Da Taricone a Di Pietro: chi amministra gli immobili?

La storia che vogliamo raccontare è quella degli amministratori di condominio o, più pretenziosamente, degli amministratori immobiliari, attività tanto comune da sembrare un passatempo o qualcosa da fare nei ritagli di tempo, quasi un hobby. Ed anche le cronache testimoniano questa leggerezza: l’eroe del Grande Fratello, il macho Pietro Taricone, ha dichiarato di essersi divertito a fare l’amministratore di condominio. Ma ci sono anche testimonianze più autorevoli, come quella del senatore Antonio Di Pietro, che amministrava condomini per mantenersi gli studi. Peraltro, solo una minima parte di quanti esercitano questa attività lo fa a tempo pieno, diremo da professionisti, la gran parte sono pensionati, dopolavoristi, dipendenti e funzionari pubblici. E così.

Nel mentre nel resto dell’Europa per fare l’amministratore immobiliare bisogna dimostrare ad organismi di controllo di averne la competenza ed anche dare garanzie fìanziarie per i capitali gestiti, in Italia chiunque può svolgere questa attività, senza bisogno di rendere conto ad alcuno della propria capacità, competenza ed affidabilità. È ciò nonostante, tenuto conto che nel nostro paese vi sono, per difetto, oltre un milione di edifici in condominio ed almeno 200 mila amministratori, le cose vanno abbastanza bene, perchè fortunatamente episodi di malversazione, se rapportati alla massa dei praticanti, sono pochi. Ma quello dell’amministratore di case è un mestiere antico. Non è nato, come potrebbe sembrare, nell’immediato dopoguerra, ma è sempre esistito perchè strettamente connesso alla proprietà immobiliare: potremo dire che l’amministratore, seppure chiamato in vari modi, c’è sempre stato, dall’antichità fino ai giorni nostri e la sua evoluzione ha accompagnato la trasformazione delle proprietà immobiliare. Nel diritto greco antico esisteva un regime di proprietà, la proprietà in comunione che introduceva il concetto di indivisibilità delle parti comuni dell’immobile.
Orbene, nonostante siano passati 2500 anni, ancora ai giorni nostri questa astrazione divide ed affligge i condomini che, a differenza degli antichi greci, assai ben disposti alle speculazioni filosofiche, non possono concepire il paradosso della cosa che è mia ed al tempo stesso è di tutti.

Ma questo regime di proprietà, giunto a noi solo come nozione, doveva essere regolato in tutto e per tutto e doveva comprendere anche una figura di rappresentante e responsabile, un amministratore, appunto. Questo personaggio è invece ben presente nella Roma antica, fin dalla fine della repubblica. Licinio Crasso, il ricchissimo tycoon del primo triumvirato con Cesare e Pompeo, è un palazzinaro, come si direbbe oggi, che proprio dalla proprietà immobiliare trae le sue ricchezze. Ed è in quel periodo, il I secolo a.C., che Roma raddoppia la popolazione, passa dai 250 mila ai 500 mila abitanti, a causa delle guerre civili, ed arriva subito dopo ai 1,5 milioni di abitanti sotto Augusto e 1,6 milioni sotto gli Antonini, su un estensione territoriale pan all’attuale. Una metropoli, dunque, con tutti i problemi che affliggono ancora oggi le grandi città. Gli edifici della Roma antica sono essenzialmente di due tipi: la domus, la villa padronale dove abita un unica famiglia con la numerosissima servitù, e l’insula, molto simile ai grandi palazzoni popolari costruiti tra gli anni ’30 e ’40, che occupa una superficie di 3-400 metri quadrati per un altezza media tra i 18-20 metri. Di questi edifici, nel periodo di massimo splendore, ce ne sono 47.000 a Roma. Al pianoterra vi erano i locali affari, le tabernae, tutte munite di soppalco interno sul quale abitavano, quasi sospesi, i commercianti o gli artigiani, ai piani superiori gli alloggi, i cenacula. Ad immaginarie così, le insulae non sono dissimili dai moderni condominii, con i locali al pianterreno e sopra gli alloggi, uno sopra l’altro, con ampie finestre e portali; anzi, dal punto di vista estetico, le insulae sono più curate, con decori di stucchi e legni e la simmetria dei mattoni.

Ma il vero problema era la statica: già allora, vi erano i costruttori che lesinavano sui materiali, riducendo lo spessore dei muri portanti, e per questo molto spesso, le strutture cedevano. Ma oltre ad essere precarie, le case prendevano facilmente fuoco, sia per la presenza di materiali infiammabili che per gli speculatori che le incendiavano allo scopo di acquistare l’area a prezzi irrisori. In questa metropoli, con gli edifici costruiti uno a ridosso dell’altro, separati da strette viuzze, pullulanti di umanità varia, agivano gli insularii. Questi prendevano in affitto dal proprietario l’intero edificio, e poi a loro volta lo affittavano, guadagnando enormemente in quanto i canoni erano talmente alti che gli inquilini dovevano a loro volta subaffittare in parte l’alloggio per affrontare questa spesa; siccome l’affitto scendeva man mano che si saliva, gli appartamenti dell’ultimo piano erano stracolmi. Per incassare gli affitti dai più recalcitranti e per sedare le liti, l’insulario si faceva aiutare dai vigilantes, schiavi nerboruti comandati da un sovraintendente le cui funzioni erano proprio quelle di mantenere l’ordine e far rispettare la legge. All’insulario competeva però anche la manutenzione e conservazione dell’insula e la pulizia della strada attorno al perimetro dell’edificio: obblighi disattesi, in quanto la tecnologia di allora non consentiva grandi interventi e le strade erano comunque sporche e maleodoranti. Questo è l’ambiente operativo nel quale si muoveva l’amministratore nella Roma antica, un imprenditore spregiudicato, dotato di propri mezzi finanziari e grande autonomia discrezionale che forniva al proprietario un servizio che oggi, con le debite differenze, assomiglia al global service, la gestione dell’immobile chiavi in mano.

