coppi e comignolo di laterizio e rame), ospita all’ombra delle ortensie e dei rampicanti il pozzo che ancora oggi dà acqua fresca e leggera, quasi oligominerale, e il grande forno da pane, che funziona perfettamente e
riunisce intorno a sé i familiari e i loro numerosi amici per allegre tavolate all’aperto allietate dalle squisite pietanze cotte in esso e profumate dagli aromi della legna stagionata, proveniente dai vicini, ombrosi boschi di latifoglie.

Il pozzo

Quella del pozzo è un’immagine poetica tra le più frequenti nella tradizione popolare e folcloristica della cultura occidentale, protagonista di favole, leggende e ataviche superstizioni, un’immagine magica che racchiude in sé un duplice significato: da una parte il buio, l’oscurità, il mistero che circonda quanto fugge alla pochezza della nostra umana comprensione, dall’altra l’acqua, la fertilità, la vita che continuamente si rinnova e che dal fondo di quella oscurità si dona all’uomo. Ed appare subito emblematico che Thomas Mann, nell’incipit di una delle più grandi opere narrative della modernità, riproponga ancora una volta questa ancestrale metafora ponendola in stretta relazione
con la pregnanza semantica che il concetto di passato assume per l’uomo del Novecento. Come se dai meandri incomprensibili del nostro passato individuale e sociale sgorgasse la linfa vitale della nostra stessa esistenza presente e futura. Ma leggiamo, a tale proposito, le parole di commento scritte dal filosofo Enzo Paci, probabilmente il più illustre interprete italiano della fenomenologia, studioso di Husserl, dell’esistenzialismo francese e tra i primi traduttori in Italia dell’opera di Martin Heidegger:

Enzo Paci, lettera dell’8 gennaio 1962 ad Alberto Mondadori

Nel 1527, all’indomani del sacco di Roma, il Papa Clemente
VII si rifugiò ad Orvieto. Per approvvigionare d’acqua la
rocca dell’Albornoz, in caso di assedio
o conflitto, fu edificato il pozzo di San Patrizio,
su progetto di Antonio da Sangallo il Giovane.
Terminato nel 1537, il pozzo è profondo circa 62 metri e,
al suo interno, sono state realizzate due scalinate
a doppia elica sovrapposte, così progettate
per rendere più agevole il trasporto dell’acqua.

Quanto più avanza verso l’avvenire, e quanto più estende il suo orizzonte, tanto più l’uomo penetra nel mistero del passato e lo rende presente. Quanto più l’uomo cerca se stesso nella storia e nelle proprie origini, tanto più si apre ad una cultura più relazionata e più organica, alla possibilità di una vita nuova. La vera novità è un passo verso il passato e la vera comprensione del passato è un passo verso l’avvenire.

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