Dal Magistero alla progettazione


Il R.mo P. Abate Dom Michael John Zielinski, OSB, ha accettato di rispondere ad alcune domande sul primo Master per architetti, ingegneri e artisti organizzato dalla Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa, della quale egli è il vicepresidente. Il discorso di allarga alla relazione tra Chiesa e mondo delle arti nel mondo contemporaneo.

A partire dal settembre 2007, è stato attivato presso l’Università Europea di Roma e l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum un "Master" per il perfezionamento di architetti, ingegneri e artisti: in che cosa si distingue dagli altri corsi di specializzazione e "master" già esistenti?

Negli ultimi anni si è osservato un sempre maggiore interesse nello studio dell’architettura e arte sacra, attraverso
l’istituzione di numerosi corsi di specializzazione post-universitaria, rivolti, in particolare, a quanti sono chiamati, attraverso la propria professionalità, a collaborare con i Vescovi nella progettazione e realizzazione di nuovi edifici di culto.
Il Master “Architettura, arti sacre e liturgia”, che si svolge per la prima volta in questo anno accademico presso l’Università Europea di Roma e l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, si inserisce in questo percorso con spirito di complementarietà.
Da numerosi ambienti ecclesiali e artistici di tutto il mondo sono pervenute alla Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa richieste per l’istituzione di un corso dove ognuno dei "protagonisti" dell’arte e architettura sacra – dal sacerdote all’artista, dall’architetto all’ingegnere al musicista – potessero ricevere una formazione adeguata nel campo delle arti liturgiche, per poter servire veramente e utilmente la Chiesa. Nel suo ministero ormai ventennale,
la Pontificia Commissione ha potuto constatare e promuovere, secondo le più varie esperienze, l’esigenza di una formazione integrale di persone che fossero in grado di coltivare la dimensione sacramentale dell’arte al servizio della liturgia e condurla a quella dimensione simbolica che esprima attraverso il visibile l’invisibile.
Dalle istituzioni accademiche promotrici di questo Master, anche per suggerimento della Pontificia Commissione, è nato un percorso formativo costituito da 4 ambiti disciplinari (teologia, arte, architettura e beni culturali), che intende preparare architetti e artisti a progettare lo spazio liturgico secondo una motivata sintonia con il Magistero della Chiesa e il sentimento dei fedeli, assecondando un corretto orientamento rituale, a favore della degna celebrazione del culto cattolico.

Dom Michael J. Zielinski

Prospettiva verso l’abside, chiesa di St. Theresien a Linz, progettata a metà degli anni ‘50 da Rudolf Schwarz, uno dei più prolifici e attenti architetti di chiese, collaboratore di Romano Guardini. (foto da: “Rudolf Schwarz”, Electa, 2000)

Oltre ai citati corsi, negli ultimi quindici anni hanno avuto luogo diverse iniziative le cui implicazioni hanno anche un risvolto di carattere culturale: ritiene che si possa parlare oggi di una cultura più attenta alle necessità della Chiesa?