Nell’Evo Antico e Medio, la grande proprietà immobiliare scompare, non è più nelle mani dei privati ma del clero, dei nobili, del re o dell’imperatore. Vi è una testimonianza nel Medio Evo, quando l’imperatore Federico II di Svevia, re di Sicilia, nel 1208, per sgravare l’erario dalle spese, concede in uso al popolo di Palermo il patrimonio edilizio pubblico, attribuendo agli inquilini, oltre al canone d’affitto, anche una parte delle spese di manutenzione degli immobili, fissando per ogni casa od alloggio, una quota di partecipazione, detta punto (gli attuali millesimi); la gestione di queste incombenze veniva svolta da contabili greci che alla corte dell’imperatore svolgevano la funzione di amministratore. Nel ‘600, l’amministrazione degli immobili fa parte delle mansioni dell’intendente quelloche oggi potremo definire un consulente finanziario agli ordini del signore, che tra le incombenze, aveva anche quella di interessarsi del patrimonio immobiliare. Alla fine del ‘700, l’amministratore assume un fisionomia propria, quasi professionale: lo troviamo a Trieste, subito dopo la concessione del Porto Franco da parte dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria. Armatori e commercianti provenienti da tutta Europa, attratti dalle potenzialità di questo porto, in pochi anni trasformano la città in un grande emporio commerciale, armano flotte mercantili, inventano le assicurazioni, ed investono nella proprietà immobiliare. L’amministrazione di immobili diventa un attività autonoma e questi operatori sono conosciuti come i fattori di città.

A definire la moderna figura dell’amministratore, in Italia, è l’introduzione della proprietà in condominio, la comproprietà divisa per piani o porzioni di piano, la cui normativa è raccolta per la prima volta nel regio decreto del 1934. Ma il futuro porterà finalmente garanzie per i condomini e anche per gli amministratori: dal progetto di riforma delle professioni, le associazioni, ma solo a quelle serie ed affidabili, garantiranno la professionalità dei propri iscritti e quindi le prestazioni rese, dalla riforma dell’università, anche gli amministratori troveranno un percorso didattico che li definirà anche dal punto di vista culturale, che oggi manca, e dalla revisione della legge del condominio, scritta quasi 60 anni fa, ci saranno ulteriori garanzie per tutti. (Giuseppe Rigotti)

Dott. Giuseppe Rigotti, Presidente ANACI, Associazione Nazionale Amministratori Condominiali e Immobiliari Avvocato Maurizio Voi Vice Direttore Centro Studi Nazionale ANACI

Come si dividono le spese
Le risposte dell’avvocato

rubrica a cura dell’ Avvocato Maurizio Voi Vice Direttore Centro Studi Nazionale ANACI

Il presupposto in forza del quale ciascun condomino è tenuto a contribuire nelle spese per la manutenzione delle parti comuni dell’edificio (art.1123 c.c.) è che queste siano in comproprietà o che servano anche allo stesso (art. 1123 III comma c.c.). Le canne fumarie possono essere di due tipi: comuni ovvero di pertinenza di ciascun appartamento con sbocco sopra il tetto (ciò specialmente dopo l’entrata in vigore del dpr 412/93 e delle nuove norme di sicurezza). Nel primo caso le spese di manutenzione saranno a carico di tutti quei condo-mini a cui la canna fumaria serve; infatti è anche possibile che in un edificio vi siano più canne fumarie in comune, allora, in questo caso, secondo il disposto dell’art. 1123 III comma c.c., le spese andranno poste a carico solamente di quel gruppo di condomini a cui la canna fumaria serve. Nel secondo caso, canna fumaria quale accessorio solamente di singoli appartamenti, le spese andranno sostenute dal proprietario a cui serve poiché essa non è comune agli altri condomini. La spesa di manutenzione, in caso di canna fumaria comune, dovrà essere sempre sostenuta dal proprietario anche se l’appartamento non è abitato. L’onere è dovuto in quanto l’intervento mira alla conservazione del bene nonché alla sua sicurezza anche nei confronti degli altri abitanti. Nel caso in cui l’appartamento sia affittato è necessario distinguere le spese ed il tipo di canna fumaria. Se la canna fumaria è comune e la spesa è inerente alla sua pulizia, l’intervento andrà coordinato dall’amministratore e le spese poste a carico dell’inquilino. Se la canna è invece di sola pertinenza dell’appartamento l’onere della manutenzione grava direttamente sull’inquilino. In merito vi è una precisa disposizione di legge: l’art. 11 comma 2 del dpr 412/93 che individua nell’occupante a qualsiasi titolo gli obblighi di manutenzione e le responsabilità.

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