Nell’epoca moderna è avvenuta una grave frattura fra le arti e la Chiesa. L’arte moderna, infatti, proclamava il suo "non serviam": essa non serviva più, ma reclamava integralmente per se stessa la venerazione dovuta a quanto essa rappresentava. Il consapevole abbandono della verità cristiana e l’assunzione di una visione nichilista del mondo e dell’uomo, sostanzialmente irriducibile a quella cristiana, o il soggettivismo illimitato sono alcuni punti di cui parla, fra
gli altri, Hans Sedlmayr: nelle sue opere è messa particolarmente in risalto la "perdita del centro" come perdita di una centralità nel rapporto tra Dio e l’uomo e dell’acquisizione di una centralità da parte di quest’ultimo che ha, come corollario, l’impossibilità strutturale dell’arte e architettura contemporanee di esprimere un contenuto sacro.
È noto il celebre discorso di Papa Paolo VI agli artisti nella Cappella Sistina il 7 maggio 1964: "Ci permettete una parola franca? Voi ci avete un po’ abbandonati, siete andati lontani, a bere ad altre fontane, alla ricerca sia pure legittima di
esprimere altre cose; ma non più le nostre. … Voi sapete che portiamo una certa ferita nel cuore , quando vi vediamo intenti a certe espressioni artistiche che offendono noi, tutori dell’umanità intera, della definizione completa dell’uomo, della sua sanità, della sua stabilità. … Qualche volta dimenticate il canone fondamentale della vostra consacrazione
all’espressione; non si sa cosa dite, non lo sapete tante volte anche voi: ne segue un linguaggio di Babele … e allora restiamo sorpresi ed intimiditi e distaccati". Oggi, invece, sembra che qualcuno inizi a rispondere ai numerosi appelli pronunciati da Paolo VI e da Giovanni Paolo II.
Gli architetti e gli artisti, infatti, hanno fatto propria la grande preoccupazione e il disagio avvertito nel mondo ecclesiale di non riuscire a produrre luoghi di culto dove sia possibile percepire quel "bello" che è un attributo
di Dio.
Nonostante gli sforzi di alcune personalità protese alla valorizzazione di alcune contestabili produzioni artistiche
ed architettoniche, non manca un’arte sacra che oltrepassi i limiti dell’individualità umana, per rivolgersi e trarre ispirazione dalle "cose di lassù". Questo interesse è un grande segno di speranza, che deve essere custodito e valorizzato nell’alveo della Chiesa.

L’arte, lo ha ricordato anche Giovanni Paolo II, costituisce un linguaggio di carattere universale, attraverso il
quale la Chiesa può dialogare anche con i "lontani": ma in che modo il magistero della Chiesa può dialogare con gli artisti (e gli architetti), così che questi riescano a esprimere contenuti autentici, coerenti con la tradizione
cristiana ma "incarnati" nell’ogg
i?

La Chiesa non vuole "parlare a" ma "parlare con" tutti coloro che desiderano tornare alla contemplazione della bellezza e della vera arte sacra. Il primo passo è quindi la trasmissione dei contenuti principali della fede. Non si può dimenticare che la fede si è sempre fatta cultura infondendo in un mondo ormai stanco, l’inedita fiducia nella bontà delle creature, quelle visibili e quelle invisibili: è accaduto nei primi secoli, deve accadere ancora oggi.
È poi necessario favorire il recupero della memoria e del grande patrimonio dell’arte cristiana, educando l’accettazione critica di una modernità ormai consunta e segnata da problemi ormai insolubili. Occorre dunque un dialogo fecondo fra tradizione e novità, che legga i frutti storici dell’impegno artistico di tanti credenti secondo quell’ermeneutica della continuità spesso richiamata dal Santo Padre Benedetto XVI. Solo così, conoscendo i contenuti della fede e la
tradizione della Chiesa, si può imparare nuovamente a "rivestire il sacro" e sanare quella frattura fra le arti e la Chiesa denunciata già da Paolo VI. In questo momento storico, la Chiesa non può quindi non proclamare con forza che la bellezza non è un elemento estrinseco alla liturgia e neppure è puramente decorativo, ma che è parte integrante
del culto.
Lo stesso Benedetto XVI ci insegna che "Il rapporto tra mistero creduto e celebrato si manifesta in modo peculiare nel valore teologico e liturgico della bellezza. La liturgia, infatti, come del resto la Rivelazione cristiana, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor. Nella liturgia rifulge il Mistero pasquale mediante il quale Cristo stesso ci attrae a sé e ci chiama alla comunione. In Gesù, come soleva dire san Bonaventura, contempliamo la bellezza e il fulgore delle origini. Tale attributo cui facciamo riferimento non è mero estetismo, ma modalità con cui la verità dell’amore di Dio in Cristo ci raggiunge, ci affascina e ci rapisce, facendoci uscire da noi stessi e attraendoci così verso la nostra vera vocazione: l’amore" (Esortazione Apostolica Postsinodale Sacramentum Caritatis, 22 febbraio 2007, n. 35).

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